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"un uomo mi minacciò con un gesto eloquente: il segno di un coltello sotto la gola"

La dottoressa Accorsi: “Quando veniamo aggredite è come se violassero la nostra dimensione, la nostra casa”

La testimonianza della ginecologa Accorsi: "Certe situazioni non fanno vacillare il mio credo, il mio lavoro lo rifarei all'infinito, nonostante la fatica, perché questo ospedale è la mia casa e chi ci lavora è la mia famiglia. Mi sento anche responsabile nei confronti delle ostetriche, molte sono giovanissime".

La dottoressa ginecologa Francesca Accorsi cerca sempre di lavorare con il sorriso. Lo fa per essere rassicurante con i suoi pazienti, senza dimenticare le ostetriche che condividono con lei anche i momenti più duri dell’essere un medico. La sua testimonianza parte da un episodio avvenuto prima della pandemia e rientra in quelle raccolte da Città della Spezia in occasione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari.

Una donna arrivò in ospedale con il marito con una minaccia d’aborto – racconta -, ero di guardia e mi avevano chiesto un consulto in un altro reparto. La donna e il marito dovettero aspettare quindici minuti circa. Fui minacciata lui mi prese per il camice e mi attaccò al muro, con gli occhi spiritati mi disse che se alla moglie o al figlio che doveva ancora nascere fosse accaduto qualcosa per me sarebbero stati guai. Fece anche un gesto eloquente: il segno di un coltello sotto la gola. Quando ha sentito che stavo chiamando le forze dell’ordine è scappato via. Non denunciai, ma per me è stato l’episodio più brutto. Quello sguardo mi è rimasto impresso nella mente. In un altro episodio fummo insultate pesantemente io e un’ostetrica, una signora incinta che si trovava alla Spezia per qualche giorno di vacanza. La visitammo ma era tutto assolutamente regolare, ci disse al Sant’Andrea eravamo degli incompetenti e che lo sapeva tutta la Liguria e che sarebbe andata dal suo ginecologo. Io ho pensato che si fosse trattato di uno sfogo perché era preoccupata, ma essere insultati non fa mai piacere. Proviamo grande frustrazione quando pensiamo a svolgere al meglio il nostro lavoro, ci impegniamo tutti per dare sicurezza ai pazienti. Nonostante tutti gli sforzi questo ritorno, a volte non c’è“.

Due episodi però non bastano a descrivere le difficoltà che i medici oggi devono attraversare. Una lotta quotidiana che parte ben prima del Covid e trova la genesi anche da Internet, dove le fake news puntano a screditare ogni mestiere.

Noi lottiamo con la frase ‘l’ho letto su internet’, ‘il motore di ricerca mi ha dato la risposta voi non capite niente’ – prosegue Accorsi- e con alcune pubblicità, passate anche nei media nazionali, che fanno tutti gli ospedali come un covo di episodi di malasanità. Il nostro compito è non dimenticare mai il mestiere che facciamo, essere coraggiosi, fermi, non dobbiamo mai perdere la rotta. Io non lo faccio per me  ma anche per le mie ostetriche che sono giovanissime e preparate. Negare che ci siano momenti difficili non è corretto. Ma il problema, oggi, non è soltanto internet. Purtroppo, a mio avviso, c’è una perdita di valori fondamentali che toccano tutti. Pensiamo a cose anche molto più semplici di una cura: non si guarda più alle necessità degli ultimi, anche nelle proprie case, non c’è più la spinta ad accudire i più deboli in generale. Pensiamo anche soltanto a lasciare il posto a sedere su un mezzo pubblico ad una persona anziana. L’esempio è semplice ma rispecchia una situazione preoccupante”.

Un altro grave problema  – aggiunge Accorsi – è anche dato dalla femminilizzazione dei mestieri. In tanti anni di carriera, soprattutto quando ero alle prime armi, mi sono sentita dire: ma il medico quando arriva? Come se il sesso mettesse in discussione la capacità di medico”.

Situazioni delicate, che possono far vacillare anche le persone più forti. “Devo ammettere che quando capitano certe situazioni, dove magari io oppure le ostetriche veniamo insultate, in un primo momento mi sento molto demotivata. Mi fanno riflettere sul nostro lavoro e come potremmo farlo meglio. Io ho a che fare con la mia coscienza, la passione per il mio lavoro mi rendo conto che meglio di così non riesco. A volte penso che sia il tempo ‘sbagliato’ per fare questo lavoro. Certe situazioni non fanno vacillare il mio credo, il mio lavoro lo rifarei all’infinito, nonostante la fatica, perché questo ospedale è la mia casa e chi ci lavora è la mia famiglia. Quando mi aggrediscono mi sento come se qualcuno violasse la mia dimensione, la mia casa. Mi sento anche responsabile nei confronti delle ostetriche, molte sono giovanissime. Viene violato un equilibrio volto ad aiutare il prossimo“.

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