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Le indagini del commissario Borachia

Le indagini del commissario borachia

Prima del passato

Racconto a dispense - seconda parte

Banca d'Italia

11.
Marta entra alle otto da Alberto; ha in mano un sacchettino con due brioches. Preparano il caffè insieme; si siedono al tavolo bianco della grande cucina: stanno sui due lati vicini, a 90°. Si guardano un po’ e si tengono un po’ entrambe le mani; viene su il caffè e Marta prepara le tazze e i tovagliolini: prende un poco possesso dell’ambiente dell’amato. Fanno colazione tranquilli, scambiandosi informazioni e pareri sullo sbroglio dei bagagli e su come hanno trovato le rispettive case. Si alzano e si guardano negli occhi. Fanno l’amore, per circa mezz’ora, con calma. Alberto resta immobile ammirato a guardarla. Poi lei si allontana di un passo, gli fa una carezza sul viso.

“Ti piacerebbe la pausa-pranzo insieme?” “Direi proprio di sì: ti devo parlare” “Qualcosa che non va?” “Non certo fra noi. Tu non c’entri ma desidero che un po’ c’entri” “Molto bene. E’ l’orario, devo andare” “A dopo allora” “Sì”.

12.
“…Tu pensi che Riccardo sia sincero?” fa Marta tagliando un parte della frittatina e versandosi un po’ di rosso, “Credo di sì” “Perché?” “Innanzitutto perché non mi ha detto di star tranquillo: mi ha detto che indagherà un po’ anche su di me, e quando avrà finito, se gli sta bene, collaboreremo” “E poi?” “E poi perché, vedi, il liceo per molti aspetti era un brutto ambiente” “Cioè?” “Sì: non era facile essere amici senza messinscene drammatiche, in modo semplice, sincero: o c’erano i grandi sodalizi firmati col sangue, o le falsità e le stronzate, o l’indifferenza più assoluta” “Ah… mentre tu e Riccardo…” “Penso di sì: non avevamo fatto grandi dichiarazioni ufficiali, non uscivamo insieme mattino e sera a coppia fissa, non facevamo mercato di donne; però ci stimavamo, se necessario ci aiutavamo…” “Capisco. E ti volevo chiedere: hai detto che vi odiavate cordialmente; tu e la signora, voglio dire” “Sicuro; ma un odio tranquillo, senza rischi e senza dispetti” “Va bene, ma perché?” “Sai, quando andai ad abitare lì ne aveva cinquanta, mica settanta: era una donna in piena efficienza” “E bé?” “E bé, io all’inizio la salutavo col sorriso, a volte tentavo anche un piccolo scambio, ma lei rimaneva tecca, ostile: risposte proprio al minimo indispensabile” “Non mi dirai che basta questo…” “Era la tipica donna che non è ancora davvero anziana, sta bene in tutto”, qui Alberto si ferma un po’ “…o quasi in tutto”, si corregge “…va bé non divaghiamo: poi magari ti spiego meglio” “E allora?” “E allora si presentava come una che tiene duro ma ha mille problemi, a cui chiaramente sa badare meglio del resto del mondo” “Ma se hai detto che non vi parlavate!” “Sì ma a volte la sentivo per le scale, pochi minuti per caso, pontificare con Diego, il parrucchiere” “Non vorrai farmi credere che questo basti… per uno come te, poi!”, c’è un po’ di silenzio, “In effetti. La verità è che me la ritrovai un po’ dopo anche a scuola” “Ah, ecco!” fa Marta sottolineando con la voce e ridendo “Volevo ben dire! Siete dunque stati colleghi” “Mai nella stessa classe, per fortuna. L’ho vista nella stessa scuola per tre anni circa” “E bé?” “E bé era piuttosto famosa: odiava l’antropologia e la poesia, adorava Carnap, poveraccio, e il pensiero deduttivo. Il suo ordine e la sua disciplina erano basati sulla paura di ritorsioni” “Ma cosa insegnava?” “Secondo te?” “Filosofia!” “Ovvio. Di solito le sue classi avevano tre fasce: due o tre al top anche se le raccontavano Il gatto con gli stivali, due o tre sotto tortura, e una palude che pregava ogni giorno Iddio di rimanere tale. Il suo fine era: creare imprenditori, ingegneri, gente con lo sguardo dritto, che un giorno l’avrebbe ringraziata delle botte ricevute, e che avrebbe risollevato questa nostra Nazione di fannulloni e bamboccioni” “Un bel tipino… ma scusa se sono monotona: tutto questo basta davvero? Voglio dire: hai cambiato mestiere, è passato tempo…” “Bastava certo per lei, se chi viveva diversamente glielo diceva chiaro e tondo… e magari le sembrava anche felice e stimato” “Ora ci siamo. O quasi” “Comunque è morta. E tutto sommato non se lo meritava. Non solo perché era una persona umana: ormai si era tranquillizzata, nel palazzo non faceva dispetti, né creava problemi”; “E quella cosa per cui proprio del tutto fortunata non era?” “Il figlio. E’ una mia convinzione ma sono sicuro: lo fece laureare in economia, a Milano, in ritardo: le costò un sacco” “E’ vedova?” “Sì, con una buona eredità, ma mi sa che quello gliel’ ha decurtata parecchio” “E ora lui che fa?” “E’ rimasto su; lei diceva per una scuola di specializzazione… ovviamente a sue spese” “Dunque un po’ sopra i venticinque…” “Mah?… trentacinque?” “mm… magari anche con qualche vizio addosso…” “E’ possibile” “Tu lo conosci?” “Lo vedevo da bambino: un indifferente “tutto lui”. Poi, da una decina d’anni, l’avrò incontrato tre o quattro volte per caso”; “Questa storia ti preoccupa?” “Poco. Se non ci fosse un tipo pericoloso in giro, e una persona umana morta, mi divertirebbe anche capire” “Sarebbe meglio davvero capirci qualcosa…”, fa Marta seria.

“A proposito di capire! Ieri notte ho fatto in tempo a scriverti questa paginetta scherzosa: sai, lo “studio”che ti avevo promesso” “Fa’ vedere” dice Marta ridendo, e afferra i fogli

Creta nel 2000 – di Mario Rossi – Università di Nocera Inferiore.
Recensione a cura di Maria Bianchi.”Xerox”, maggio 3507.

Lo studio, di 231 pagine distribuite in dodici capitoli, usufruisce delle maggiori scoperte degli ultimi vent’anni riguardo all’oggetto tanto sul versante archeologico quanto su quello linguistico, come testimonia la ricchissima e curata bibliografia.
La tesi centrale dell’autore non è nuova, ma si presenta come conferma scientifica ad una delle ipotesi più accreditate: quella dei due popoli presenti sul territorio greco dopo la cosiddetta “II Mondiale”.
Con grande perizia e precisione il Rossi sceglie di appoggiare, tramite un’accurata analisi di ogni fonte antica, la posizione di chi vede in Creta due popoli come conviventi in pace, ma con la prevalenza militare ed economica di uno di essi.
La principale testimonianza della divisione consapevole delle due etnie è la compresenza di due scritture o meno nei cartelli stradali ed anche in altre, pur rare, fonti scritte: la grafìa che viene detta “ellenica” appartenne al popolo dominante, che ne preferì l’uso quasi esclusivo nelle aree a se stesso riservate: soprattutto la dorsale montana che attraversa l’isola da Nord a Sud, nel centro; l’altra scrittura, l’”Occidentale”, fu permessa dagli Ellenici al popolo in subordine, probabilmente coloni francesi e italici che trovarono ospitalità dopo la guerra, previa assicurazione di corredare ogni documento di una versione “ellenica”. In certe occasioni si concesse addirittura la notazione nelle lingue originarie dei coloni, principalmente in quella versione demotica dell’indoeuropeo detta “inglese”.
A tali coloni fu concessa la pratica del commercio e della produzione artigianale, soprattutto lungo le coste, ma il controllo del territorio rimase del popolo dominante. Lo conferma l’archeologia, soprattutto delle grandi strutture architettoniche: quelle elleniche, con la croce (simile a quella della decorazione militare in uso presso i popoli europei intorno alla fine del secondo millennio) e l’abside, dotate di affreschi di eroi locali (tra cui almeno due impugnano spesso lancia o spada) segue la suddetta dorsale con una serie di monì (luogo del dominio “singolo”): Savathianon, Agiou Panteleimona, Gorgolani, Kardiotisis, Kalivianis, Arezanon e Odigitrias (nomi di cui il Rossi offre sempre convincenti “letture”); tale sistema di controllo prosegue verso Est con Chrisoskalitisas; invece, sulle coste e nei luoghi pianeggianti dominano le costruzioni piatte e alte dei “coloni”, ma è sempre presente, come punto di riferimento, almeno un edificio come quelli sopra descritti. La persistenza, poi, di pietre e resti antichissimi, curati certamente dagli Ellenici che vi costruirono per sicurezza piccoli monì accanto, sembra confermare la caratteristica autoctona del popolo dominante, amante del richiamo ai propri antenati, su cui ormai ogni ipotesi appare azzardata, ma che certo mantennero il potere nel Mediterraneo lungo i secoli precedenti al 1500 d.C..
La lettura di questo studio appare piuttosto agevole, nonostante la complessità dei problemi esposti, e rimane indispensabile per chiunque voglia capire le parti più significative (e affascinanti!) del nostro passato.

Marta restituisce i fogli con un largo, sincero sorriso a bocca chiusa. “E’ bellissimo, davvero: complimenti!”, poi scuote un po’ la testa incredula: “Grazie” risponde Alberto senza presunzione.
“Si fa tardi: dovrò andare in biblioteca” “Metto su il caffè” “D’accordo” “Si sta bene con te”,
“Non credo che sia un’impressione solo tua…”.

13.
“Allora Viglietti: sentiamo!” “Sì: per il fatto in sé, e anche qualcosa di più, lei e il suo amico ci avete chiappato in tutto” “Toh!” “Dunque: la signora è morta ammazzata, circa venti minuti prima che il suo amico la trovasse. Soffocata, probabilmente con quel cuscino; lotta poca: doveva essere uno o una che conosceva, di un po’ più robusto di lei…” “mm” “Poi: per Diego, il negozio interno di ottica, e la ragazza del negozio, tutto come avete detto: fino alle dieci circa calma piatta, dopo le dieci e mezza troppa confusione; nessuno ha visto o sentito niente di strano, né nel palazzo né nelle immediate vicinanze; la ragazza ha incontrato Alberto verso le dieci e mezza, ed era lì da un po’ a pulire vetri e porta” “Dalla signora, manca qualcosa?” “Assolutamente: tutti gli oggetti a posto. La signora aveva mille euro circa nel cassetto del comò, e lì sono rimasti in ordine. Così come, almeno apparentemente, ori anelli e ricordi vari”. “Tutto qua?” “Veramente no…” fa Viglietti e ridacchia un poco, “Cosa ci hai da ridere adesso?” “Beh, manca la signora della mansarda al terzo piano… mansarda! a me pare un abbaino allargato!”, “E sentiamo, no?” “Sì: una matta sempre in vestaglia, col rossetto e la cipria all’antica, fuma un sacco…” “Beve anche?” “No, direi di no. Ha la casa piena di foto e di oggetti di una volta, con l’odore di chiuso” “…di chiuso, eh? ma è anche sporca?” “No, questo non direi. Pensa di essere una chiromante, ma non esercita. Non esce quasi mai…” “E di cosa vive?” “Da ragazza lavorava nei bar…”, Riccardo fa un’espressione molto esplicita, che Viglietti coglie al volo: “Non saprei, non credo: diciamo non regolarmente; certo gli ometti non le dispiacevano, ma devono averne approfittato più loro che viceversa” “Razza rara!” “Oggi sì ; beh, insomma: ha una pensioncina del marito morto; niente da scialare, ma non è persona misera” “Figli, nipoti?” “Sola come una cane, e non pare soffrirne” “E beh: perché ridevi?” “Ah, perché mi fa: “ pensavo che per me si sarebbe scomodato il commissario Borachia: quel bel giovanotto tanto educato! ”: sembra conoscerla benissimo” “Smettila di ridere, scemo!” “E poi mi dice: “eh, io potrei sapere molto… ma purtroppo non ho visto proprio niente”; allora io ho insistito, con le buone, con le minacce, e lei: “bravo giovanotto: lei farà carriera! ma io purtroppo non ho visto niente: sono vecchia. Però ho sentito, sa? nel cortile: gatti schizzare via, cani abbaiare, persiane chiudersi… eehh!” “E voi, il cortile, l’avete controllato?” “Palmo a palmo, commissario: niente di notevole” “mm… passiamo alla scientifica: le impronte?” “Ecco! qui c’è roba grossa: le impronte della signora sono ovviamente in tutta la casa, vecchie e nuove; poi una serie di impronte troppo vecchie, sovrapposte e purtroppo ormai inutili; alcune di queste, nonostante la confusione, sembrerebbero ricorrenti” “?” “Dovrebbero essere, in base alle testimonianze raccolte, quelle di Rajina, la colf ucraina in nero; una biondona robusta ma niente male, sembra” “E me lo dici adesso!” “Guardi che ci siamo arrivati tre ore fa: la ragazza è sparita da una settimana e…” “Quindi non è stata lei” “No… a meno che non sia tornata apposta” “mm… avrebbe fatto le cose meglio. Va bé, scusa, dicevi: e…?” “e non se ne sa niente: la signora si era fidata: dicono tutti che, per qualche misteriosa intuizione, si assomigliavano e andavano d’accordo; non si sa dove abitasse, dove sia andata: potrebbe essere qui in città, in un’altra città italiana; o aver messo via un po’ di soldi e essere tornata a casa, riuscendo a volare nonostante la sua situazione irregolare; e noi agli ucraini cosa gli diciamo: “cercate una bella bionda robusta”?!? Non abbiamo neanche una foto” “Un bel casino, eh?” “Sì… ma non è tutto” “Forza!” “Poche, ma ci sono in giro altre impronte: secondo gli esperti, con beneficio di inventario e possibilità di errore, una donna giovane, non troppo robusta” “E dove sarebbe finita?” “Questo, commissario, o ce lo dice la chiromante dell’ultimo piano…” “mpf!”; i due stanno zitti un pezzo, con lo sguardo in giù; poi si fissano e parla Viglietti: “Pensa che ci troviamo davanti all’assassino?” “Cerchiamo una persona robusta, conosciuta dalla vittima, che fa tutto in un quarto d’ora, non ruba niente, e fugge lasciando la porta aperta; nessuno nota nulla: non sembrerebbe trattarsi di una giovane esile…” “E allora chi è, ‘sta qua?” “Viglietti, questo non è difficilissimo” “?” “Magari una nuova, extracomunitaria o no, alla prima visita dalla signora per sostituire la biondona” “In tal caso avrebbe assistito al delitto” “Forse: ma se non l’hanno già ammazzata, da dove è passata? Dove si è nascosta?” “Ci daremo da fare, commissario” “Ci conto… altre informazioni sulla signora?” “Sì: siamo stati alla banca dove aveva i risparmi, a due passi dal palazzo, e abbiamo parlato con gli sportellisti e il vice-direttore, come ci aveva detto lei” “Che raccontano?” “Beh, la signora non aveva quasi più niente” “Il figlio…” “Così la pensano anche loro. Ci andava sempre accompagnata dalla bionda, che entrava ma restava alle sedie più in là; le ultime due volte era andata da sola: le date tornano con la sparizione dell’ucraina” “Più nulla hai detto?” “Quasi. Aveva parlato direttamente col direttore, per un prestito agevolato” “E lui?” “Niente: inamovibile” “Ma era una vecchia cliente, un’ex profe conosciuta!” “Appunto. Forse non era lei il problema…” “Brutto mestiere quello della madre…” “A volte, commissario, a volte” “E col direttore stesso, avete parlato?” “E’ via da un giorno per la banca: torna domani” “Bene: lasciate stare, ci vado io”, un po’ di silenzio.
“Bé Viglietti, seriamente: hai fatto un buon lavoro” “Sì, ma c’è un sacco di gente sparita. E non ci si capisce niente!” “Ci capiremo, vecchio mio, ci capiremo…” “Se lo dice lei…”. (“Già, lo dico io” pensa Riccardo “ ma in effetti è un bel casino: non è che due mai viste né conosciute, di cui abbiamo poco e niente, le troviamo come ridere… e la telefonata? Chi l’ha fatta? L’assassino per far trovare qualcuno al suo posto, o un testimone a cui non andava di rischiare ma nemmeno di lavarsene le mani? E perché sia ai Carabinieri che a noi?”.
I due fanno per alzarsi, “Senti Viglietti…” “Dica commissario” “Ma di quella lì in vestaglia… com’è che si chiama?” “La chiromante? Wanda Boves” “Ecco sì: tu che ne pensi?” “Per me è matta!” “Ah”. i due si alzano e si avvicinano alla porta.
“Per me la fa”, sussurra Riccardo.

14.
E’ arrivata finalmente la domenica mattina. I due ieri sera hanno preso un aperitivo robusto non lontano da casa, poi si sono portati la pizza al taglio su da Alberto. Hanno parlato mangiando, hanno messo via la tavola insieme, hanno preparato l’ultimo caffè, hanno dato fondo a uno dei dieci 33 di Ouzo portati in Italia. Poi si sono addormentati vicini, tenendosi per mano come facevano in vacanza.
Ora le otto mandano un bel sole da autunno clemente. La città è sgombra, da auto gente e rumori, ma non troppo, non del tutto.
Alberto si sveglia per primo, va alla finestra e guarda un po’ la strada principale.
Si riavvicina a Marta…

La passeggiata di fine domenica, la sera verso le sette. Le persone non sono poche, anzi sono decisamente molte, ma non c’è caos.
Da una stradina laterale Gloria rientra nella principale: è stata a trovare un paio di colleghe in casa di una di loro; Riccardo la incrocia per puro caso: “Ah” fa lei “Eccoti qua!” “Mi cercavi?” fa lui “No, no…” risponde ridendo “E’ che proprio adesso stavo ripensando a una cosa che mi è venuta in mente” “Stai andando a casa?” “Sì” “Andiamo insieme?” “Sì”.
I due procedono. “E allora?” fa Riccardo “Sì…: ti ricordi che dopo la serata famosa Fefé, temendo altre noie, aveva diradato enormemente le sue uscite dopo cena… il che non mi dispiaceva affatto” “Ebbene?” “Mah, forse non è importante, però le ha riprese: esce praticamente tutte le sere” “Sei preoccupata?” “Non molto: ritorna ad orari accettabili, sempre prima delle undici, ed è contento, rilassato; non puzza d’alcool, né di fumo stantìo. A volte arriva a darmi il bacio della buona notte” “Caspita! delle normalità che ormai sono stranezze!” “Dai non infierire; piuttosto dimmi, io sono quasi tranquilla, ma tu che ne pensi?” “mm… sarà deformazione professionale, ma quando c’è qualche novità, e uno è sempre felice, qualcosa sotto ci cova” “Dici?” “Sì ma non ti voglio mettere delle pare; e poi il commissario sono io ma il genitore sei tu, e non si sa quale è più adatto a questo caso” “mm… piuttosto, c’è anche un altro fatto…” “?” “Quei due là, sempre i soliti…” “Imbelli e Calvo” “Sì: continuano a rompere: sappiamo da suoi amici che vanno in giro da ragazzi mezzi delinquenti a chiedere se lo conoscono, se hanno qualche dritta su di lui…” “Gente inutile!” “Ma pericolosa, pensi?” “Penso non molto; però a questo punto è meglio che faccia qualcosa. Se sei d’accordo” Gloria sta un po’ in silenzio, camminando a testa bassa; “Tu lo sai che di te mi fido… basta che non sia controproducente” “Farò prima delle mosse piccole, con una sola persona giusta” “Ah…” e mentre Gloria sta per proseguire, compaiono da dietro, già abbastanza vicini, Alberto e Marta, anche loro agli ultimi quattro passi; “Si va in giro, eh?” “Anche voi sembra” “Finché non mi sbatti in guardina! Va bé, questa è Marta: un po’ te ne ho parlato”, e i quattro proseguono i tipici convenevoli, le tipiche battute, le tipiche presentazioni. Proseguono anche la strada assieme verso casa, con decisione unanime. Unica variazione, Marta che si discosta un momento per salutare un’amica sola, in direzione contraria; il colloquio è breve: le due si dicono che dal liceo, anche se lavorano vicine, non si vedono quasi mai.
“Conosci quella signora, Marta?” “Chiede Riccardo quando l’altra è già andata” “Sì: è Lorena, eravamo compagne; lavora alla banca lì da noi” “Lo so: l’hanno interrogata l’altro giorno per la morte della profe. Che tipo è?” “Riservato: non dice parole di troppo, soprattutto se non ne è richiesta. Però mica antipatica… anzi…” “Ma è leale?” “Sì, questo direi proprio di sì” risponde Marta dopo breve riflessione; “Potresti tornarmi utile, Marta” “Per cose buone, spero” “Io sto con i buoni”; “Sentite” interrompe Alberto “assagiate l’Ouzo originale su da noi?”; Gloria apre le labbra per rifiutare “Volentieri!” risponde Riccardo fulminandola con gli occhi.
I quattro si avviano per le scale.

“… Vede, commissario, io le posso anche rispondere; ma sono sicuro, e non è per piaggeria, che lei sa già tutto: anche come le risponderò”; il direttore da dietro la sua scrivania ha un aspetto elegante ma sobrio: un uomo sui cinquanta suonati che ne dimostra un po’ meno; calvo apposta come si usa oggi a età varie; un completo di un bel grigio. Discretamente alto, si scialla sulla poltrona nera gonfia, senza boria: anzi, è cordiale, come fosse con un cliente che conta. Spinge la testa in avanti e sorride largo a bocca chiusa: sembra il coccodrillo buono dei cartoni animati.
“Sì, certo, caro direttore, ma visto che questa non è un’indagine, è solo un breve colloquio per aiutare, e visto che lei è stato così gentile da ricevermi qui in orario di lavoro, il modo di fare domande preferirei sceglierlo io”; il direttore lo guarda un po’, non molto stupito: “Capisco: quel che conta è come risponderò. Anche noi facciamo così prima di assumere quelli nuovi” “Se vuole metterla su tal binario, può anche andare; io pensò però che, se devono venire fuori nuove persone, a doverla imbeccare non sono io che le cerco: altrimenti è tutto poco onesto”; il direttore è tranquillo, ma non contento: non è contento che siano stati in banca a interrogare mentre lui non c’era, non è contento che spulcino i conti della signora, non è contento che ‘sto commissario allunghi le cose e voglia un colloquio con lui; non lo è per l’interesse dell’Azienda. Così pensa lui, e così approverebbero molti dei suoi concittadini: ricchi e poveri, onesti e non; gente che pensa che la vita è lavoro, anche se il lavoro non è la vita; il resto quisquilie romantiche…
“Giusto, giusto: finiamola presto tra gentiluomini adulti: il figlio le aveva puppato tutto per gli studi… studi che non vanno a gonfie vele. Io non credo che quello smetterà, e quindi… quando la banca vuol fare beneficenza la fa su un capitolo apposito, e con chi almeno un po’ se la merita”, Riccardo annuisce: “Solo gli studi?” “Commissario! Lei sta parlando con un direttore di banca in orario di servizio” “OK. Però queste vergogne del figlio la signora non è che le sbandierasse volentieri proprio a tutti… col direttore della sua banca, poi, sarebbe andata contro i propri interessi! Insomma a lei chi gliel’ha dette?” “Ma si sapevano, via!” “Vero. Eppure le chiedo di sforzare un ricordo: per la prima volta, e magari più volte, chi le sembra gliene avesse parlato?”, il direttore stringe un po’ le palpebre e corruga la fronte: “Con beneficio di inventario… mi pare il signor Diego, il parrucchiere: è un nostro vecchio cliente e poi ci conosciamo”; Riccardo sta un po’ in silenzio e si interroga a labbra strette. Poi si alza e tende cordialmente la mano: “Grazie direttore, e scusi per il tempo rubato” “S’immagini, commissario… e buon lavoro”.
Riccardo esce dalle porte girevoli regolari, incontrando lo sguardo di Lorena: è una bella tondetta sessantotto sopra al metro, col viso simpatico e gli occhiali, grandi ma sempre meno delle tette che, pur non in mostra, fan danzare il primo solco come un derviscio. Riccardo la guarda, inarca le sopracciglia in un saluto di simpatia; lei abbassa lo sguardo senza rispondere. Poi lo rialza: l’uomo è sempre lì. Lei gli sorride mezzo secondo da cortigiana illibata. Riccardo esce, si gira un po’ intorno e individua Viglietti. Lo raggiunge, e quello gli restituisce la pistola.
“Senti un po’, ragazzo: quel Diego, il parrucchiere, che tipo è?” Viglietti appare molto stupito: “E’ importante, commissario?” “Ma no, cos’hai capito! Voglio dire: si sbottona volentieri, è un fiume in piena, o poche parole scocciate, il minimo indispensabile?” “Più la seconda che la prima, ma non proprio da non parlare: molto gentile, onesto direi…” “Preciso?” “Sì direi di sì” “mm… ti ha mai parlato del direttore?” “Niente” “Ah” poi: “Senti: ci devi tornare” “Da Diego?” “Sì dai retta a me: ci torni con una scusa, piccoli particolari sfuggiti da rinforzare; ma quel che cerchi di sapere è: ha mai, anche una sola volta, sputtanato il figlio della signora in presenza del direttore?” “OK, come vuole”. I due si avviano insieme; “‘Sta storia sarebbe anche interessante, se non ci fosse tanta bastardaggine dentro…”, conclude Riccardo.

15.
Hanno suonato alla loro porta. Va ad aprire Marta. L’idea è stata di Alberto, ma non è che a Riccardo sia dispiaciuta. Per Gloria hanno dovuto insistere un po’. Il commissario entra chiassoso, sollevando le bottiglie (una di rosso locale e una di prosecco) nella stessa mano; Gloria avanza dietro come in processione, il sorriso timido ed entrambe le braccia occupate a reggere un involucro incartato; “Dallo a me; cos’è?” fa Marta “Verdure ripiene: le ho fatte io. A vostro rischio e pericolo!” “Splendido!” “Alberto porta le caramelle?” dice Riccardo, “Sto finendo la pasta al forno per gli uomini inutili come te!” grida una voce dalla cucina.
La tavola è apparecchiata a quadri rossi e blù. Marta ha messo delle castagne e delle foglie qua e là, e due candele rosse al centro. Due mesi e è Natale: questa può essere una prova, per un pezzo della loro vita che mancava.
L’inizio è stato buono, si sono sciolti, ora è un po’ che cenano assieme. “Ti piace stare coi bimbi delle medie?” domandano a Gloria, “Sì, direi di sì… oddio c’è bimbo e bimbo, c’è classe e classe, c’è anno e anno…” “E di fuori ne hai tanti?” “Due marocchini e due ragazze dominicane. Eh! sapete che da qualche giorno una è sempre triste? L’altra volta l’ho vista piangere in corridoio; io ero lontana, ma quando mi sono avvicinata ha fatto di tutto per smettere. Dice di non avere niente” “Non avete chiamato i suoi?” “E’ qui con una sorella di venticinque anni: l’ho chiamata subito ma non è ancora venuta… forse domani. Devo comunque vederci più chiaro” “Eehh… questi ragazzi!” fa Alberto imitando con cattiveria colleghe ormai per lui nel dimenticatoio. “A proposito di ragazzi: Fefé non è voluto venire?” chiede Riccardo, “Lo sai che ha ripreso ad uscire tutte le sere…” risponde Gloria con un mezzo sorriso inclinando la testa “…e a te non va?” domanda Marta “No, no… o almeno mi va più di prima: esce senza chiedere troppi soldi, ritorna sempre verso le undici…”, Gloria e Riccardo mettono un po’ al corrente gli altri due della vicenda di Fefé. “Per me è innamorato, e nel modo giusto” fa Marta con l’aria di chi è sicura di non sbagliare una virgola. C’è un po’ di silenzio, non molto. “Adesso, siccome tu sei innamorata, tutto il mondo deve fare lo stesso!” si mette a canzonarla Riccardo, “No, no: sono sicura: quando uno sparisce con regolarità e non fa niente di male, è innamorato perso, e di una non possessiva ma innamorata altrettanto”, “Tu Gloria che ne dici?” insiste Riccardo; Gloria abbassa un po’ gli angoli della bocca; tace scuotendo impercettibilmente la testa: “Non saprei; sarebbe la prima volta che non si sbottona con me su questo” “Ehh! Crescono!” a Riccardo gli è presa sul canzonatorio, “E poi senti, Riccardo” interviene Marta decisa “visto che fai tanto il furbo: tu non lo sei, innamorato?” c’è un silenzio lungo e imbarazzato, mentre Alberto guarda Marta con rimprovero bonario, e lei stringe il sorriso vittorioso.
“Nessuno ha pensato al dolce” riprende Gloria, “Vero!” fanno gli altri, “Si può prendere il gelato qua sotto: sta aperto fino a tardi e il gelato artigianale è il dessert migliore in tutte le stagioni” rincalza Marta, “Giusto!” tutti approvano “Ovviamente vanno gli uomini e noi aspettiamo qua” continua Gloria. La proposta, con un po’ di mugugno di Alberto, è accettata.
Le due donne rimangono sole.
Il tempo concesso non sarà molto; e loro non hanno nessuna intenzione di sprecarlo.

“Dunque lo hai incontrato, Viglietti…” “Come mi aveva detto lei, commissario” “Ebbene?” “Niente: dice che conosce il direttore e che a volte si sono parlati, soprattutto in banca, ma mai a lungo e mai su persone assenti” “Ah, e tu ci credi?” “Lei pensa che menta?” “Beh, Viglietti, o mente lui…” “O mente il direttore” “Esatto! Tu che ne pensi?” “A volte, scusi, le cose non sono così matematiche: uno non ne ha voglia, si sente sicuro, non è in centrale e nemmeno in tribunale: butta lì qualcosa per togliersi di torno il poliziotto fissato” “Questo sarebbe il direttore col sottoscritto…” “Se lei non s’arrabbia…” “Ma fammi il piacere!… E l’altro, Diego, con te?” “Beh, commissario, si è anche un po’ offeso perché c’ero tornato apposta per chiedergli se spettegolava; e di una vecchietta che si fidava di lui!” “Ma pensa! Però… supponiamo che tu mi convinca in tutto: che ragione avrebbe (oltre, come hai detto tu, togliersi un poliziotto dall’ufficio) che ragione avrebbe il direttore di mentirmi?” “Questo non so. E Diego?” “Qui ti voglio” salta su Riccardo, un po’ più forte, ma senza esagerare: “qui ti voglio: la signora aveva bisogno di soldi” “Sì” “E Diego ne ha: i genitori gli hanno comprato l’attività, e poi lui l’ha fatta discretamente andare” “D’accordo ma…” “Prestiti?” Viglietti tace un po’, poi fa una bocca leggermente schifata e incredula: “Arrivare ad uccidere!” “Non te la faccio così automatica: ci possono essere casi sfortunati, andirivieni, ricatti, altre persone sotto…” “Mah! Sì, commissario, ma Diego era andato via da due ore circa” “Questo lo dicono per abitudine quelli del palazzo, e lui lo ha confermato. Ma non sappiamo quanto è vero: uno può rientrare di nascosto, o andare al lavoro e poi, essendo il padrone, allontanarsi… Ecco, bisognerebbe sapere dalle ragazze lavoranti. Ne ha, no?” “Sì, due” “E allora ci devi pensare” Viglietti corruga la fronte, e poi l’abbassa: “Ma quelle vogliono più bene a lui che a me: gli spifferano tutto ancor prima di rispondermi” il commissario inclina un po’ la testa di lato, guarda l’ispettore come a consolarlo; poi gli sorride e inarca le sopracciglia contento: “Via, Viglietti! Non ti piacevano le donne?” “Farò il possibile, commissario”.

16.
Il figlio era stato avvertito subito del delitto; e lui a sua volta era arrivato quasi subito, col treno da Milano. Dopo il riconoscimento, poiché il cadavere aspettava l’autopsia all’obitorio, e qualche giorno l’appartamento sotto sequestro ce lo tenevano, aveva detto a Riccardo che tornava su per poche robe in sospeso, e appena lo avvertivano sarebbe stato di nuovo lì. Aveva pregato Diego di tenere i contatti, se necessario provvedere a esigenze improvvise. Col commissario si era incontrato il minimo indispensabile, ottenendo il permesso di allontanarsi. Era un giovanotto d’altezza media, con riccioli neri impomatati e gli occhi stretti, che cercava di darsi un tono da quasi professionista adulto, ma gli scappava troppo spesso un’aria naturalmente svagata. Su di sé era stato sostanzialmente onesto: faceva una pseudospecializzazione che non gli fruttava niente; campava con qualche consulenza (rara) e soprattutto coi soldi della mamma.
“Ora la sua situazione non si fa rosea” gli aveva detto Riccardo “Già” si era limitato a rispondere il giovane con tono asciutto. Aveva negato con decisione la possibilità che la madre avesse inimicizie tali da indurre all’odio assassino; Riccardo aveva preso in esame insieme a lui l’ipotesi di ex studenti con una rabbia antica in corpo, ma senza alcuna convinzione (“quando ti fanno stronzate come poteva farle lei” pensava “l’assassinio è un’altra sconfitta dopo la prima: l’unica vendetta valida è dimostrare a tutti che avevi ragione, e che del giudizio sbagliato la tua vita se n’è fatta un baffo”). Anche il figlio sembrava d’accordo: quando la signora era in servizio c’erano state piazzate, denunce, lettere di lamentela con tanto di firma, scampanellate notturne, ma mai vere minacce o lettere anonime (“queste” pensava il commissario “di solito le scrive chi ti ha sul culo e sa che tu hai ragione, non chi viceversa…”).
Il giovanotto aveva tenuto una postura tirata e sinceramente cupa, ma senza una lacrima. Poi, alla fine, era scoppiato in un pianto dirotto (“parenti così ne ho visti tanti…” pensava Riccardo “prima ti ammazzano a poco a poco, poi quando ti vedono per l’ultima volta gli compaiono dentro quelle poche immagini che contano: un gesto da mamma, una parola di fratello, un sorriso paziente da moglie, e capiscono; troppo tardi ovviamente”). Ma poi Riccardo, senza alcuna ragione, come già gli era successo altre volte, pensava che quel tizio lì era stato solo sfortunato; o, come si dice dalle sue parti, per niente afortunato. E tirava fuori la sua teoria delle letture, della cui assurdità non si stupiva affatto, perché qualcosa dentro gli diceva che tanto assurda non era. Sì: magari il tizio aveva fatto le elementari benino, con dei bei temini; poi si era iscritto più grandicello a scuole in cui era finito a studiare cose in un modo che non si sarebbe mai immaginato, quando aveva scelto quelle scuole. E qui era successo il fattaccio: che la sua insegnante gli aveva dato da leggere obbligatoriamente dei romanzi, e lui li aveva letti tutti, e si era chiesto come mai si dovessero leggere proprio quei romanzi, e aveva intuito che domandarlo chiaro e tondo significava essere marchiati con lo stigma dell’ignoranza e dell’inadeguatezza; allora aveva taciuto, e aveva continuato a leggerli, senza che nessuno rispondesse alla sua domanda. E poi aveva smesso del tutto, di leggerli; anzi: aveva smesso del tutto di leggere. E la sua vita aveva preso ad assomigliare a quel prolungato episodio, anche in aspetti completamente estranei ad esso: con gli amici, con le ragazze, con la scelta dell’università, col lavoro. Altri compagni con la stessa storia letteraria alle spalle avevano scelto un’altra strada: erano diventati disonesti, avevano finito gli studi di riffe e di raffe, poi con una parrocchia cattolica o atea erano diventati una sorta di artisti e press agent, e adesso se la tiravano col loro passato, mentendo spudoratamente. Altri avevano abbassato la testa, confermando in tutto l’utilità innegabile di quelle letture, di cui continuavano, metaforicamente parlando, a compilare le schede nella vita, con pazienza certosina; ma questi, almeno, se l’erano voluta, e meritavano rispetto. Riccardo, lui sì che era stato per davvero afortunato: perché la sua profe delle medie inferiori gli aveva dato una serie di racconti di Guareschi in edizione per ragazzi; e lui dopo se ne era andati a comprare altri, di quei racconti, da solo; poi ci aveva aggiunto Maigret, e un libro sottratto alla sorella in cui dei bambini ottenevano dai genitori il permesso di fare una gita in campagna da soli, e si preparavano da soli la merenda, e poi passavano un’avventura mediamente pericolosa da cui abilmente uscivano; ma lui, Riccardo, l’avventura non se la ricordava mica, così come non ricordava quasi nulla delle trame di Maigret: perché era l’ambientazione che contava, era quella l’avventura… Infine un vicino di casa anzianissimo, ufficiale marittimo civile a riposo, che gli regalava sempre le marmellatine con specie di medaglie in nichel allegate, e gliele donava con dolci parole mentre la mandibola tremava e andava di qua e di là per un leggero Parkinson, un compleanno gli aveva fatto avere nientemeno che Il figlio del Corsaro Rosso, a cui Riccardo aveva aggiunto tutti i corsari di Salgari con annesse tutte le parentele maschili e, giusto lì quando gli ormoni e i sentimenti si svegliavano, femminili: Jolanda! Era fatta: quelle letture Riccardo le aveva continuate per tutta la vita, mentre ai suddetti romanzi dava un’occhiata veloce e poi li riassumeva magistralmente per i profe che apprezzavano le sue magistrali interpretazioni; e quando al corso investigativo un collega gli aveva presentato la propria donna italianista ricercatrice in Danimarca, lui le aveva parlato di quelle letture e lei prima era rimasta impappinata perché quelle storie le conosceva ma non le aveva lette, e poi estasiata da come lui gliele presentava e narrava, tanto che il suo collega ci era rimasto un po’ geloso. Sì, lui sì che si riteneva afortunato.
Per il funerale, previsto nel pomeriggio, il figlio era arrivato la mattina alle nove, aveva rastrellato legalmente i mille euro del cassetto e i pochi altri rimasti in banca, in buona parte subito spariti per la cerimonia.
A questa, parenti niente; qualcuno del palazzo, lealmente compunto; un drappello di vecchi colleghi e vecchi alunni di quelli che, non si era mai capito in base a cosa, la professoressa portava in palmo di mano. Il fatto che fosse in pensione da un po’ e la bonifica costante di Riccardo sulle talpe da quattro soldi avevano tenuto lontano l’ebetudine della stampa di provincia.
Questa era rappresentata da due testate locali inserite nelle due testate nazionali più vendute. A un tipo allenato era facile capire quale genere di notizie ci sarebbero comparse ogni giorno: corrispondevano alle tre spiattellate a grafia discendente sulle “civette”; la prima era un fattaccio tragico (un incidente mortale, una rissa un po’ più sostenuta, un accoltellamento, un litigio fra amanti o coniugi che aveva messo in subbuglio il quartiere); la seconda riguardava le tariffe dell’acqua o dei rifiuti, al limite un politico trombato dalla sua stessa congrega; la terza la squadra locale, che forse avrebbe acquistato un asso delle riserve di una grande compagine dalla prima divisione. Dei rifiuti tossici che dormivano da decenni in porto, della criminalità mafiosa decisamente agguerrita e sempre rintuzzata, ma mai sconfitta, in un posto così piccolo, della disoccupazione dilagante mentre vaste e belle positività venivano messe in formalina dal potere centrale non si sa bene perché (né il potere centrale si preoccupava di spiegarlo più di tanto), sottolineando il quasi, quasi nulla; esisteva, come ormai in qualsiasi villaggio del mondo, una gazzetta locale distribuita gratuitamente, ove fra quattro pagine di indispensabili pubblicità e annunci e ulteriori tripudi ginnici, un redattore coraggioso a volte le cantava vere e crude, giusto per il gusto di vedersi del tutto non considerato. Se si comprava il quotidiano completo (cosa che Riccardo non faceva mai) le notizie nel dettaglio erano cascami del sommario civettuolo: qualche bottigliata nei bar, qualche corno con occultamento dei nomi, qualche iniziativa sociale o qualche congresso di partito, e una strumena di squadre minori e rappresentative giovanili di sport vari. Un tipo non allenato, però, era facile preda dei titoloni, perché in redazione c’era sicuramente il mago della sintassi, specializzato nel far venire l’appetito della curiosità e dell’apprensione al pensionato, alla donna casalinga, al lavoratore precario che girava per le vie: se le scuole elementari spostavano le maestre al loro interno la grida era I trasferimenti degli insegnanti; se veniva a mancare un medico o un avvocato o un professore molto amato in un quartiere: Muore noto professionista; se l’azienda locale del servizio idrico sbagliava un centinaio di bollette: Tariffe impazzite, stangata sull’acqua. A volte ci si prendeva decisamente gioco, senza alcun complotto venale, del lettore, soprattutto agendo sulla soggettività o oggettività del genitivo, e/o sulla frase nominale: Nostalgia del coniuge, ma è in compagnia; Parte la denuncia del questore: stupore in centrale; Trapiantato a un rene si accorge di averlo ancora; Sorpresa a casa in orario di lavoro: era il suo compleanno . In realtà la via migliore per vendere era data dalla possibilità che una scuola o un’associazione sportiva organizzasse un evento a cui tra genitori nonni e amici partecipassero circa cinquecento persone, a questi si assommavano insegnanti presidi allenatori e istruttori; in tal caso bastava scrivere: Grande successo dell’iniziativa al …: tutte le immagini della manifestazione .
A esser sinceri, questa abilità di Riccardo nel togliersi di torno i media (o i midia che dir si voglia) era nata in seguito a un episodio del tutto fortuito: quando, durante un caso un po’ delicato, una mediamente giovane e pimpante cronista si era vista negare con naturalezza, senza cattiveria, informazioni e contatti col commissario, figlio redivivo della Città. Erano seguite lamentele delle Icone Protettrici la giovane, e qualche accenno vendicativo sul giornale. Riccardo allora, facendo le viste di chiedere scusa, aveva offerto un’esclusiva in diretta con la suddetta presso una TV locale. La proposta era stata accettata in pompa magna, e i due erano comparsi col tripudio di tutti sotto i caldissimi fari dello studio. Solo che, dopo le prime battute, quella che doveva essere un’intervista si era trasformata in un interrogatorio della ragazza stessa: sulla Costituzione, sui rischi di un’informazione affrettata, sull’effettiva libertà del cittadino di concedersi o negarsi al pubblico, sul pericolo di mandare a monte mosse studiate dalla polizia per incastrare i colpevoli, sul creare aspettative o cacce alle streghe. Verso la fine forse la mal capitata stava anche per piangere, e Riccardo aveva avuto non pochi e sinceri sensi di colpa , pur sapendo che se l’assunzione di un giornalista non avviene solo in base a meriti, anche il poco probabile licenziamento non può avvenire solo per demerito. Fatto sta che il prefetto aveva visto la scena e, al contrario di quanto avviene in altre agenzie più educative della polizia, non aveva temuto per il buon nome e i buoni rapporti della sua parrocchia, anzi aveva indirettamente comunicato i propri moti di approvazione all’insegna del Borachia. Insomma: da quella volta, se un giornalista cercava Riccardo, era perché gli avevano svaligiato l’appartamento, o aveva ricevuto minacce serie dal coniuge dell’amante…

Tornando alle esequie della povera signora, tutto era finito presto e il figlio era rientrato nell’appartamento della madre. “Fammi sapere. Eventualmente chiamami” dice Riccardo al povero Viglietti…

17.
Gli squilla il cellulare alle 10.40 di sera: “Dimmi ciccio” fa il commissario all’ispettore “E’ uscito mezz’ora fa” “Lo hai seguito?” “Ovviamente” “Dai…” “Prima si è procurato della coca” “Ah! Tanta?” “Non so, non credo, mica ero col naso lì sopra!” “Sì scusa… e da chi?” “Oh… li conoscono tutti!” “E quei segugi di Calvo e Imbelli, dove sono?” “Ma questi riforniscono i professionisti…” “Vuoi farmi credere che ci sono due pesi e due misure?” “Ha sempre voglia di scherzare? Tanto fuori di notte ci sto io!” “Scusami, scusami: sono commosso. Vai avanti” “Ora è entrato al “Risvolto”” “E tu sei lì” “Più o meno” “Bé aspettami che vengo a farci quattro chiacchiere, così te se vuoi te ne vai a nanna” “Ecco grazie”.
Riccardo esce. Non fa più caldo ma neanche troppo freddo. Strade quasi vuote; una bella luna da Epifania in fondo al viale degli aranceti; a quest’ora si riesce a sentire un po’ di profumo.
Riccardo procede con calma. Qualche angolo di stradina; l’insegna al neon azzurro del piccolo pub. Viglietti è cinquanta metri più in là; Riccardo lo saluta con la mano, poi entra.
C’è fauna locale e straniera, riconosce qualcuno nella penombra, tra la musica assordante e il raso rosso mezzo sporco. Cerca di sgattaiolare oltre il bancone, ai tavoli, ma il proprietario in camicia lo ferma alzando la voce apposta: “Commissario! Cosa le offro?” “Che non fai lo ……., mi offri!” l’altro stringe le labbra e abbassa mezzo la testa. “Guarda mi siedo là con quel signore: tra cinque minuti portami una birra chiara e lasciaci in pace”, l’altro appare sollevato.
Il figlio è lì al primo cocktail: “Salve” fa Riccardo; l’altro sospira lungo, sensibilmente dispiaciuto “Commissario: sembra un film del tenente Colombo; guardi che io non ci capisco nulla, e non so niente; e non ho voglia di pensare, ‘stasera” “Sono io che ‘stasera so qualcosa su di lei” fa Riccardo e tira su col naso, “Oh! ma che bravi! Mi vuole perquisire? Magari arrestare…” “Guardi, per queste cose ci sono veri professionisti che tutti ci invidiano” “E allora? Non posso stare un po’ tranquillo?” “Certo, anzi mi scuso. Deve solo rispondere a un paio di domande, mentre arriva la mia birra: tutto qua, glielo prometto” l’altro sospira ancora: “Sentiamo…” “Lei conosce certi Imbelli e Calvo?” breve silenzio “No” “Niente niente?” “Niente niente” “Sua madre non le ha mai parlato di due tipi sui venticinque/trenta che giravano troppo spesso dalle sue parti?” “No; e poi mia madre non usciva mai, nemmeno lì davanti” “Guardi che se è sì lei non rischia niente, e mi aiuterebbe sul caso…” “Ma è no”; “Va bene. Passiamo allora a Rajina…” “Oh, quella… gliel’avevo detto: appena trova di meglio ti lascia in tronco; e lei: “no, no, quella è gente tosta, magari i nostri ragazzi italiani…!” e così via” “E invece…” “Già. Ma cosa c’entra Rajina?” “Lei lo sa dov’è andata?” “Figurati! Ci voleva tutta che ci parlassimo” “E con la morte di sua madre, non potrebbe c’entrare?” “Ma no, no: non era così; in fondo le voleva bene. E’ che secondo me aveva iniziato a fare i soldi in altro modo…” “Con quella roba lì?” fa Riccardo spingendo un po’ il mento verso la giacca del giovane, “No. no: con roba meno rischiosa” risponde quello con ironia., “Ah sì? E dove lo trovava il tempo?” l’altro lo guarda un po’ stupito, già alticcio: “Perché, lei chi è? Rocco Tano che ci sta delle ore?”; i due fanno silenzio: Riccardo scuote un po’ la testa; prova un po’ di pena. Vuota la birra in due sorsi lunghi. “La saluto”, l’altro non risponde e guarda nel vuoto. Il commissario si volta e se ne va.
Di nuovo la luna befana; un bel silenzio, rotto ogni cinque minuti dai vespini degli sfessati; Riccardo tira fuori la pipa, la carica, l’accende piano; di nuovo gli aranceti, di nuovo il profumo. Riccardo tira fuori il cellulare, fa il numero di Viglietti. Sorride un poco, poi lo cancella. Scrive un messaggio: penso domani si alzerà tardi. Tu comunque fallo seguire tutto il giorno. Penso poi torna a Milano. Bnotte vecchio.

18.
“Vai in servizio tardi, oggi” “Ieri sera sono uscito per servizio, ‘stamattina mi riprendo mezz’oretta” “Puoi decidere tu, dunque…” “Se gli altri non decidono per me” “Tipo?” “Che so: il Vicequestore, uno che ammazza qualcuno, i ragazzi che hanno un mezzo guaio…” “E come si fa a sapere che fai sul serio, che ieri sei andato spontaneamente a far qualcosa?” “Garantisco io!”, Gloria ride, come per liberarsi dai pensieri, mentre chiude il portone; “Anche tu vai a scuola tardi” “E’ il mio orario” “Orario di lusso!” “Ma il più, al contrario di quello che la gente crede, si fa a casa: correggere, preparare interventi, ristudiare cose…” “E garantisci tu, che lo fai bene” “Già” “Vedi?”, Gloria stringe un po’ il labbro e lo guarda dispettosa, si caccia le chiavi nel giubbotto di jeans; ci caccia la mano sinistra; con la destra riprende la cartella posata a terra. “Hai qualche novità per quel lavoro di Fefé?” “Pensavo di fare un salto ‘stamattina” “Non voglio mica darti del disturbo…” al pianerottolo si apre una finestra sul “vaticano”, qualche ramo d’albero arriva a sfiorarla; Riccardo si volta verso il cielo sgombro, come per iniziare a scendere le scale, con la donna poco dietro di lui; sospira forte guardando fuori: “Per me è un piacere… e tu?” “Io cosa?” “Dico: qualche novità ce l’hai?” “No: ieri sera è uscito regolare come al solito” “Telefono?” “Non più di prima: compagni, amici maschi…” “Non è strano per un innamorato?” “Forse. Se c’è qualcuna, però, bisogna vedere come è messa lei” “Non esistono ragazze senza cellulare!” “Questo lo credi tu: ad esempio molte mie dominicane non ce l’hanno, per lo meno non tutti i giorni” i due incominciano a scendere insieme. Riccardo è felice. “A riproposito: quella bimba che piangeva?” “E sì! è venuta la sorella… dice che le manca quella di mezzo” “E tu ci credi?” Gloria fa una faccia stupita, lo guarda mentre lui le apre il portone: “Lei con me a tu per tu lo ha confermato!” “Ah, bé” evidente ironia, “Perché fai così?” “Sai, voi profe vi facevo più intelligenti… con tutto il rispetto, eh” “E cioè?” “Cioè quella per mesi era tranquilla e beata, e adesso le è venuto in mente che le manca la sorella di mezzo” “E perché no? Magari una arriva e gode la novità, è curiosa, trova altre della sua terra già qui, trova compagne simpatiche… poi, quando la vita scorre un po’ uguale, si accorge di una mancanza…” “Se lo dici tu. Ma senti, scusa se mi permetto…” lei si accorge della vendetta nell’espressione furbastra di lui; per questo aspetta un poco, diffidente; poi fa: “Di’” “Sia a Fefé che a ‘sta bimba, gli hai mai frugato nel diario scolastico, mentre non ci sono?” “Ma stai scherzando, Riccardo?!” “Ah, già: la fiducia, la legge, l’importanza di rispettare anche i minori…” “Esatto!” “E se ci fossero dei rischi?” lei, immobile sul marciapiede, lo guarda : la sua espressione assume un po’ di paura. Riccardo sorride più largo e sincero; se ne va: i due sono diretti in direzioni opposte. “Pensaci!” le grida dopo qualche passo il commissario.

19.
Marta e Alberto hanno appena terminato un pranzo di intervallo in casa: insalatina, qualche fetta di salame Milano, un bicchiere di rosso buono, acqua; un frutto in due. Lei si alza dal suo posto, di fronte a lui. Si siede in grembo a lui, si baciano due minuti a fior di labbra.
“Sono riuscita a beccare Lorena facendo combaciare la pausa caffè: è facile; viene pena a pensare che per anni, tra vecchie compagne ok, non lo hai voluto fare…” “Che ha detto?” “Molto perplessa, sospettosa, titubante… ma poi si è sciolta: Riccardo la può intercettare al mattino mentre va al lavoro: abita un tre chilometri prima della banca e va sempre a piedi. Diciamo che alle otto meno venti la trova all’inizio: meno gente… più tempo per parlare… però dice che proprio non capisce in cosa possa essergli utile” “Avrà una sua idea… Riccardo voglio dire. Comunque oggi lo avverto: mi ha dato apposta il suo cellulare” “mm. E tu, quella telefonata dell’altro ieri?”; Alberto la guarda: la forma naturale del seno e la stretta della scollatura la rendono particolarmente tenera.
“Ieri pomeriggio sono andato alla Associazione sponsorizzata dalla banca. Mi ha accolto la segretaria: di quelle biondone magre tutte messe… obiettivamente non male” “Giovane?” “Una cosa sui trenta… magra ma ben piantata, e se metteva a posto fogli o la chiamavano non è che lesinasse lati B all’aria” “Ma senti lì!” “Bé: dice che la Fondazione è venuta a sapere che scrivo, che faccio ricerche…” “Toh!” “E da chi?”, ho chiesto, e lei non so sono una segretaria, se le interessa può incontrare un domani anche il direttore…” “Ah!” “E io dico magari intanto vediamo cosa ha da dirmi lei, e lei dice che appunto hanno saputo questo e lei ha l’incarico di sapere se voglio contribuire a quelle loro pubblicazioni-ormai-una-tradizione-cittadina-ebenoltre, non so se sa Natale etc.” “Che bello!” “E io dico guardi se era così che mi interessava mi sarei impegnato molto di più e mi sarei già fatto vivo io” “Che bello!” “E lei sappiamo che lei è molto riservato e fa il modesto” “Ma no!” “E io appunto ma no, comunque avrei troppo da fare” “E lei davvero non vuole parlare coi miei superiori? e io per ora no però eventualmente mi faccio vivo” “Che bello!”; “E non dire sempre: che bello!” “Ma non mi riferivo mica a quello! Al fatto che ce ne stiamo qui tranquilli, no?”. I due si baciano ora più a lungo. Poi Alberto prepara il caffè e mette a posto.
Escono insieme per andare al lavoro.
“Secondo me è meglio se a Riccardo glielo racconti” “E cosa c’entra?” “Bohh: così…” “Ah”.
Riccardo passa un paio di porte e cinque o sei divise sparse, poi trova l’ufficio bussa e entra. “Ah Borachia” fa Bistracci senza entusiasmo, e poi: “Cosa c’è?” “Come va?” fa Riccardo con una punta di cattiveria “Si tira avanti… c’è da fare. Allora cosa c’è?” “Riguarda due tuoi uomini: Imbelli e Calvo” “M mm: dimmi” “Visto che fai tanto il grosso impegnato, vengo anch’io subito al dunque: c’è un ragazzotto stupido, peraltro mio grande amico, che magari si è fatto qualche trombino ma infinitamente meno di gente che lasciano volutamente in pace…” “Eh! come corri! sai tutto tu?” “So più del tutto a cui ti riferisci” “Che poliziotto!” “Eh già… posso finire? Perché se non ti interessa fa lo stesso: però non vorrei aveste problemi strani…” “Allora vai avanti, ma sbrigati” “Ho finito: gli rompono le palle in continuazione, anche in contesti e orari poco canonici e non belli” “Avranno le loro ragioni…” “Diciamo che hanno spesso delle ragioni, nel modo di fare, da cui qualcuno potrebbe trarre un fascicoletto suo privato alto… diciamo così” (Riccardo mette le due mani dritte una sopra l’altra lasciandoci un 30 cm di aria in mezzo) “…e diciamo che sarebbe stato bene che il loro capo se ne accorgesse prima dei suoi superiori” “Ma cos’è: un ricatto?” “Secondo me no: primo perché tu sei un bravo agente, pulito; secondo perché sai già quasi tutto, e noi cittadini ci fidiamo del tuo savoir faire; terzo perché non ti sto chiedendo una contropartita, ma ti aiuto a migliorare i tuoi uomini: seguire le procedure, non fare favoritismi e viceversa, tenere le mani a posto, non sottrarre i cellulari fuori della caserma guardandoli senza preavviso, non farsi vedere da una madre, un commissario e un vicino di casa a far ‘ste belinate da novellini, non…” Bistracci, in piedi con due fogli in mano, lo guarda storto; è più alto, più dritto e più maschio / vecchio di Riccardo; e tutto questo ora gli sta maledettamente scocciando. Tira un sospiro di concessione, lungo: “Va bé farò il possibile, lasciami il nome” “Bravo: avevo fiducia in te. Comunque non c’è bisogno che mi ringrazi: una mano lava l’altra” “Arrivederci”, fa Bistracci senza simpatia e rivoltandosi verso le sue robe.
Borachia resta lì, in piedi, un po’ pensieroso; tanto che l’altro si rivolta interrogativo: “Beh? ti sei incantato?” Riccardo lo guarda più serio, senza rancore, stringendo un po’ lo sguardo per concentrarsi lontano: “No, senti: passiamo al nostro vero lavoro; siamo persone a posto, no?”, l’altro corruga la fronte incuriosito; il commissario continua: “Ci sediamo un attimo?” Bistracci fa un gesto con la mano verso la scrivania e i due si accomodano: “Allora?” la curiosità sta prendendo il sopravvento. “Non so se sai che ho un caso fra le mani: quello della vecchia profe morta in casa, soffocata con un cuscino” “Ho sentito qualcosa” “Ecco: da quelle parti, per ragioni che non so e non mi interessano nemmeno, i tuoi due bimbi ci bazzicano spesso; eppure non è una “piazza”: è un luogo aperto, discretamente pulito, pieno di gente normale: ad esempio io che ci abito non ho mai notato granché…” “mm” “Diciamo che quello che mi rispondi non l’ho mai sentito: ci dovrebbero essere così spesso?” “Così come sembrerebbe da te no: ma tu sei mica sempre lì! Non crederai a qualsiasi balla dei ragazzini… e poi il servizio di strada ha una certa autonomia: se no a cosa servirebbe? Sai Riccardo: c’è chi fa l’università e il corso e diventa subito un mezzo capo, e chi fa la gavetta battendo la strada…” “Certo! E naturalmente ai secondi solo la povertà di famiglia ha impedito il mazzo-tanto a studiare e al corso, mica la voglia di farsi i fatti propri senza tante responsabilità!” “Ti stai trattenendo per litigare?” “Anzi: io non ti sto più parlando male di loro; dico, se fosse vero, possibile che non abbiano notato storie collaterali al mestiere, passando così spesso di lì” “Tipo?” “Qualsiasi cosa… prestiti brevi manu, usura, prostituzione artigianale… anche semplici corna pericolose; magari altri uomini dei tuoi san qualcosa; diciamo: qua e là, senza impegno… poi ti rendo il favore” “Venendomi a minacciare in ufficio?” “E dai! preferiresti sapere di qualche loro casino a cose fatte?” “Vedremo…”, Riccardo sta un po’ lì; poi sorride, si alza, tende la mano: “Grazie” “Speriamo…”.

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