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E' paolo negro, ormai ex consigliere comunale di porto venere

Il cooperante spezzino in Rojava: “Le bombe turche uccidono bambini indifesi nell’indifferenza dell’Occidente”

Il cooperante Paolo Negro in Siria

Da due giorni i bombardamenti turchi sulla Siria nord orientale sono ripresi con intensità inaudita e le giornate trascorrono tra un allarme e l’altro, con corse a perdifiato verso i bunker e lunghe attese col cuore in gola e la speranza che le esplosioni non causino nuove vittime. Uno scenario di guerra simile a tanti altri in questo momento nel mondo, ma praticamente sconosciuto alla maggioranza degli italiani. E’ anche per questo che Paolo Negro, 35 anni e ormai ex consigliere comunale di Porto Venere, ha deciso di fare documenti e bagagli e partire nei mesi scorsi alla volta della martoriata area del Rojava.
Il suo 2023 è iniziato da candidato al ruolo di sindaco di Porto Venere ed è finito sotto i bombardamenti turchi in Siria. Negro, che è volontario di Protezione civile, ha dovuto preparare il viaggio in maniera del tutto riservata, dato che la Daanes, l’Amministrazione autonoma e democratica della Siria nord orientale, non è riconosciuta dallo Stato italiano, nonostante da dieci anni stia respingendo l’avanzata dell’Isis. E ora che ha raggiunto le zone di conflitto il cooperante spezzino sta denunciando l’orrore cui assiste quasi ogni giorno.

Dove si trova in questo momento e com’è la situazione in quella zona?
“In questo momento stiamo operando a Qamishlo, che è la città che nel giorno di Natale ha subito più morti civili e distruzioni di infrastrutture essenziali in tutta la regione, ma la situazione è drammatica ovunque, perché dopo decenni di oppressione della famiglia Assad e gli ultimi tredici anni di guerra civile la situazione è al collasso. Nel 2023 gli eserciti stranieri hanno ucciso quasi duemila civili, tra cui più di trecento bambini, che si aggiungono ad un numero ormai incalcolabile di vittime innocenti dal 2011. Da ottobre solo gli attacchi turchi nella Siria del nord est hanno causato oltre un miliardo di dollari di danni tra ospedali, scuole, stazioni idriche ed energetiche, tipografie per libri scolastici e altre strutture civili, con il chiaro scopo di mettere in ginocchio la popolazione locale e asservirla agli interessi di Ankara e dei suoi burattinai. È in corso una catastrofe umanitaria che rimarrà impressa nei libri di storia, insieme ai suoi responsabili”.

Con chi sta collaborando? Quali sono le ragioni del conflitto nel quale si trova?
“Siamo un gruppo di cooperanti internazionali che lavora per l’equivalente della Protezione civile italiana ma per l’Amministrazione autonoma e democratica della Siria nord orientale, meglio conosciuta come Daanes o Rojava.
Le ragioni del conflitto siriano sono complesse e molteplici, anche perché in campo ci sono cinque attori criminali con interessi diversi. Il principale è la Turchia, secondo esercito della Nato, che supporta organizzazioni terroristiche come Hamas e Isis, ma ha l’Unione europea come principale partner commerciale; è il più orientale tra i regimi atlantisti e proprio per la sua posizione strategica gioca un ruolo cruciale nell’intero scacchiere globale, godendo di fatto di un’impunità totale per ogni azione contro il diritto internazionale.
Il secondo attore è l’Isis, con basi in Turchia e legami con facoltose famiglie qatariote e saudite, che a ottobre ha incrementato gli attacchi contro il Rojava in coincidenza con i bombardamenti del governo di Erdogan, ma più in generale rappresenta ancora una minaccia concreta per tutti i popoli europei.
Il terzo è la famiglia Assad, che da decenni rifiuta una soluzione democratica con le minoranze interne che consentirebbe di fronteggiare meglio le minacce esterne, preferendo rimanere una tirapiedi della Russia per conservare i privilegi del proprio clan e affamare l’intero popolo.
Il quarto attore è l’Iran, che attraverso il Libano e il governo iracheno pattuglia il sud ovest del confine siriano e dell’Eufrate per isolare il Rojava e consolidare la leadership economica nella mezzaluna sciita.
Infine c’è Israele, che occupa illegalmente le alture del Golan e perciò boicotta ogni tentativo di pace e democratizzazione della Siria per perpetrare il conveniente caos dell’area”.

Perché ha deciso di andare in Rojava e come è stato il primo impatto?
“Capovolgo la domanda: perché chi ha la fortuna di nascere in buona salute nella parte fortunata del mondo non sente il dovere di aiutare chi sta morendo sotto le bombe, o quantomeno di parlarne per sensibilizzare l’opinione pubblica? L’Occidente collettivo sarà giudicato come la civiltà più egoista e pavida nella storia dell’umanità. L’impatto è sconvolgente per chi è abituato ad una società che ha solo pretese e nessuna inclinazione alla solidarietà: qui c’è gente che soffre la fame e si toglie il pane di bocca per darlo a te, che ha la casa distrutta dai droni e chiede se ti serve qualcosa. Chi è nato nel primo mondo ed ha un minimo di dignità rimane sepolto dalla vergogna a ripensare a tutti i futili capricci passati, ma lavorare dodici ore al giorno per queste persone allevia parzialmente il peso”.

Che cosa sta facendo nel quotidiano? Quali sono le sue mansioni?
“Le attività sono molto simili alle emergenze in Italia per le calamità naturali, ma qui gli eventi sono di carattere permanente e non eccezionale, causati dal più disumano imperialismo e non da fenomeni metereologici o sismici. Non si tratta solo di spalare o camallare, spesso bisogna anche offrire sostegno psicologico. A volte pure improvvisare una cavatina italiana come “Largo al factotum” può servire ad alleviare momentaneamente l’immane sofferenza e strappare un sorriso a chi ha passato una vita intera nella disperazione”.

Cosa ha pensato mentre si trovava sotto i bombardamenti turchi il giorno di Natale?
“Se il Papa è la massima guida morale per l’Occidente, perché i cattolici continuano a produrre strumenti di morte per Paesi che massacrano bambini innocenti, come la Leonardo con la Turchia? Oppure perché ci sono ancora giovani che optano per arruolarsi come pedine di organizzazioni che tutelano i profitti dei fondi speculativi a scapito di milioni di vite umane, come gli incursori con la Nato? Accettano di barattare la coscienza con un salario perché “tengono famiglia”? Purtroppo qui non possono fare la stessa scelta, perché dopo decenni di guerre ogni famiglia ha almeno un martire in casa e nessuna opportunità retributiva a medio termine”.

Che cosa può fare concretamente l’Italia per porre fine a una guerra di cui nessuno parla?
“L’Italia non può fare granché perché è una colonia degli Usa dal 1945, ma per lo meno potrebbe evitare di organizzare un Europeo di calcio con uno Stato che uccide bambini indifesi.
I media nazionali hanno la responsabilità deontologica di documentare questi crimini contro l’umanità, ma sopravvivono anche grazie agli spazi pubblicitari che vendono a importanti società italiane che hanno interessi consistenti in Turchia.
Pure i rappresentanti delle istituzioni possono portare questo orrore all’attenzione della società, come ad esempio hanno fatto i politici di alcune città per i venticinque anni di prigionia disumana di Ocalan, ma il 99,9 per cento di essi, dai consiglieri comunali ai ministri, pensano solo a marchette e propaganda per ampliare il bacino elettorale e conservare la poltrona anche nella legislatura successiva.
Chi ha anche solo un minimo di voce e sta in silenzio è complice e quindi corresponsabile di ogni atrocità”.

Quali sono allora le responsabilità internazionali?
“Fino al 1918 il secondo Reich manovrava il morente Impero Ottomano, poi gli Alleati hanno creato lo stato fantoccio della Turchia e disegnato confini fasulli in tutto il Medio Oriente.
In questo secolo Washington in particolare ha finanziato i gruppi terroristi da cui è nato l’Isis, in funzione prima anti Saddam e poi anti Assad, esattamente come Israele ha creato Hamas per indebolire l’Olp. Da 50 anni gli Usa perdono quasi ogni guerra, ma i fondi speculativi che controllano la Casa Bianca vincono sempre, perché fanno enormi profitti con la vendita delle armi e soprattutto con i finanziamenti ai governi per acquistarle. La progressiva riconversione dell’industria civile in bellica è l’ultimo fase politica possibile di un sistema economico in secolare putrefazione”.

Ci sono altri italiani che hanno scelto di venire in Rojava? Ne ha incontrati?
“No, ma cosa verrebbero a fare? Non si possono fare aperitivi e vacanze, non arrivano corrieri Amazon, non ci sono decoder per vedere le partite, non si può parcheggiare sotto casa e ci sono poche circostanze instagrammabili. Eravamo un grande popolo fino alla generazione dei miei nonni, poi il benessere sulle spalle del terzo mondo ha prodotto quasi solo bamboccioni viziati e presuntosi; la situazione però sta cambiando rapidamente e molti non avranno la necessaria coscienza politica per resistere”.

Prima di lasciare l’Italia si è autosospeso dal ruolo di consigliere comunale di Porto Venere, chiedendo alla Procura di Torino, in quanto ente competente, di valutare l’operato dei pm spezzini. Come mai questa scelta?
“A Porto Venere da anni regna il malaffare, ma nessuno muove un dito. Basta guardare i video dei consigli comunali ad esempio per capire che chi vince non lo fa per merito: l’amministrazione quasi sempre tace e quando parla fa pessime figure, ma inchiodarla ogni volta alle sue incapacità è solo una ripetitiva vittoria di Pirro. D’altronde basta lasciarla governare per palesare i suoi veri scopi, che sotto gli occhi di tutti stanno accelerando il disfacimento del territorio. Tutto il sistema è marcio ed era doveroso dimostrarlo in prima persona, ma quella missione ormai è compiuta”.

Per quanto tempo pensa di rimanere in Siria?
“È una domanda che nessun cooperante internazionale si pone, per varie ragioni. La prima è che le possibilità di percorrere i collegamenti stradali sono in costante cambiamento e quindi è impossibile pianificare persino gli spostamenti da una città all’altra, figuriamoci un lungo tragitto per la frontiera. La seconda è che i bombardamenti sono improvvisi e causano spesso necessità superiori alle previsioni, per cui appena terminiamo un intervento se ne presentano immediatamente molti altri. La terza è che la disperazione negli occhi di chi ha perso tutto inibisce ogni tentativo di codardia per tornare ad una vita opulenta.
La speranza e la finalità di questa intervista sono proprio quelle di provare a toccare le coscienze per arruolare nuovi volontari, perché ce n’è davvero bisogno”.

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