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Luci della città

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Tutto il mondo sotto il mare

Mar Rosso, Berenice (2018) (foto Matteo Signori)
Mar Rosso, Berenice (2018) (foto Matteo Signori)

Siamo più abituati a godere il mare in superficie attraversandolo a nuoto o in barca più che in profondità entrando nell’intimità dei suoi abissi. Se nuotare è un istinto, immergersi è una sfida. Io mi sono limitato una sola volta a fare snorkeling – non certo un’immersione! – nelle acque tra le rocce del parco dell’Argentario: ma il fascino dell’abisso un po’ l’ho percepito. Guardate le bellissime fotografie di Matteo Signori, che era con me quel giorno. Sono state scattate in Egitto, a Berenice, in un’immersione nei fondali del Mar Rosso. Eppure per secoli abbiamo avuto terrore della profondità del mare: abisso è una parola antica, spiega la storica Andrea Marcolongo, che significa “ciò che non ha fondo”. Nel mondo antico, se il corpo di un uomo era disperso in mare, la sua anima non accedeva nell’Ade. Se andate a Palinuro, nel Cilento, potete vedere la tomba vuota del nocchiero di Enea: gli abitanti la eressero perché, dopo aver gettato il suo corpo nell’abisso, furono perseguitati dalle sventure. La morte in mare, del resto, è stata sempre molto frequente… Fino a tempi più recenti: gli ex voto delle chiese dei borghi marinari ce lo dimostrano. Anzi, purtroppo fino al tempo attuale: negli ultimi dieci anni il Mediterraneo è diventato la fossa comune per 26 mila migranti. Come il corpo di Palinuro i loro corpi non hanno avuto sepoltura. Forse i naufragi sono più di allora, e l’abisso è anche l’abisso dei diritti umani.
Il rapporto dell’uomo con la profondità del mare cambiò grazie alla scienza e alla nascita della letteratura fantascientifica moderna. Tra il 1869 e il 1870 Julius Verne pubblicò “Ventimila leghe sotto i mari” (il cui titolo originale in francese è “Tour du monde sous-marin”). Chi di noi, da ragazzo, non è stato conquistato dalle imprese del capitano Nemo a bordo del sottomarino Nautilus? Da allora l’uomo ha cercato di sottomettere gli abisso. Per conoscerli ma anche per sfruttarli nelle guerre. Come ho raccontato in “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, in Italia non si tennero mai manifestazioni studentesche al canto di “We All Live in a Yellow Submarine”, come avvenne a Berkeley nel dicembre 1966 contro l’arresto di Jerry Rubin e di Mario Savio, animatori del Free Speech Movement. Eppure la canzone dei Beatles, che da noi sembrava allegra e trasognata, era molto probabilmente una critica alla guerra in Vietnam attraverso la riappropriazione giocosa di uno dei simboli della guerra fredda, il sottomarino nucleare. O almeno così fu ascoltata e cantata in America.
A proposito, Spezia è anche “città dei sommergibili”. Quando mi recavo in Germania per il gemellaggio con Bayreuth o per discutere con i vertici di Contship, eravamo più famosi per i sommergibili che per le Cinque Terre. Oggi non è certamente più così, ma Italia e Germania sui sommergibili collaborano ancora oggi.
E’ quindi naturale che Spezia sia stata scelta come sede del “Polo Nazionale della Dimensione Subacquea”, inaugurato in pompa magna nei giorni scorsi negli spazi del Centro di Supporto e Sperimentazione Navale della Marina in viale San Bartolomeo. Ma di che si tratta? Leggiamo su “Città della Spezia” qualche passo del memorandum di intesa. Si parla di “sviluppo congiunto di una rete di piattaforme e sistemi di sorveglianza, controllo e protezione di infrastrutture critiche e aree marittime subacquee” attraverso la “valorizzazione della filiera italiana di pmi e start-up che saranno chiamate a contribuire allo sviluppo di tecnologie innovative per lo specifico ambiente e in un’ottica multi-dominio”. La struttura è finanziata per due milioni di euro dall’ultima legge di bilancio, mette insieme una trentina tra imprese, istituzioni, università e sarà coordinata da una fondazione, della quale però deve ancora essere definita la governance. Non sarà facile coordinare i vari interessi in gioco: l’impresa che vuole il profitto, la Marina che punta alla difesa, l’università che ha la missione della ricerca. E non si potrà fare molto con due miliardi. Giuseppe Cossiga – il successore del ministro della Difesa Guido Crosetto alla presidenza dell’Aiad, la Federazione delle imprese italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza – è stato, in occasione di un convegno della Fondazione Leonardo, inequivocabile: “Con due milioni non si fa niente. Ne serviranno 20 se non 30, e non per un anno ma per 5 o 6”. Si vedrà. Intanto lo Stato non ha i soldi sufficienti per l’ammodernamento degli arsenali italiani – quello spezzino è in disfacimento – ma li ha trovati per il progetto “Basi Blu”: 1,7 miliardi, di cui 762 milioni già finanziati, per un tombamento a mare di oltre 40.000 m2 finalizzato a garantire infrastrutture e servizi di natura logistica e portuale alle nuove unità militari della Nato, senza incrementi significativi del numero degli addetti, sia militari che civili. Una vera beffa: il resto dell’Arsenale resterebbe così com’è, e Marola perderebbe per sempre la speranza di recuperare il mare perduto.
Ma torniamo al Polo della Subacquea. Nei testi e negli interventi di questi mesi e giorni non ho letto o ascoltato parole su come le tecnologie “underwater” possano essere utilizzate per rimediare agli effetti negativi dell’opera dell’uomo sull’ambiente: lo sfruttamento irresponsabile, con la pesca non regolata, fino all’estinzione di intere specie animali; l’inquinamento da idrocarburi e microplastiche; gli effetti dei cambiamenti climatici e l’erosione delle aree costiere… Disastri che percepiamo di meno rispetto alla desertificazione, ma che incombono drammaticamente.
Crosetto, a Spezia per Seafuture – nel giugno scorso – aveva usato altre parole: è fondamentale “la dimensione subacquea, dove passa l’energia, dove passano le reti di comunicazione e dove probabilmente potremo cercare i metalli che non troviamo in superficie”. Il mare come abisso da scavare, da trivellare, popolato da droni, veicoli, sensori senza pilota. Innanzitutto per avere gas e per pattugliare le condotte di gas dell’Eni. In un’inchiesta, Sofia Basso di Greenpeace ha scritto che circa il 64% della spesa italiana per le missioni militari del 2023 è stata destinata a questo pattugliamento. Ma non c’è appena stata la Cop28, la conferenza dell’Onu sul clima a Dubai, che ha riconosciuto che le fonti fossili sono la prima causa del riscaldamento globale? E’ vero che purtroppo è stata vaga sulle percentuali di fonti fossili da tagliare ogni anno, ma almeno ha detto che occorre ridurre progressivamente petrolio, gas e carbone. E si pensa alla subacquea principalmente in funzione del gas?
Eppure la Fondazione Leonardo e la Marina, nel loro rapporto “Geopolitica, strategia, interessi del mondo subacqueo” hanno messo in guardia sull’”urto che la corsa alle risorse dei fondali porterà su un ecosistema ambientale delicato ed essenziale per la sopravvivenza del genere umano”. Greenpeace è netto: “Purtroppo niente esclude che possa esserci un grande sconfitto: l’ambiente”. Non solo: la militarizzazione dei fondali fa pensare a un’altra sconfitta, quella della pace. Eppure scienza e tecnologia, anche nella subacquea, possono servire per l’ambiente e per la pace. Come sempre è solo questione di volontà. Francesco ci insegna che si può salvare il clima, che si può fermare la guerra. Il problema non è la tecnica, è l’economia che governa il mondo di oggi. Interesse economico di pochi o interesse collettivo? Una città da sola non può invertire la rotta, d’accordo. Ma può provare a far sentire la sua voce. Non tutto può passare sulla nostra testa, ognuno di noi deve assumersi la responsabilità. Se non ora quando?

Post scriptum
Sul progetto “Basi Blu” rimando all’articolo di questa rubrica “Torniamo ad essere golfo dei poeti e golfo del lavoro”, 2 luglio 2023.
Le fotografie di oggi sono state scattate da Matteo Signori a Berenice, in Egitto, nel 2018.

lucidellacitta2011@gmail.com

 

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