Potrebbe essere un personaggio di quel Werner Herzog con il quale da qualche tempo ha allestito un rapporto, o anche un mite e intelligente lombardo uscito dalla cinepresa di Ermanno Olmi: Franco Baresi, storico capitano di Milan e Nazionale, ha fatto tappa ieri sera a Lerici per Lerici LibrAria con il suo libro Libero di sognare (Feltrinelli, 2021) – proprio di Herzog le suggestive e indovinate parole che chiudono il volume, lette a fine incontro -, intervistato da Alessandro Grasso Peroni e Armando Napoletano di fronte a una Rotonda Vassallo gremita e colorata qua e là da immancabili pennellate rossonere. “Un libro che racconta un po’ tutto il mio percorso, la mia vita da quando a sei-sette anni ho iniziato a dare i primi calci – ha spiegato l’ex libero del Diavolo e degli Azzurri -, e attraverso il quale ho voluto trasmettere un messaggio che viene dal cuore: mai rinunciare ai propri sogni, qualsiasi essi siano; bisogna essere bravi a guardare lontano, e ad affrontare le avversità, ad andare avanti con determinazione, sacrificio, coraggio. I ragazzi devono sapere che possono raggiungere traguardi che magari ora sembrano loro impensabili – anche per me è stato così -, devono credere nelle loro possibilità, nelle loro qualità, non bisogna poi avere rimpianti. Può sembrare che oggi tutto vada male, ma domani può essere un giorno nuovo, con opportunità nuove. E’ quello che è capitato anche a me”. Una storia di vita e di sport fondata su solide basi: “Ho passato la mia infanzia in un ambiente umile e semplice ma ricco di valori, dove le persone erano sempre disponibili, attente all’altro, pronte ad aiutarsi, dove il rispetto e l’educazione non dovevano mai mancare, valori che ho portato con me da calciatore e da uomo”. Ricordando l’importanza, la preminenza dell’aspetto umano: “Prima c’è la persona, poi l’atleta: a volte ce ne scordiamo”.
Filo conduttore del libro, la finale di Usa ’94, con l’Italia sconfitta ai rigori dal Brasile; tra gli errori proprio quello di Baresi (“Tutti si ricordano degli errori mio e di Baggio, Massaro è fortunato, del suo non si ricorda nessuno”, ha scherzato), protagonista di un recupero lampo dopo il serio infortunio patito nel girone, con conseguente operazione. Una gran partita, quella giocata dal capitano a Pasadena: “Mai avrei pensato di giocarla. Sacchi mi chiese di scendere in campo, sapeva che avrei dato non il cento, ma il centoventi per cento. E’ stata una delle prestazioni migliori della mia carriera, una prestazione di dominio mentale soprattutto, alla fine la mia forza è sempre stata soprattutto quella, la forza mentale, l’attenzione”. Numerosi i temi, i volti, le storie affrontate nel corso della conversazione: dalla fondamentale figura di don Piero Gabella, parroco dell’oratorio dove Baresi mosse i primi passi calcistici, al provino col Milan che fu buona la seconda (“Ma non è vero che il primo, quello in cui non mi presero, lo feci con l’Inter, è una leggenda”), da Sacchi e Capello al vittorioso Mundial seguito dalla prima stagione da capitano del Milan fresco di retrocessione in B, dal rapporto col fratello nerazzurro Beppe (“Nei derby un po’ d’attenzione c’era, l’entrata su di lui era un po’ meno ‘feroce'”), dall’importanza della famiglia all’attenzione, da capitano, verso tutti i compagni, a maggior ragione verso chi giocava meno (“Van Basten o Gullit non avevano bisogno di una pacca sulla spalla”).
Non è mancato il ricordo di Pelè – “Era di un’altra categoria” – né quello di Maradona: “Era straordinario, aveva un cuore grande, era amato da avversari e compagni. Ci manca, un personaggio incredibile. Ha dovuto affrontare tante difficoltà, forse non è stato aiutato. Ricordo le grandi sfide con il Napoli… lo picchiavamo ma si alzava senza mai protestare o lamentarsi. E’ stato un avversario, uno stimolo. La sera prima di affrontarlo non si dormiva bene. Dovevamo essere sempre organizzati a essere in due o in tre, altrimenti uno contro uno avevi perso”.
Un passaggio poi sul mondo del calcio giovanile, che ha conosciuto anche in prima persona allenando Primavera e Berretti del Milan: “Bisogna essere bravi, capire che i giovani oggi hanno tanti stimoli. Se un ragazzo non si allena bene magari c’è un motivo, non bisogna pensare che un ragazzo che arriva al campo sia un robot, un burattino. Occorre andare oltre, toccagli il cuore ai ragazzi. Se un giovane viene al campo e non è felice non può migliorare, crescere, allenarsi bene. La felicità è importante sempre, qualunque cosa facciamo, qualunque professione svolgiamo”.
Infine, conclusa la conversazione, un fiume di persone ha raggiunto Baresi per firmacopie (i libri sono andati a ruba), autografi e foto ricordo sul palco.