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1919-2019

Lo stadio Picco, storia di un collage architettonico

Metà progetto Gregotti, un quarto calcestruzzo degli anni Trenta e un quarto prefabbricato. Più un'entrata monumentale "di gusto decò". Dalle tribune in legno ai tornelli, la stratigrafia di un luogo che ha un'unità solo semantica.

Il Picco, uno stadio collage

Tante teste e tante mani ci hanno lavorato per arrivare all’oggi, tanto che è difficile stabilire una completa stratigrafia degli interventi. Il compleanno dello stadio “Alberto Picco” tuttavia si avvicina e una legenda minima del collage architettonico vale la pena abbozzarla. Tra poco più di due mesi saranno esattamente cento anni dall’inaugurazione. Il 1919 è l’anno del primo governo del liberale Francesco Saverio Nitti, della vittoria mutilata uscita dai Trattati di Versailles, dell’Impresa di Fiume e dell’inizio del Biennio Rosso che parte proprio dai moti della Spezia dell’11 giugno contro le serrate dei commercianti che protestano per il carovita. Sarà il caos. La bandiera sovietica, secondo le cronache, arriva a venire issata sul pennone della Caserma Duca degli Abruzzi e ci rimane per giorni e giorni.
A poche centinaia di metri dalle prove generali di una rivoluzione, ne arriva un’altra. Legata però al costume. Il primo mattone di quel patchwork di stili che è oggi lo stadio Picco non è un mattone. E’ un palo di legno bagnato di pece per evitare l’umidità di risalita che tutto corrode. La polvere sulle scarpe di chi si affacciava alle staccionate per vedere il football diventa un ricordo con l’inaugurazione delle prime due tribune in legno. Alla moda britannica, i rettilinei da qualche centinaia di posti fanno la comparsa lungo Viale Garibaldi (allora era questo il battesimo). Gli stadi che ancora resistono con questa configurazione nel mondo sono pochissimi.

Il Picco durò esattamente 14 anni. Se nel 1922 fu inaugurata la lapide per gli eroi della Grande Guerra (Picco, Toso, Francesconi, Zambelli, Ferrari e Orsini), dieci anni dopo circa nacque invece il portale d’ingresso che ancora oggi ne è il simbolo. L’entrata monumentale “di gusto decò”, come la definisce la Soprintendenza che l’ha sottoposta a vincolo architettonico, con le sue colonne sormontate dalle statue. E’ ancora lì, così come è ancora lì la tribuna in cemento inaugurata nel febbraio del 1933. Rivista e corretta negli anni, ma il concetto è sempre quello: calcestruzzo sotto i piedi e sopra la testa la tettoia che scarica il proprio peso sui pali d’acciaio (già, quelli che interrompono la visuale del campo). Insieme alla gradinata in cemento, nata insieme alla tribuna, sopravviveranno alla guerra e per trent’anni saranno in pratica tutto il complesso.
La prima curva a nascere sarà la Curva Ferrovia nel 1964. Prendeva e prende il nome dalla linea di servizio per l’arsenale che le passava dietro ed era poca cosa rispetto ad oggi. Curva di fatto, per assecondare la linea della pista d’atletica, allora ancora presente, diventerà presto il settore popolare. Anticipa di dieci anni la nascita del gruppo ultras che ne faranno la loro casa dopo un primo ingrandimento negli anni Settanta per adibirla in parte agli ospiti.
Il Picco inizia ad assomigliare davvero all’attuale però solo dal 1986 quando nasce la dirimpettaia Curva Piscina, che porta con sé una grande novità: non è curva. La pista d’atletica sparisce e il settore è costruito parallelo alla linea di fondo del campo, proprio di spalle alla porta. E’ perfetto per il “movimento” che allora inizia a balzare alle cronache. Ha una buona capienza ma presto non basterà, tanto che nel 1988 in pratica raddoppia con l’innalzamento in ferrotubi. E’ il “cantiere degli ultras”, quello a cui lavorano in modo volontario gli stessi tifosi per riuscire a finirla nel minor tempo possibile.

Il 1989 è invece l’anno in cui dallo studio dell’architetto Vittorio Gregotti esce un progetto complessivo di rifacimento commissionato dal Comune. E’ il “Picco dei sogni”, il cui modello in scala (i rendering erano ancora da venire) in una teca di vetro sarà esposto addirittura di fronte al Bar Crastan di Viale Garibaldi, abituale punto di passaggio e ritrovo dei tifosi. Da quel disegno sarà costruita la nuova Curva Ferrovia ad arco nel 1993 e contemporaneamente la gradinata coperta. Metà di quel progetto diventerà stadio, il resto rimarrà sulla carta.
I grandi lavori sulla capienza finiscono in pratica 25 anni fa, salvo il rifacimento della Piscina in ferrotubi per come la si vede oggi. I 15mila spettatori teorizzati da Gregotti rimangono i poco più di 10mila di oggi. In compenso si assiste a una modernizzazione interna, soprattutto in corrispondenza del ritorno in serie B nel 2006. Il tunnel per i tifosi ospiti collegato al parcheggio che origina dal fu campetto “del lazzareto” nasce in questo periodo, sparisce il fossato dei distinti e compaiono le pareti in plexiglass, nuove tutte le torri faro. Fuori, il sistema dei tornelli viene implementato a partire dal 2007 e ampliato nel 2017 quando viene abbattuta la cosiddetta Casa del colonnello. In anni recenti è sparita la rete tra la Ferrovia e il campo ed è stato costruito l’ascensore per i disabili lungo Viale Fieschi. Per ora il viaggio finisce qui, in attesa del piano lavori che inizierà il prossimo anno. In cento anni la sola unità che ha trovato è quella semantica.

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