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Una storia spezzina

Una storia spezzina

Quel bosco sacro che viaggia verso i cent’anni

di Alberto Scaramuccia

Parco della Rimembranza

Già alla fine del 1919 l’Amministrazione allora retta da un Regio Commissario, aveva deciso di “consacrare” alla memoria dei caduti spezzini nella Grande Guerra il viale Italia, che allora era intitolato a Re Umberto, piantando dei lecci nel tratto fra viale Savoia (Amendola) e Porta Rocca. Poi, nel dicembre del ’22 il Ministero della Pubblica Istruzione stabilì che per iniziativa di ogni scolaresca (la cronaca la definisce “idea nobilissima e generosa”) sorgesse un viale o un parco chiamato “della Rimembranza” unendo ai caduti nel conflitto anche i fascisti morti nella “guerra contro il bolscevismo”.
Così muta il progetto primitivo e si destina ad ospitare il Parco della Rimembranza, la collina di Gaggiola, nome che nella lingua della popolazione longobarda che l’aveva abitata significa proprio bosco sacro. Per fare il parco ogni alunno porta un’offerta, il pittore Felice Del Santo lo disegna, l’agronomo Alfredo Bartolozzi lo realizza e l’avvocato Francesco Agnese, segretario del Comune, si attiva per ottenere l’area, proprietà demaniale, dallo Stato. Sul rilievo si piantano ben 540 alberi, ognuno con a lato una lancia recante il nome di un Caduto.
Cinto alla base da una cancellata in ferro, alla sommità vi sono cipressi dedicati alle medaglie d’oro e d’argento e lungo i pendii querce, tigli, lecci e pini. A metà collina è posta una lapide con l’epigrafe “Morendo si sottrae da morte il sacro stuolo”, i versi 77 e 78 della canzone “All’Italia” di Leopardi. Il parco viene inaugurato con una fastosa cerimonia domenica 4 novembre 1923, quinto anniversario della vittoria.

Prima delle nove la folla si raduna davanti al Politeama. C’è il sottosegretario alla PI Dario Lupi con le Autorità militari e civili, sindaco Pontremoli in testa, un prete che benedice la lapide ed una folla di popolo intervenuta per la “consacrazione solenne”. Il corteo sfila per la città e prima delle 11 è a Gaggiola dove l’abate D’Isengard benedice il Parco. Dopo un minuto di raccoglimento e le ultime liturgie celebrative, la cerimonia si conclude e tutti fanno ritorno a casa. Da quel giorno sono passati 97 anni e il Parco è ancora lì, un po’ invecchiato e forse un po’ trascurato dai grandi che non portano più i loro bambini a giocare su per il pendio e con il laghetto prossimo all’entrata. Io lì da bimbo osservavo il gracidio delle rane ed ai miei figlioli mostravo fra gli alberi il volo di qualche fata che, per quanto immaginaria, loro vedevano ugualmente: nato per celebrare una vittoria, il Parco si era via via trasfigurato in una dimensione fantastica che forse, purtroppo, ora s’è persa.