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Una storia spezzina

Una storia spezzina

Ma quale pennichella, noi la chiamiamo "polata"

di Alberto Scaramuccia

Dormire

Giusto l’altro giorno stavo chattando in rete con una cara amica con cui ho convissuto qualche tempo fa per un intero triennio. Ad un certo punto sono stato costretto ad interrompere la conversazione informatica ché l’incipiente sonno pomeridiano cominciava ad avere la meglio. Così, pur a malincuore, costretto a troncare, ho scritto “a g’ho sonno, a vo’ a fame ‘na polata” (perché noi de ciassa Brin da tempo non usiamo più il classico polada). L’amica che ha nostalgia della Sprugola da cui da tempo si è allontanata, di rimando commenta “vai a farti una pennichella”. “No, ribatto io, ‘na polata”. Verbo strano è questo polae con tutti i suoi derivati. Strano perché non se ne capisce bene l’origine, uno dei sacri testi addirittura lo accosta al polae che indica lo scaturire della polla, l’acqua che erompe da una sorgiva.

Tuttavia, non è facile accostare il gorgoglio della fonte, che a volte può essere anche brontolone, al silenzio che è il requisito primo del riposo. Escludendo poi i poli nord e sud come matrice di polae, resta in ballo come unica risposta solo il pollo: l’abitante delle stie il cui petto è così buono fritto. Ma non penso che l’etimologia della parola sia così immediata. Infatti, il pollo, almeno il ruspante tanto introvabile oggi quanto frequente aiei l’autro quando nasce il verbo polae, è in continuo movimento per acchiappare con il suo becco di che nutrirsi. Va detto, però, che per antonomasia il pollo è animale credulone convinto della bontà d’animo di chi gli getta chicchi di grano nell’attesa di spiumarlo. Proprio da questa vera o presunta dabbenaggine del volatile, secondo me, nasce sulle sponde della Sprugola l’abitudine di deridere una persona qualificandola come pollo, un addormentato di cui è facile farsi gioco. Questa è la via con cui mi spiego perché la dormita in qualsiasi ora della giornata è la polata, addormentato come un pollo.

È onesto dire che non pretendo affatto di essere nel giusto dato che questa che ho appena avanzato è soltanto un’ipotesi. Per questo, se qualche lettore più accorto di quanto sia io mi correggerà, beh, sarò contento perché avrò imparato qualche cosa che ignoravo anche se avrò fatto la figura del pollo. Infine, mi giova dire che la cara amica di cui dicevo all’inizio, non è altro che un’alunna di oltre trent’anni fa che nella sua gentilezza ha voluto restarmi amica nonostante che le abbia lanciato contro urlacci per i tre anni delle medie. Sono certo che chi legge non ha pensato male, ma se non lo dico c’è il rischio che Stefania fraintenda: se sfortunatamente succedesse, quella mi strina come un pollo.