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Una storia spezzina

Una storia spezzina

Cent’anni fa eravamo gli stessi di oggi

Piazza Verdi

In questi giorni in cui è meglio non pensare a quanto potrebbero essere neri i tempi a venire, conviene tornare indietro di 100 anni per vedere che cosa pensavano gli antenati che neppure loro stavano bene. Erano appena usciti dalla guerra; avevano sofferto la spagnola, virus del tempo; vivevano una situazione economica scassatissima, ma, nonostante tutto, c’era più che ottimismo, tanta speranza per un futuro più roseo. A febbraio un bell’articolo del Tirreno fa i conti con il dato demografico. Gli abitanti residenti alla fine del ’19 sono 83.883 cui si devono aggiungere i militari di guarnigione che sono computati a parte ed assommano a 9.976 unità. Ovviamente, la maggior parte della popolazione si concentra nel centro (46200), ma tanti sono anche a Migliarina e Valdellora (li contavano insieme e sono 15000) e a Marinasco (9200). Gli altri 14mila e passa stanno nelle altre frazioni: Pegazzano, Marola, Fabiano, Cadimare, Biassa, Isola e Campiglia che con 511 persone è il fanalino di coda.

Siccome allora facevano figli più di noi, i nati (1419) superano di 61 unità i deceduti, un numero alto imputabile all’epidemia di spagnola. Biassa detiene il record del tasso di natalità con 3,29 nati per cento abitanti. Migliarina ha il triste primato della mortalità (2,19%) ma lo si comprende perché i deceduti all’ospedale Sant’Andrea sono conteggiati con Valdellora che fa tutt’uno con Migliarina. Se il dato fosse scomposto, la prima posizione nella macabra classifica spetterebbe a Campiglia: il giornale la motiva con “le morti accidentali che si verificano durante la vendemmia”.
Anche se il giornale afferma che per “una legge naturale di compensazione” nei periodi di guerra nascono più maschi che femmine, solo nel centro città i bimbi sono più delle femminucce.

Il dato apparentemente strano è che gli immigrati (2326) sono meno degli emigrati (2414). Alla Spezia non era mai successo ma a spiegarlo è il ritorno a casa di profughi di guerra. Ad andarsene sono soprattutto le donne e il galante redattore, commentando l’esodo delle femmine, lo definisce il “ratto delle spezzine che sono indiscutibilmente graziose”.
Insomma, c’è tanta precarietà ma pure altrettanta fiducia. Per i numeri che vanta la Spezia è la diciassettesima città italiana e questo dato, ecco che si arriva al concreto, autorizza a credere che quando si arriverà al decimo posto, traguardo che non pare assolutamente lontano, “è da augurarsi si commuovano i poteri centrali e ci regalino il Tribunale e la provincia”: occorre sostenere l’economia locale anche dandole le strutture istituzionali che servono.