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Sprugoleria

Sprugoleria

Quanto manca Gino Patroni…

di Bert Bagarre

La targa che ricorda Gino Patroni di fronte al Bar Peola

Ci fu una volta un tale, vero figlio doc di questa landa abbeverata dalla Sprugola, che si divertiva a dire le cose in un modo che immediatamente veniva il sorriso in chi l’ascoltava e quanti spettatori c’erano attorno al tavolino del bar dove era solito consumare i suoi non pochi aperitivi. I se setava ad un tavolino sprofondando in una carega dove riusciva a stare comodo, forse l’unico fra i frequentatori del locale alla moda a non lamentarsene. Da lì sparava maree di aforismi, soprattutto sul natio borgo che poi, se ci pensate bene, sempre selvaggio è per tutti quelli che dicono della propria homeland. Della sua natura non sempre ospitale era veramente innamorato. Narra la leggenda metropolitana che quando lavorava a Milano, gli chiesero che cosa fosse per lui la cosa più bella del capoluogo lombardo e lui rispose senza esitazione alcuna “il treno che mi riporta a Sprugolandia”, tanto era il bene che voleva a questa landa.
Ma quando era al bar dispensava le sue chicche che sono diventate favole che gli sprugolotti si ripetono la sera attorno a un desco, ognuno con il suo goto de vin in mano a ripercorrere un tempo che non c’è più, sparito come le chiome che una volta mi coprivano le spalle.
Sapendo quanto ben i sprugoloti i vogio a-a fainà, innamorati di quella sottile striscia di pastella che la mangiano appena estratta dal forno, ancora bollente, incuranti se gli strina la bocca da tanto che sono impazienti di sentirsela squagliare fra i denti mentre i la mastego, disse che quelli che abitano da ‘ste parti sono “fratelli di teglia”. Ma fré de tegia, non gliel’ho mai sentito dire. Pare strano, lui che parlava abitualmente la lingua nostra, in quei casi usava la parlata che si usa quando passiamo il confine. Penso perché voleva che quel patrimonio lo potessero condividere anche gli sfortunati che non abitano il bel paese dove goto e carega suonano.
Seduto a quel tavolo, spingeva gli occhi oltre i portici, verso il mare che vedeva solo con lo sguardo della mente e in quei pressi vagabondava. A volte si soffermava su una stradetta così corta, manco vinti metri, e trascurata che quasi nessun a la conossa nonostante che sia intitolata ad un altro che per queste contrade aveva smarrito il ben dell’intelletto. Di mestiere faceva il poeta e di nome Ceccardo Roccatagliata Ceccardi. A pensare a questa sua denominazione che i somigia ciù a uno scioglilingua che a come si chiama un cristiano, il nostro amico commentava che alla via più breve di Sprugolandia era toccato il nome più lungo.
A sentirlo tutti ridevano; ascoltandola oggi, ci accorgiamo quanto manca.

BERT BAGARRE

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