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Quisquilie e meraviglie

Quisquilie e meraviglie

Giochi di parole in un giorno di metà giugno

di Beppe Mecconi

Mareggiata

Metà giugno, era brutto tempo.
Da pochi giorni erano finite le scuole e la mamma l’aveva portata dal nonno, al mare, la sarebbero tornati a prendere una settimana dopo, quando anche i genitori avrebbero iniziato le ferie.
Avrebbe voluto passare quei primi giorni di vacanza sulla spiaggia, in acqua, o a fare quelle belle passeggiate col nonno in quei sentieri in mezzo al verde caldo e calmo dove poi all’improvviso si scorgeva tra i rami dei pini o dei lecci il brillare argenteo del mare.
Ma per il quarto giorno di fila pioveva forte.
Aveva letto tutto quello che le interessava, i programmi alla TV avevano stufato anche i fiori beige della vecchia carta da parati, i compiti per le vacanze li aveva praticamente già finiti, al puzzle da 1000 pezzi “Carnevale Disney” mancavano proprio le faccette di Topolino e Minnie e s’era scocciata di perdere a ramino col nonno, e anche di disegnare, e poi aveva finito i fogli.
Lui stava sul divano a leggere il suo settimanale, lei si rotolava sul tappeto come una gattina nervosa. Aveva legato la chioma ribelle in una specie di coda, in alto, sulla nuca; era quasi l’ora di cena ed era ancora con la canottiera e i calzoncini corti del pigiama celestino. Sui vetri della finestra del salotto il vento, a intervalli irregolari, faceva arrivare scroscianti raffiche di pioggia. Era un rumore che le sembrava bello, cioè le sembrava bello, pensò, perché faceva piacere sapersi al coperto mentre là fuori c’era una specie di bufera. Si alzò e si mise a guardare le gocce che velocissime correvano diagonalmente da destra a sinistra e dall’alto in basso sui vetri, prima cercò di indovinare quale disegno cercassero di comporre, poi, visto che ogni bozzetto veniva rapidissimamente cancellato dalla raffica successiva, tentò di prevedere quale gocciolina sarebbe arrivata prima alla cornice di legno seguendole con la punta delle dita. Si sentì osservata.
Si voltò e vide che il nonno la guardava. Colse la palla al balzo: «Su, facciamo qualcosa!».
«E cosa vorresti fare? Sono stufo di batterti a ramino».
Lei mise le mani sui fianchi, piegò la testa di lato, lo guardò male e poi gli fece una linguaccia.
«Sai un sacco di cose. Saprai anche qualche gioco che io non conosco!».
Lasciò la rivista e si mise più comodo, pensò un attimo: «Da bambino, quando capitavano di queste giornate e non avevo certo i giocattoli che hai tu, non avevamo la TV e alla radio non c’era mai niente per i bambini, mi inventavo dei giochi nella mente, giochi di parole». Si avvicinò e si sedette sul divano a fianco a lui.
«Giochi di parole? Come si fanno?». «Oh, beh, ce ne sono a centinaia, credo che ognuno possa inventarsi quelli che vuole». La guardò come se aspettasse che lei dicesse qualcosa, ma non disse nulla, continuava a fissarlo. «Ad esempio» riprese «Uno dei più facili è l’alfabeto degli animali. Cominci con la A, Anatra ad esempio e, passando per Bruco, Camoscio eccetera arrivi fino alla Z». «Zebra, Zebù, Zanzara!» disse lei.
«Esatto, appunto. Però puoi renderlo più complicato decidendo di non dire solo un nome per lettera, ma due, tre. Oppure di elencare solo mammiferi, e poi mammiferi erbivori, insomma puoi renderlo sempre più difficile». «Bello! E gli altri come sono?». «Ad esempio puoi mettere gli alberi al posto degli animali, o i fiori; nomi da maschio, nomi da femmina, le città, gli stati, io lo facevo anche con i calciatori e i ciclisti… Certo gli animali sono i più facili».
La ragazzina cominciava ad agitarsi sul divano, non vedeva l’ora di cimentarsi in qualcuno di quei giochi, ma voleva saperne di più, voleva sapere cos’altro si inventava suo nonno quando era piccolo come lei.
«Un altro che mi piaceva e che faccio ancora qualche volta quando non riesco a prender sonno, così stanco il cervello e non faccio pensieri…, è, sempre cominciando dalla A, pensare ad una parola che abbia come lettera successiva la B e poi la parola che inizia con la B deve avere, naturalmente dopo una vocale, subito dietro la C e così via». «Cooosa?». «Ok, è più facile giocarci che spiegarlo. Ad esempio la prima parola è ABaco, la seconda sarà BaCello, la terza CaDetto…». «Ho capito, ho capito. DElizia, EFfimero, FaGiolo…».
Adorava quella ragazzina, lo sorprendeva ogni volta con la sua sveltezza.
«Poi ti sfido nonno, una parola per uno. Certo bisognerà saltare la H, e la Z dovrà avere dietro la A. Dai, ora dimmene altri, ne hai inventati altri, vero?». «Ma si, vedrai che se inizi a giocarci te ne verranno tanti in mente. In effetti non c’è limite alla fantasia che nasce dalle lettere dell’alfabeto, come dai numeri, forse più dei numeri. Anzi, sicuramente di più. Con le lettere crei le parole e con le parole le storie. Ecco, m’è venuto in mente che, ero un po’ più grande di te… Aspetta devo avere ancora quel foglio».
Si alzò e andò alla libreria che copriva tutta una parete e si mise a cercare nel ripiano dove teneva taccuini, diari, fogli sparsi e cartellette di vari sbiaditi colori. Ne prese un paio e le posò sul tavolo. Aprì quella rosa pallido, scolorita dal tempo e dalla luce. Sfogliò le pagine ingiallite e di vario formato che conteneva e ne estrasse una. «Eccolo» disse tornando a sedersi sul divano. Lei gli si fece più vicina, appoggiò la testa alla sua spalla e osservò. Erano due pagine di quaderno, aperte, gli angoli erano tondi. Da un lato c’erano scritte, impilate in dieci colonne abbastanza ordinate, tante parole. Una cinquantina per colonna immaginò, sul retro, come l’inizio di un tema, una storia, una favola: Aquile arrabbiate all’assalto andarono… E c’era il disegno di un’aquila ad ali spiegate con un’alabarda tra gli artigli.
Guardò il vecchio, aspettava gli dicesse qualcosa, gli spiegasse. Ma lui guardava lei, in silenzio, con quel sorrisino che gli veniva quando stava per chiudere a ramino.
Lei prese il foglio e lo rigirò. Allora capì, tutte quelle parole iniziavano con la A! «Volevi scrivere una poesia, un racconto, con solo parole che cominciano con la lettera A?». «Brava. Si, e poi con le altre lettere, ma non sono mai andato avanti. Si chiamano “tautogrammi”».
Lei rigirò il foglio tra le mani «Posso tenerlo?». «Certo. Su, ora andiamo a cucinare».
Quattro giorni più tardi mamma e papà la vennero a prendere. Si erano preparati a quel distacco ma entrambi avevano gli occhi lucidi. Si abbracciarono forte forte. Si volevano un gran bene. Lui le promise che sarebbe andato a trovarla per il suo compleanno e si sarebbe fermato un po’. Lei lo abbracciò ancora una volta e poi partirono.
La casa sarebbe stata decisamente più vuota, pensò, mentre guardava l’auto che si allontanava.
La settimana successiva ricevette una lettera celeste.
Ancora prima di vedere la grafia capì che era sua. Dentro c’era un foglietto, e sul foglietto c’era scritto:
Aquile ardite all’assalto andarono.
Armate acuminate alabarde arrugginite, avvoltoi accorsero all’alata adunanza.
Altresì, attraversando altissime alpi, argentei aironi arrivarono alzando amuleti arcani.
Anche acclamate azzurre arpie, araldi antichi, avanzarono.
Agili anatre arancioni, acrobatici arlecchini, accorsero astute affianco agli alacri amici.
Altri alleati avvelenarono adunchi artigli affinché all’atavico avversario alcuna assoluzione, anche angusta, alcuno arrecasse.
Anfibi antidiluviani, abbietti assassini, avventurandosi altrove all’allagato accampamento avevano astutamente accalappiato aiuti: alligatori addomesticati, anguille abnormi, alghe alchemicamente animate…
All’attacco!!!
Avversari ammazzati, accecati, affogati… Arsero!
Ad assedio avvenuto abili ali abbrustolirono, aggiungendo alloro, animali ambigui, anomali; allora assaporarono, arpeggiando armonie, abbondanti appetitosissimi arrosti.
All’alba ambrati arcobaleni all’aere ascesero.
Alleluia. Alleluia!

Si, decisamente adorava quella ragazzina.