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Una storia spezzina

La storia parallela di candido da vernazza

Raffaele De Nobili, il sindaco che immolò la vita per gli spezzini malati di colera

di Alberto Scaramuccia

Via De Nobili

In questo tempo claustrale è difficile parlare di Pasqua che invece è il giorno un cui ci si prepara all’evasione con la tradizionale scampagnata fuori porta del lunedì. Ma viene da dire altro.
Sento del personale sanitario che cade sul campo e ripenso, ancora una volta, a quando la Spezia fu chiusa in un cordone sanitario che lasciava passare solo il colera che ne approfittava per girare indisturbato. Era il 1884 e anche allora si contarono vittime che dalla linea del fronte non fecero ritorno a casa.
Si erano appena svolte le elezioni amministrative e Raffaele De Nobili, rampollo di un ramo cadetto della famiglia patrizia, fu il candidato che raccolse il maggior numero di consensi. Per la legge elettorale del tempo venne nominato sindaco facente funzione. A nominare poi il Primo Cittadino era il Re che quasi sempre confermava nella carica lo f. f.
Dunque, accedere alla massima poltrona spezzina per Raffaele era solo una formalità ché presto da Roma sarebbe arrivata la nomina.

Lui, però, soffriva di fegato e nell’estate si recò a Montecatini per curarsi. Mentre è là, il colera che fino a quel momento aveva tenuto i suoi germi a mollo nel fondo dell’enorme vaso comunicante costituito dai tanti fiumetti e canali che abbiamo, viene a galla e la città ne è colpita.
Nel drammatico frangente il sindaco non c’è e la stampa lo maledice per l’assenza che privava città del comando in un momento così delicato. Ma De Nobili sa della drammatica situazione e torna portandosi dietro la moglie, Luigia Federici. Di nuovo alla Spezia, Raffaele si prodiga al massimo: visita gli infermi, li trasporta nei lazzaretti, li assiste fino a che non si contagiano lui e Luigia. Di colera morirà, si salva solo la moglie.

Un altro che cade è il frate Candido da Vernazza. Padre guardiano dei Francescani che officiano nella chiesa della Madonna della Scorza è anche Cappellano dell’Ospedale. Nell’aprile ’83, tempi non sospetti, chiede di essere rimosso dall’incarico ma non c’è niente da fare. Nella battaglia che condurrà per assistere i colerosi ricoverati, si infetta e muore.
La cronaca oggi ci dice dell’impegno assiduo di tutto il personale sanitario e delle loro vittime. Li chiamano eroi. Memore di quel tale che disse felice il paese che non ne ha bisogno, preferisco pensarli come persone serie che svolgono responsabilmente il loro lavoro anche se è duro e rischioso, come Raffele, come Candido che negli ultimi 130 anni ho ricordato solo io. Per questo mi domando, con tutta la voglia che c’è (c’era) d’intitolare vie, piazze e slarghi, mai nessuno che si rammenti del fraticello?