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Una storia spezzina

Le cento firme di Ubaldo Mazzini

di Alberto Scaramuccia

Gamin

Si sa che Ubaldo Mazzini di cui a fine anno ricorre il 150° della nascita, quando era ancora un giovanotto impertinente, si firmava Gamin, in francese monello e il settimanale La Spezia è quello in cui maggiormente ricorre lo pseudonimo. L’Ubaldo usa il nome vero solo due volte: la sola sigla nel 1890 per firmare il primo articolo su quel foglio, mentre nel ’93 compare il nome per intero causa una diatriba con l’ex sindaco Pontremoli che per colpire il figlio con cui era in perenne polemica, mise in piazza faccende dolorose legate al padre.
Poi è sempre pseudonimo, e più di uno. Del resto, nel giornale non figurano nomi reali, ma i soprannomi abbondano, alcuni riconoscibilissimi, altri un po’ meno.

A Gamin inviato che stende la cronaca dei Consigli comunali, presto subentra “Uno di noi”, nome collettivo, forse usato da più persone, ma una ha certo l’identico modo di scrivere del monellaccio.
Perché Gamin cambia nome? Scrivendo tanto, secondo me, non vuole far figurare troppo il suo primo nom de plume. Scrive anche tante novellette che per lo stesso motivo a un certo punto sono firmate da Peperone (o Pepe Rone) che narra come Gamin. Qualche pezzo è composto con l’inseparabile amico Fritz, al secolo l’avvocato Federico Paganini: allora è Fritz e Gamin, ma anche “A quattro mani”.

L’Ubaldo non era secondo a nessuno nella polemica, politica e giornalistica, ed ecco che s’inventa un nuovo nickname, “Scudiscio”, che un giorno a chi non l’avesse ancora compreso rivelerà essere una sua nuova maschera. Tuttavia, in questo suo vorticoso cambio d’identità degno di Fregoli, c’è una costante: l’amore, autentica passione, per quella gran donna che è la sua città che bela l’è bela, la la veda ‘n guerso.
Per questo si scaglia senza remore verso chiunque le faccia un torto: da chi vuole occuparla a chi solo la imbruttisce storpiandone il nome o anche solo l’emblema.

Quante ne dice sullo stemma che per una proposta avanzata al Ministero dell’Interno, vorrebbe far sorgere la torre dal mare invece che dai tre classici monti! E giù botte da ignoranti ai competenti che non lo sono.
Anche sul nome ha da dire. La Giunta (siamo nel 1892) vorrebbe deliberare che si dicesse Città di Spezia omettendo l’articolo. Révete sé, apriti cielo! Dev’essere della Spezia come sta scritto nelle carte, nei documenti, negli istrumenti notarili scritti in volgare fin dai tempi più remoti e nel dialetto che dice a Speza, aa Speza, dea Speza, e via andare.
Anche una bella lezione di filologia, dunque, valida purtroppo anche i giorni nostri che non sono stati capaci di conservare le tradizioni neppure nella parlata.