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Una storia spezzina

Una storia spezzina

Il "rinforzato" del Gigio che piaceva al Carducci

di Alberto Scaramuccia

"La polla di Cadimare", Agostino Fossati

Per lavarci oggi in casa abbiamo perfino la Jacuzzi, ma una volta nelle abitazioni era rara la vasca. Per togliersi lo sporco di dosso, ci si arrangiava con i mastelli combinando disastri sul pavimento, oppure si andava negli stabilimenti di bagno. Il più famoso ed antico era quello contenuto nell’ala ovest del Palazzo Da Passano, oggi Fondazione; poi ne vennero altri. Palazzo Contesso, l’edificio in fondo al Torretto davanti alle Poste, inaugurato nel 1915, serviva da bagno. Per realizzarlo, furono abbattute le casette che sul lato piazza Verdi che ancora non c’era, in diseguale cumulo facevano contrasto con i bei palazzi che cominciavano ad adornare via Chiodo. Quegl’impietosi colpi di piccone infierirono su una gloria cittadina, la
cantina di Luigi Bonati, per tutti o Gigio.

Figlio di artieri di San Benedetto trasferitisi da tempo in città, Gigio aveva una mescita la cui specialità era il rinforzato, come allora si chiamava lo sciacchetrà delle Cinque Terre.
Omino asciutto, colorito, d’aspetto sano, così lo descrive un amico, due baffoni di burbero bonario e due occhietti vivi ed arguti, pur sprovvisto di cultura, aveva ricevuto da Madre Natura una sensibilità poetica che lo faceva ottimo giudice nel valutare un componimento, attento ad avvertire un accento sbagliato o una rima inadeguata.
Per questo nel suo locale si affollavano le damigiane che spillava sapientemente e i ritmi che con pari accortezza assaporava gustandoseli in quel palato particolare che è il gusto ed il piacere della cosa bella, sensibilità che non tutti hanno la fortuna di possedere.
Per queste due cose, vino squisito e amore del verso armonioso, nella sua mescita entrarono non pochi poeti, e che poeti: Carducci che ci portò la Vivanti nella sua avventuretta del 1890; Severino Ferrari che nel locale era di casa e, senza ironia, anche di bottega; Fucini che anche alla Spezia cantava la sua campagna toscana; Pascoli che amava barattare le sue invenzioni poetiche inedite con egual numero di bottiglie della cantina dell’amico quasi fratello.

Fu quello, è questa una considerazione di chi ricorda l’avventura eno-poetica de o Gigio, un periodo fecondo, vera età dell’oro per la letteratura che non disdegnava di occuparsi di vendemmie, ma non rinunziava al suo compito di spronare verso la ricerca della bellezza convinta che un verso ben confezionato appaghi e, al tempo stesso, riesca a suscitare riflessioni. Altri tempi, tempi ormai perduti! Nell’epoca massmediologica sembra che si sia perso ormai il piacere del dialogo che può anche diventare discussione ma che un buon goto subito sopisce.