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Quisquilie e meraviglie

Quisquilie e meraviglie

Rosso di Sara…

di Beppe Mecconi

Golfo della Spezia

Moltissimo tempo fa esistevano cinque incantevoli villaggi. Erano distesi alla base di belle e ripide colline sulla riva di un trasparente e tiepido mare e alle spalle avevano alte montagne che li riparavano dai freddi venti del nord. La gente che abitava in quei paesi era proprio fortunata. Vivevano in un posto bellissimo, lontano dal caos della città e in più producevano uno squisito e raro vino bianco famoso in tutto il mondo. A metà novembre arrivavano i mercanti con i velieri per caricare le botti, che pagavano profumatamente, e poi, per tutto il resto dell’anno, la gente di quei villaggi se ne stava tranquilla a lavorare cantando nelle vigne. Per secoli le cose erano andate così ma, un mattino, arrivò… Beltempo!
Era una bellissima giornata di marzo e la primavera era già nell’aria quando, nella marina di uno di quei cinque paesi sbarcò, da un orrendo vascello, un orribile pirata. Era una specie di orco, pieno di cicatrici e con una folta barbaccia nera. Anzi, era tutto nero: sopracciglia, cappello, vestito e mutande! Era cattivo come il veleno e tutti, ma proprio tutti, avevano paura di lui.
Era tanto fetente che non gli serviva nemmeno una ciurmaglia. Faceva tutto da solo: omicidi, torture, rapimenti, furti e schiamazzi notturni.
Il suo vero nome nessuno lo sapeva, ma lui si faceva chiamare “Beltempo” perché, al contrario di tutti i pirati come si deve, godeva nel compiere le sue scorrerie con il sole e sotto il cielo azzurro. Tanto, nessuno riusciva ad impedirglielo. In poco tempo seminò il terrore in quelle cinque terre; nulla si salvava dalle sue scorribande. Picchiava i vecchietti, rubava nelle chiese, rapiva le fanciulle, sputava per terra… e uccideva chiunque avesse l’ardire di mettersi sulla sua strada.
Gli abitanti di quei paesi avevano, all’inizio, provato a catturarlo; Beltempo, però, non solo era sempre riuscito a sfuggire a trappole e agguati ma aveva pure ammazzato gran parte di quei temerari, e quelli che non ammazzava al momento li andava ad aspettare sotto casa e gli sparava, ridendo, nella schiena. Era veramente terribile.
Venne novembre ed arrivarono le navi dei mercanti di vino. Beltempo li assalì col suo vascello, rubò tutti i soldi e incendiò gran parte di quei velieri. Quei pochi che si salvarono girarono il timone e non si videro mai più; né loro, né altri.
Oltre a tutto ciò… detestava il vino bianco. Diceva che gli faceva bruciare lo stomaco, poverino! Impazziva invece per quello rosso. Per questo, dopo aver saccheggiato un casa e ucciso i suoi abitanti, buttava all’aria la cantina sperando sempre di trovarne almeno un fiaschetto, ed il fatto che in quei villaggi proprio non ce n’era lo rendeva, se possibile, ancora più cattivo.
Gli abitanti di quei paesi non sapevano più cosa fare. Ormai si stavano rassegnando a vivere nel terrore, nella schiavitù e nella povertà. Sì, perché tutto il frutto del loro sudore se lo beccava quella carogna di pirata e chi si ribellava campava ben poco. E la terra, una volta così ricca e fertile, di giorno in giorno si inaridiva perché non c’era più amore nei gesti dei contadini ma solo fatica e paura.
Non tutti però si erano arresi. Una vecchia contadina, una certa Sara, non riusciva e non voleva rassegnarsi. Desiderava con tutto il suo piccolo cuore che quelle colline tornassero allegre e felici come una volta, e non si dava per vinta. Vangava e zappava sotto il sole nelle terrazze e intanto pensava e pensava ancora, ma non riusciva a trovare la soluzione per eliminare quel flagello di Beltempo. Una notte fece un sogno. Vide una vite selvatica, su, in cima alla collina, in mezzo alla pietraia dove nessuno andava mai. Questa vigna si contorceva e quando si arrestò i suoi viticci formarono una frase: “Quando la sua vita vedrà, la sua morte verrà.” Sara si svegliò di soprassalto, non capì il significato del sogno ma intuì che doveva essere importante se la collina stessa gli aveva mandato quel messaggio.
Si vestì, riempi un secchio d’acqua, e ancor prima che cominciasse ad albeggiare stava già arrampicandosi sulla vetta. Sulla cima, proprio in mezzo ai sassi, trovò una piccola vite smilza e rinsecchita. Non era proprio come quella del sogno ma Sara le diede ugualmente l’acqua e da quel giorno cominciò a curarla con amore. Passavano i mesi, Beltempo continuava a tormentare quelle colline. Qualcuno cercava anche di fuggire da quelle terre una volta così felici ed ora tristi e silenziose.
Ma quel pirata… O li riportava indietro o li uccideva sul posto. Non c’era scampo!
Intanto, nella pietraia, la vite di Sara s’era molto irrobustita. Ora era forte e con lunghi tralci carichi di frutti come tutte le altre viti nelle tante terrazze a picco sul mare. Ma a settembre ecco la sorpresa, quei grossi grappoli si coloravano di viola.
Per la prima volta su quelle colline era germogliata della bellissima uva rossa.
Ai primi di ottobre l’uva era matura al punto giusto. Chicchi succosi, dolci come il miele e carichi di sole che resero una damigianetta di vino rosso che era una bomba. Sara lo assaggiò e costatò che un bicchiere rendeva allegri, tre ubriachi, e cinque risvegliavano i ricordi. Di colpo capì il significato del sogno.
Disse in giro che aveva dell’ottimo vino rosso e in breve la notizia arrivò Beltempo che, a costo di radere al suolo tutte quelle cinque terre, decise di tracannarselo. Era proprio quel che Sara voleva. Ed ecco, in un giorno che più sereno non si poteva, arrivare il pirata. Tutto nero, orribile a vedersi. Sara si nascose nelle vigne e da lì lo vide entrare buttando giù a calci la porta. Sfasciò tutto, dopodiché uscì con la damigianetta tra le mani. La sollevò e bevve a garganella.
Dopo la prima lunghissima sorsata cominciò a ridere e quel rosso gli parve squisito.
Ne bevve ancora e lo trovò eccezionale. Più beveva e più gli piaceva. Continuava a bere e a bere. Ormai era ubriaco fradicio.
All’improvviso i primi ricordi cominciarono ad affacciarsi davanti ai suoi occhi. Più beveva e più affioravano alla memoria i ricordi di una vita fatta solo di cattiveria. Cominciava a riconoscere tutta la gente che aveva maltrattato. Vecchi, donne, bambini… e tutti lo guardavano tristi e silenziosi.
Poi vide quelli che aveva assassinato, uno peggio dell’altro. Ormai la damigiana era vuota e davanti agli occhi aveva tutte le sue orribili malefatte. Impugnò l’archibugio e la pistola e cominciò a sparare a quella folla di tristi fantasmi che solo lui vedeva. Sparava e sparava ma quelli non se ne andavano. Anzi, si facevano sempre più vicini e altri ne arrivavano ancora, sempre di più, sempre di più. Gli sembrava di impazzire. Dopo l’ultima sorsata di quel vino che era stato fatto apposta per lui non ne poté più e si sparò.
Si sparò perché il rosso di Sara gli aveva fatto finalmente vedere che la sua vita era fatta solo di malvagità, senza neanche un attimo di amore.
E neppure Beltempo, neppure il peggiore dei peggiori degli uomini può riuscire a vivere se, anche solo per un attimo, si rende conto di questo.
Ed è da questa storia che è nato il proverbio: Rosso di Sara, Beltempo si spara.

Beppe Mecconi