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Luci della città

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Battiato, Dylan e “gli anni felici delle piu’ audaci riflessioni”

di Giorgio Pagano

Bruce Springsteen con Steve Van Zandt della E Street Band, Napoli, piazza del Plebiscito (2013) (foto Giorgio Pagano).

Era il 1972 o il 1973, all’Unione Fraterna in via Colombo. Saremmo stati una ventina, o poco più, ad ascoltare Franco Battiato in concerto. Erano canzoni sperimentali, in bilico tra l’elettronica e il rock, di un musicista militante, curiosissimo manipolatore di suoni, che scuoteva e provocava il pubblico. Difficile da capire, ma non incomprensibile. Nel Battiato di quegli anni -penso, per esempio, a una canzone come “Aria di rivoluzione”- c’era già il Battiato pop che avremmo conosciuto negli anni successivi, c’erano già la poesia e l’impegno, la bellezza e l’ironia. Battiato non ha mai smesso di dirci che ci vuole un altro modo di vivere la vita. Sia che denunciasse il potere, come in “Povera patria”, sia che cantasse l’amore assoluto, come in “E ti vengo a cercare” o ne “La cura”. Ma lo aveva già detto nel 1973 in “Aria di rivoluzione”: “questa mia generazione vuole nuovi valori”.
Il 18 maggio Franco Battiato ci ha lasciati. Il 24 maggio Bob Dylan ha compiuto ottant’anni. Occasioni diverse di riflessione per una generazione. Non è vero che Dylan è stato solo un cantante di protesta. Ha scritto bellissime canzoni d’amore, canzoni religiose… Anche lui ci ha additato il male che non può essere accettato e ci ha raccontato che cosa significa essere umani.
La canzone, in Battiato, Dylan e in molti altri, è stata pensiero e vita, ha dato speranza.
E oggi? Perché l’eroe del concerto del Primo Maggio è Fedez? Gli operai ci sono ancora, e muoiono di continuo sul lavoro. Perché nessuno canta più la vita degli operai, come fecero negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta i Giganti, Giorgio Gaber, Piero Ciampi, Lucio Dalla, Enzo Jannacci?
L’ho chiesto all’amico Gian Paolo Ragnoli “Giambo” che, con Oliviero Lacagnina e tanti altri mi ha aiutato nel mio ultimo libro a ricostruire il tempo in cui la canzone diventò il veicolo di una cultura giovanile e di massa e una vera e propria arte: gli anni Sessanta, quelli in cui si formarono Battiato e Dylan. “Giambo” mi ha risposto più o meno così: “Quello di allora fu un contesto generazionale, esistenziale, esperienziale, in cui la rivoluzione musicale trovava un terreno fertile. Uno Springsteen di venti – trent’anni ci sarà senz’altro ma non è lui che viene a bussare alla tua porta, sei tu che devi immergerti nella piccola nicchia di mercato dei cantautori indipendenti e andartelo a cercare”.
Battiato e Dylan hanno avuto la fortuna di nascere nel tempo giusto. Ma questa stagione si è chiusa ed è alle nostre spalle. Nella bellissima canzone “Testamento” (2012) Battiato scrisse: “Lascio agli amici gli anni felici delle più audaci riflessioni”. Oggi la politica vive d’altro rispetto agli “anni felici”, così la musica. Però ci sono i cantautori indipendenti di cui parla “Giambo”, ci sono i rapper -quelli originali-, c’è la musica dura dei neri americani… Ci sono nuove scintille. Gli esseri umani non possono essere del tutto “addomesticati”. Gli anni Sessanta e il Sessantotto dimostrano che nella storia è sempre aperta la possibilità di scompaginare l’ordine esistente. Se si aprirà una nuova possibilità, se non rinunceremo ai valori e se torneremo a fare “audaci riflessioni”, nasceranno nuovi autori che ci sussurreranno o ci urleranno ancora che ci vuole un’altra vita.

Post scriptum:
L’articolo di oggi non poteva che essere dedicato a un amico recentemente scomparso, Emanuele Di Matteo, anch’egli tra i protagonisti di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, testimone di quegli “anni felici”. Conobbe Tiberio Nicola nel 1957: entrambi operai giornalieri in Arsenale, entrambi appassionati di jazz. Da allora non si separarono più: dalla cantina di Tiberio in via Plava, dove provava la Original Sprugolean Jazz Band -di cui Emanuele fu batterista-, fino all’impegno per il Festival Internazionale del Jazz, nato nel 1969 innanzitutto grazie a loro. Giravano l’Italia per concerti. Insieme, noi tre, andammo a Viareggio per un memorabile concerto di Miles Davis, il 13 febbraio 1989. Ecco un racconto di Emanuele tra i tanti possibili, dopo il concerto di Charlie Mingus a Bergamo, nel 1975: “Dormivamo nel suo stesso hotel, il Moderno. La notte, dopo il concerto, Mingus scese nella hall con due bottiglie di whisky. Verso le due andò al pianoforte, suonò due ore per noi. Fu straordinario. Il critico musicale Gino Castaldo se l’è venduta su Repubblica qualche anno dopo, ma lui non c’era! Ho scritto a Ezio Mauro, ma non ha pubblicato”. Oggi, caro Emanuele, ristabiliamo la verità.