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Una storia spezzina

Una storia spezzina

Ricostruire il passato decifrando le fonti

di Alberto Scaramuccia

Import 2021

Un aficionado chiede con quali mezzi si ricostruisce il passato. La risposta è semplice: la storia si fa ricorrendo alle fonti che ci documentano, secondo il loro punto di vista, quanto è successo riguardo all’oggetto dell’indagine che si conduce.
Le fonti sono di diversi tipi: i risultati cui altri sono arrivati; gli archivi; la letteratura; i testi, magari solo appunti e note; le raccolte della stampa cartacea. Documenti scritti, dunque, ma non si trascurino altre sorgenti d’informazione, dalle opere d’arte ai reperti che escono dagli scavi fino agli odierni archivi multimediali. Non sapremmo, ad esempio, della presenza umana nella grotta dei colombi alla Palmaria se qualcuno non fosse stato così bravo a recuperare i segni di un passaggio di uomini e animali.
Sono, dunque, tante le possibilità di fonti e non ce n’è una che valga vale meno delle altre.
Certo, oggi consultare un testo scritto è cosa semplice ché tutto è stampato in caratteri ben noti, da tempo standardizzati secondo un modello le cui varianti non deflettono molto dal prototipo. Per questo indagare sul presente o sul passato prossimo è più facile che esplorare tempi più distanti. Non solo perché gli strumenti a disposizione sono di minor numero ma anche perché la consultazione di un testo lontano è complicata dalla scrittura che spesso si sbizzarrisce in geroglifici difficili a decifrarsi: tanto per la spesso limitata cultura di chi scrive, quanto, forse soprattutto, per la labilità del modello scrittorio di riferimento quando non esisteva ancora la macchina da scrivere che ha costituito l’esempio di grafia a cui ispirarsi.
Per rimediare alle difficoltà interpretative interviene la paleografia, disciplina della storia che studia gli antichi modi dello scrivere. Così conosciamo i fatti ma capiamo anche l’evoluzione della lingua nel tempo. Nella trascrizione lo studioso, che spesso più che decifrare decritta, non correggerà mai una grafia che ai nostri occhi è errore ma la riporterà testualmente. Il documento è sacro, al massimo si può inserire la punteggiatura che nei documenti datati spesso latita.
Io fui paleografo, ma avevo vent’anni e la vista buona.
Per fare un esempio di come funziona il tutto, ho inserito come immagine due righe di una lettera che un ambasciatore di Lucca spedisce da Sarzana nel 1397 fornendone sotto la trascrizione per la cui comprensione ricordo che al tempo la N e la R all’interno della parola non erano scritte ma segnate rispettivamente con un rigo dritto o curvilineo tratteggiato sopra la parola nel punto dove quella lettera si sarebbe dovute inserire.

ALBERTO SCARAMUCCIA