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Una storia spezzina

Una storia spezzina

Porto Venere e la battaglia del 1494

di Alberto Scaramuccia

Una veduta di Porto Venere dipinta da Michel Portnoff

Porto Venere è terra di magia ammaliante. Non c’è persona cui non piaccia passeggiare l’antico borgo dei pirati, scendere i carugi per costeggiare il mare, salire a San Lorenzo e al Castello, fermarsi dai mulini e nel cimitero sulle onde dove giusto l’estate scorsa un’americana guardandomi ha sussurrato wonderful, ma Stefania ha capito subito che non diceva di me. Tuttavia, credo sia indubbio che l’icona del borgo è San Pietro. Servisse una prova, basta ricordare la partecipazione del mondo quando nel 1977 immagini raccapriccianti mostrarono la fenditura, presto fortunatamente colmata, che percorreva lo sperone su cui sta il tempietto. Con la forza dei marosi l’acqua salsa aveva prodotto un’apertura che minacciava di spaccare la roccia calcarea mandandola naufraga vagabonda alla deriva.

Che cosa non s’è detto di San Pietro? Tutto si sa: dal piazzale che lo sottende alle bifore del campanile, dalla chiesa paleocristiana su cui si fece la nuova alle terrazze matrici di prospettive fantastiche. Ma se San Pietro oggi è bello, per troppi secoli visse molto rovinato. La causa: un fatto d’arme. In quelle condizioni lo vede Agostino Falconi, primo storico locale moderno, e di quelle spiega il perché intervenendo lunedì 21 settembre 1846 ad un Congresso degli Scienziati che si teneva a Genova.

Nel 1494 Porto Venere si ritrovò coinvolta nei fatti della politica internazionale. Ludovico Sforza Duca di Milano spinge Carlo VIII Re di Francia a scendere in Italia a reclamare Napoli il cui Sovrano non è gradito al Milanese. Alfonso per ritorsione manda una flotta ad assalire Genova alleata dello Sforza. Si forma così un’armata che da Livorno arriva a Portovenere. Ai suoi abitanti è intimata la resa ma, rifiutandola questi, è battaglia. Le forze sono impari, i nemici vantano 35 galee, 14 navi ben armate oltre a naviglio minore, ma, nonostante l’assalto della fanteria e il bombardamento, i “terrazzani”, donne comprese, reggono, resistono, respingono il nemico che è costretto a rifugiarsi a Chiavari.

È vittoria ma tanti danni. Genova concede una tassa di ancoraggio: da un ducato per le navi di 10mila cantari (un cantaro genovese corrispondeva a 47,65 chili: i conti fateli voi) a 20 soldi genovesi. Così si riparò San Lorenzo ma di San Pietro si aggiustò solo una parte. Quando poi nel 1799 vi alloggiarono i napoleonici, la situazione deteriorò ulteriormente. Ma San Pietro, afferma deciso Falconi, non deriva dal tempio romano di Venere che era stato distrutto nel 549 dal cartaginese Magone. Ignoro chi fosse ma la notizia è ripresa da Dora d’Istria nel suo saggio sulla Spezia.