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Una storia spezzina

Una storia spezzina

Come con il colera, spezzini fragili nell’incertezza

di Alberto Scaramuccia

Padiglione infettivologia Sant'Andrea

La presenza del coronavirus condiziona in maniera pesante la nostra quotidianità. Si evitano gli assembramenti, le scuole sono chiuse, la Quaresima è cominciata ben prima di oggi ché ieri, giorno grasso di Carnevale, è scivolato via magro magro e più triste di un qualsiasi martedì di un autunno piovoso.
Sembra di essere tornati indietro di un bel po’ di anni quando tutti si aspettavano la venuta del colera che gironzolava sottile e maligno per il Vecchio Mondo. I suoi Stati brigavano per accaparrarsi i mercati lontani ignorando che con le materie prime acquisivano pure malattie tanto endemiche là quanto sconosciute qua. La non conoscenza faceva paura che sul Golfo si credette di esorcizzare chiamando il colera “zingaro fatale”: gitano lo era ché gironzolava come e dove gli pareva, ma fatale proprio no. Non fu un destino cinico e baro a farlo venire alla Spezia ma decisioni sconsiderate delle Autorità, dalla centrale alla locale.
Questa trascurava l’igiene pubblica, quella concentrò al lazzaretto del Varignano 7mila rimpatriati da un coleroso Tolone. Il loro assieparsi in uno spazio così ristretto fu la miccia che accese il colera: non scoppiò ma venne scatenato. Il boom poi venne per l’ordine del Governo di chiudere l’intero Comune in un ferreo cordone sanitario dove l’unico autorizzato a circolare liberamente era il morbo. Colpì a destra e a manca, in alto e in basso, sempre nella stessa area. A contenerlo ci pensavano i posti di blocco: dei carabinieri e dei Lericini che, pronti a menare, vigilavano sulla verginità del loro territorio.
Venne anche il Ministro della Marina Benedetto Brin. Arrivò in treno, diede disposizioni e se ne ripartì in fretta, dice la stampa dell’epoca, dopo aver ordinato al Comandante del Dipartimento Luigi Di Monale di eseguire il cordone. In quei giorni fu risparmiato il buon Dio nelle imprecazioni degli antenati tutte riservate al colera, al Presidente del Consiglio Depretis e a Brin. Gli Spezzini non lo amavano già da prima, tanto meno ora. C’era una vecchia ruggine. Spezia non l’aveva voluto come Deputato e lui le aveva negato l’Accademia Navale, ma dopo il blocco proprio non lo poterono vedere.
Chi ricerca non emette giudizi ma dice le cose come stavano. Poi tutto è cambiato e questa è anche una riflessione sulla storia e sul suo uso, ma allora a torto o a ragione quello era il giudizio sul Generale Brin, grande figura della Marina italiana.
Colera 1884-Covin 2020, 136 anni di differenza. I paragoni sono improponibili, in comune c’è solo la fragilità dettata dall’incertezza.

ALBERTO SCARAMUCCIA