LA REDAZIONE
Scrivici
PUBBLICITÀ
Richiedi contatto

Una storia spezzina

Una storia spezzina

L’Italia di 50 anni fa e la metafora del reggiseno

di Alberto Scaramuccia

Import 2020

Per la rubrica questo è l’ultimo appuntamento di quest’anno che è ormai giunto alla sua conclusione.
La prima puntata del 2018 l’avevo dedicata al cinquantenario del ’68 spezzino, un anno che non ci si mise più di tanto per capire che avrebbe prodotto qualche cambiamento nelle relazioni. Fu l’opinione pubblica, il modo con cui la gente guardava al mondo che venne modificato.
Fu un movimento composito e complesso. Nato dalla protesta contro la guerra in Vietnam, s’era progressivamente allargato per chiedere una scuola più adeguata e per poi espandersi a macchia d’olio per includere nel dissenso ogni aspetto della società. Era la contestazione globale, la voglia di rivoluzionare i rapporti sociali ed interpersonali senza mettere in conto che alla fine avremmo conosciuto gli anni di piombo.
Cinquant’anni fa il capodanno fu drammatico.
Dopo aver contestato la Scala, si decise di muoversi anche contro il “capodanno dei padroni” (così fu detto) scegliendo come obiettivo da colpire “La Bussola”, il famoso night di Viareggio dove quella sera si esibiva Shirley Bassey. Sui muri di tutte le città da Piombino alla Spezia, s’incollarono manifesti minacciosi che, annunziando la protesta, chiamavano a raccolta.
Non so quanti quella sera di festa partirono dal Golfo per la Versilia; molti leggevano “Voce Operaia”, giornale extraparlamentare locale. L’inizio fu lancio di uova, pomodori e vernice rossa, poi dopo la carica delle forze dell’ordine fu guerriglia.
La conclusione, oltre agli ingenti danni, fu una pallottola che colpì un sedicenne condannandolo tuttora a girare su una carrozzina, e una grande riflessione nella sinistra che s’interrogò perché la protesta aveva raggiunto un tale livello.
Dopo mezzo secolo, diciamo che si sperava in qualche cosa, ma di tanta speme oggi cosa ci resta?
Perdonate se per rispondere a questa domanda me la cavo con un’immagine irriverente e forse un po’ osé, ma mi sembra metafora adeguata.
Allora le donne smisero di portare il reggiseno, simbolo di costrizione e condizionamento. Addirittura, lo bruciarono nelle piazze; non s’era mai visto un capo di vestiario messo al rogo perché eretico.
Poi, pian piano quell’indumento è tornato in auge, è stato di moda anche portarlo bene in vista, non intimo, nascosto, ma indossato direttamente sotto la giacca. Oggi fanciulle e signore portano in bella mostra le bretelline del reggiseno, non più occultato, ma esibito con la massima disinvoltura, magari con tinte contrastanti con il resto dell’abbigliamento per farlo meglio risaltare.
È passato tanto tempo, ma i produttori di lingerie sono contenti così.

ALBERTO SCARAMUCCIA