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Una storia spezzina

Pesci d’aprile, le fake news di una volta

di Alberto Scaramuccia

Pesce d'aprile

Aiei i han sligà i batagi dee campane e noi abbiamo sciolto i fiocchi delle uova impazienti di sorprese, ma cento anni orsono la Pasqua fu diversa. Altro che cioccolata! Già era un problema andare a tavola con un uovo di gallina, figurarsi se, maledetta guerra, ci si poteva permetteva il lusso di un dolce.
Invece, mezzo secolo fa al posto del cannone ruggiva il Sessantotto ponendo il tema dell’istruzione ed ecco che qua si prospetta l’ipotesi di Spezia sede universitaria. Ci vorranno anni perché si realizzi l’idea, ma allora la motivazione era che Pisa, l’Ateneo più frequentato dai goliardi spezzini, per treno, affitti e mangiare si portava a casa troppe palanche made in Speza.
Quella di ieri è stata una Pasqua speciale: ma quando mai coincidono la festa della Resurrezione e gli scherzi del primo aprile quando sulle schiene i fanteti appiccicano pesci di carta.
Di burle clamorose qua nel Golfo, non ne ricordo. Beffe tante, ma di tiri mancini passati alla storia non ce ne sono stati molti.
Certo, negli anni scorsi si sparse la voce di tessere gratuite per il parcheggio di piazza Europa; oppure, si raccontò di una chiatta enorme che avrebbe prelevato il faro in fondo al molo per trasferirlo altrove. In entrambi i casi, fu folla che accorse per ricevere il pass o si assiepò per assistere al trasloco del fanale: nessuno aveva in mano il calendario per vedere in che giorno si era.
Come si dice oggi, fake news organizzate tramite la carta stampata che diffondeva i pesci d’aprile anche in tempi non digitalizzati. Anzi, allora, tempo degli antenati, le burle dalle colonne dei giornali erano molte di più ché si tendevano tranelli alla concorrenza per minarne l’attendibilità.
Così, Il Comune, settimanale del 1893, fece credere ai rivali de Il Lavoro che Podenzana in trasferta in Australia a caccia di reperti, avesse mandato doni per il Museo da lui creato. In massa si precipitarono al Museo Civico reclamandone la visione e facendo impazzire il Direttore Carazzi.
Ci si divertiva così.
L’anno precedente l’irriverente Gamin nel giorno dello scherzo, si prende gioco impunito dell’autorità costituita dicendone di cotte e di crude su tutta l’amministrazione. Ma questo rientrava nelle abitudini del giovane Ubaldo che non a caso si firmava, alla francese, Monello, nomignolo che si portava dietro già da un po’, per poi, da sfacciato quale era, mutare il registro narrativo e farsi studioso serio e posato.
Alla fine dell’anno ricorre il 150° della sua nascita. Ne diremo per alimentarne la memoria, lo merita.
Intanto, tanti auguri in ritardo a tutti: sinceri, non pesci d’aprile.