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Una storia spezzina

Una storia spezzina

Giovanni Sittoni e i déracinés: forse non è cambiato niente

di Alberto Scaramuccia

Giovanni Sittoni

Giovanni Sittoni a cui è intitolata una via a Migliarina, fu soprattutto un antropologo, ma ebbe molti altri interessi, non ultimo la meteorologia. Forse per questo il Comune gli consentì di vivere i suoi ultimi anni (scomparve ottantaduenne nel 1954) nella torretta del Palazzo Civico, proprio dov’era posta la stazione per prevedere che tempo che fa.
Le foto ce lo mostrano con radi capelli biondi tagliati a spazzola, un paio di baffoni di uguale tinta sul labbro sporgente e l’espressione di chi, mai pago, è sempre alla ricerca di nuovi orizzonti da scrutare.
Fra le sue tante aspirazioni, c’è la volontà di ricostruire all’interno della società spezzina del suo tempo, un tessuto connettivo fondato sull’identità dettata dalla storia.

Per questo, nel 1925 diede vita a una “Famiglia folcloristica spezzina” il cui scopo era di preservare la purezza della parlata sprugolina “dagli invadenti e minacciosi barbarismi pulsanti nel nostro dialetto”, come recita il manifesto dell’iniziativa. Nell’avventura gli sono compagni Giovanni Podenzana che fra i tanti meriti fu il primo conservatore dei Musei cittadini, e Ubaldo Pasquali che sulle orme dello zio Ubaldo Mazzini versificava in spezzino.
L’operazione non riesce perché anacronistica e, soprattutto, incapace di comprendere la dialettica che non da un giorno era ormai attiva sul territorio spezzino. Tuttavia, resta ugualmente interessante perché fornisce lo spunto per qualche considerazione.

Quando nasce quell’associazione (siamo ormai ad oltre 60 anni dall’inizio degli scavi dell’Arsenale) s’è già ampiamente formata una nuova “razza” che degli antichi connotati conserva più poco. Con la parlata, se ne sono andati i costumi, si sono cancellate le tradizioni e le abitudini hanno preso nuove vie. Certo, l’inversione a U è manovra vietata dal codice stradale che dirige il divenire delle cose, ma pare significativo che si voglia costituire un nuovo collante che con il vecchio omogeneizzi il nuovo a cui, si badi, non è precluso l’accesso nella costituenda famiglia folcloristica.
Proprio in questo consiste, è mia convinzione, un altro fattore che desta interesse.

Per le tante mutazioni determinate dal fenomeno migratorio, si avvertiva la possibilità dannosa che nel microcosmo spezzino crescesse il numero dei déracinés, degli sradicati. Incapaci per mancanza di radici comuni di avere una coesione al di fuori del gruppo d’appartenenza, potevano trovare la formula per creare il giusto amalgama nella migliore conoscenza del territorio da tutti abitato. Quell’ormai antica soluzione tentata 93 anni fa, riveste valore ancora oggi?