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Una storia spezzina

Le case chiuse del Poggio, zona interdetta agli innocenti

di Alberto Scaramuccia

Import 2018

Si chiamavano Minestrone, Birillo e Suprema e come le altre maisons di tutt’Italia, sessant’anni fa fra due giorni, appresero che era loro tolto il diritto alla vita: erano le case in cui lo Stato, ricevendone un bell’introito, tollerava l’esercizio della prostituzione. Alla Spezia erano confinate sul Poggio o nelle immediate vicinanze, zona interdetta agli innocenti ed alle loro orecchie che conoscevano le case del malaffare solo attraverso il passa parola pruriginoso dell’età in cui iniziano a scatenarsi gli ormoni e ci si avvia alla conoscenza del proprio e dell’altrui corpo.
Rimasto per motivi anagrafici allo stadio del pissi pissi sussurrato di nascosto, posso solo riferire di cose sentite. Era nella casa chiusa che si compiva il rito dell’iniziazione alla femmina prima che con il Sessantotto venisse la rivoluzione sessuale che, complice la pillola, portò alla conoscenza della gioia attraverso la reciproca accettazione.

Si chiamavano Minestrone, Birillo e Suprema ed accontentavano le pulsioni dei clienti grazie alle loro tasche. Del trio le prime non erano all’altezza dell’ultima che aveva già come segno distintivo la location, collocata al piano, in pieno Sant’Agostino dove ora un prestigioso ristorante ne ha ripreso il nome.
In una città di mare e di marinai, l’esercizio del secondo più antico mestiere del mondo (il primo essendo, come noto, la costruzione di armi sempre più esiziali per offendere l’altro) ha storia antica. Pur accettate quale essenziale “sfogo”, inevitabile male minore, gli antenati tuonavano sulla stampa contro le “vestali di Venere”: esibendo in maniera sfacciata la loro attività, arrecavano danni alla pubblica morale che ammetteva di essere violata alla sola condizione che la cosa che tutti sapevano, avvenisse in modo che a nessuno potesse essere imputato di saperla.

Si chiamavano Minestrone, Birillo e Suprema e cessarono di esistere dopo sette mesi, giusto alla mezzanotte del giorno in cui ricorreva l’ottantesimo anniversario di Porta Pia. Se in quel più lontano 20 settembre era stata aperta una breccia, ora se ne chiudeva un’altra, ma non per questo si eliminò un problema che tuttora brucia come ferita aperta.
Il mercimonio di sé, la vendita del proprio corpo a chi lo affitta, è diventato ai giorni nostri un problema che ha assunto forme decisamente intollerabili anche perché non di rado degenera in schiavitù. Trovare soluzioni non è facile, ma oggi, rispetto a sessant’anni fa, c’è forse meno ipocrisia anche se ciò si verifica solo perché il fenomeno è talmente macroscopico che non è proprio possibile far finta di nulla.