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Biggini, un gerarca fino all’ultimo dalla parte del Duce

Benito Mussolini

Ho letto la polemica di Luciano Garibaldi, biografo del Ministro fascista e repubblichino Carlo Alberto Biggini, nei confronti di un articolo pubblicato il 29 novembre nella mia rubrica domenicale “Luci della città” su “Città della Spezia”, dal titolo “La Costituzione antisemita e la memoria dell’antifascismo da tener viva”. La Costituzione antisemita di cui scrivevo è quella redatta da Biggini per conto di Mussolini. Garibaldi non può evidentemente negare che sia infarcita di norme razziste, discriminatrici verso gli ebrei e tutte le razze non ariane: ma, nel prendere le distanze dalla “ferocia della persecuzione antiebraica attuata durante la dittatura fascista, prima e soprattutto durante la Rsi”, scrive che con la Costituzione di Biggini le condizioni degli ebrei “sarebbero notevolmente migliorate”. Non vedo come: certo, Biggini non poteva scrivere in una Costituzione che gli ebrei dovevano essere deportati nei campi di sterminio in Germania, ma scrisse norme “sulla difesa della stirpe” profondamente razziste. Può darsi che in cuor suo non desiderasse lo sterminio, ma non fece nulla per opporvisi. Né può assolverlo il fatto di avere aiutato qualche famiglia ebrea. In realtà Biggini poteva fare un’altra scelta, che però non fece e neppure pensò mai di fare: combattere il fascismo, il nazismo e il razzismo. Anzi, votò contro la destituzione di Mussolini il 25 luglio 1943 e fu con lui fino alla fine nella Repubblica di Salò. Eppure Biggini aveva la possibilità dell’altra scelta: “Fascisti! Questo è il punto cruciale: o salvare voi stessi insieme alla dignità di italiani, o perire bollati col marchio di traditori”. E’ il titolo di un appello pubblicato da “l’Unità” il 5 ottobre 1943, teso a scindere i fascisti, a staccarne una parte da Mussolini. Ma Biggini scelse di restare traditore.

Questo è il punto nodale della riflessione, morale e politica, da fare. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, i tedeschi occuparono l’Italia del Centro Nord, liberarono Mussolini e lo costrinsero a dar vita al governo fantoccio della Rsi, che si insediò nei territori militarmente occupati dai nazisti. Fu Hitler a volere la Rsi – che non avrebbe potuto durare un solo giorno senza il sostegno tedesco – e furono Mussolini e i nazisti a convincere Biggini a diventarne Ministro. La Rsi non fu semplicemente collaborazionista: fu ferocemente antifascista e antiebraica, e per questo gli italiani spesso odiavano i suoi esponenti più che gli stessi tedeschi occupanti. La prima assemblea repubblichina si tenne a Verona il 14 novembre ’43: da lì partì una spedizione punitiva che massacrò 17 cittadini di Ferrara, i cui cadaveri furono esposti in piazza. Biggini c’era, a Verona? Certo, c’era. Fu la prima rappresaglia del neofascismo, a cui ne seguirono centinaia. La mia terra, quella spezzina, porta indelebile nella sua memoria la ferocia repubblichina, che si manifestò nei tanti rastrellamenti ed ebbe un triste simbolo: il 21° Reggimento Fanteria. La caserma, occupata dalle brigate nere repubblichine, fu trasformata in comando-carcere e in luogo di terribili torture. La memoria spezzina della deportazione è fortemente antifascista, non solo antinazista: è dal 21° che partivano i prigionieri condannati ai campi di sterminio. Nel primo dopoguerra i processi contro i crimini fascisti nello spezzino rivelarono una vera e propria galleria degli orrori. Biggini sapeva? Certo, sapeva tutto. Non uccise nessuno e si spese a favore di qualche antifascista, ma ciò non lo assolve affatto: in quanto Ministro fu moralmente e politicamente responsabile degli eccidi nazifascisti dal ’43 al ’45 e della deportazione.

Ripeto: l’unica assoluzione possibile poteva venire dalla scelta antinazista e antifascista, che Biggini non fece e non poteva fare perché era un gerarca fascista, sostenitore di un “fascismo integrale”. Garibaldi invita a “riscoprire la storia senza pregiudizi”. Io non ho pregiudizi ma esigo chiarezza nel giudizio morale e politico: da una parte c’era la tirannide, dall’altra la lotta per la libertà. Le responsabilità di chi fu artefice e difensore della tirannide non possono essere dimenticate. Garibaldi mi invita a leggere tutta la Costituzione scritta da Biggini. L’ho fatto: è un testo integralmente fascista, antitetico alla Costituzione italiana. La Costituzione, nell’articolo 1, afferma che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”; quella di Biggini negli articoli 10 e 11 sancisce che “La sovranità promana da tutta la Nazione” e che “Sono organi supremi della Nazione: il Popolo e il Duce della Repubblica”.

Ancora: la nostra Costituzione stabilisce che i tre poteri più importanti dello Stato -l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario – siano dati a tre organismi diversi, per evitare la concentrazione dei poteri che aveva caratterizzato la dittatura fascista; nella Costituzione di Biggini il Duce “esercita il potere legislativo”, a lui “appartiene il potere esecutivo”, mentre la funzione giudiziaria è esercitata dai giudici “nominati dal Duce”. Il Partito fascista è “organo fondamentale dell’educazione politica del popolo” ed è “riconosciuto come organo ausiliario dello Stato”. La parte dedicata al lavoro e alla “socializzazione” in campo economico, infine, è del tutto demagogica: si richiama alle origini popolari del movimento fascista, ma nella realtà dei fatti si poggia, come nel 1921-22, sulla violenza squadristica. Nella memoria di Spezia antifascista c’è il terribile rastrellamento nazifascista del 20-21 gennaio 1945, noto come “la battaglia del Gottero”. Subito dopo il rastrellamento, Mussolini giunse in Lunigiana per dare sostegno ai massacratori. Dormì a Pontremoli il 25 gennaio, a Mocrone di Villafranca il giorno dopo. Anche in quei giorni Biggini stava, come sempre, dalla parte del Duce.