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Questa mattina la consegna dei riconoscimenti

Modiano, Premio Exodus 2024: “A Birkenau i miei occhi hanno visto cose orribili, ma la mia missione è testimoniare”. Menzione cittadina per don Gianni Botto

Lacrime, tristezza e una certa dose di ammirazione si sono alternate questa mattina nel corso della lectio magistralis tenuta da Sami Modiano durante la cerimonia di consegna del Premio Exodus 2024. Modiani, tra gli ultimi superstiti del campo di sterminio di Birkenau, ha portato la sua testimonianza dei sette mesi vissuto nell’inferno pervicacemente organizzato dal regime nazista e ha spiegato le ragioni che lo hanno spinto, dal 2005 in poi, a farsi portavoce delle sofferenze subite dal popolo ebraico durante gli anni bui della Seconda guerra mondiale. Un intervento lungo e a più riprese toccante, commovente, tenuto in teleconferenza di fronte alla platea degli studenti delle scuole spezzine, radunati per l’occasione nella sala proiezioni della Mediateca regionale “S. Fregoso” insieme al sindaco Pierluigi Peracchini, i membri della giunta e don Gianni Botto, al quale, in qualità di fondatore del Gruppo Samuel della Spezia che promuove il dialogo ebraico – cristiano, è stata consegnata la menzione cittadina del premio.

“Ringrazio la città e il sindaco per questo premio che rappresenta, in un momento storico così importante per l’ebraismo nel mondo, tutto il coraggio e il rispetto che La Spezia porta da molti anni agli ebrei e a tutti coloro che si battono per i rapporti umani. Ed è per questo che, pur non potendo, allo stato attuale, essere presente per ritirarlo, vorrei far giungere all’intera città, al sindaco e a tutti coloro che portano avanti questa meravigliosa iniziativa il mio grazie di cuore per questo riconoscimento così prestigioso per il valore umano che porta con sé fin dal primo momento nel quale è stato istituito”, ha esordito Modiano, 94 anni, rivolgendosi poi quasi sempre ai ragazzi delle scuole, in un dialogo fatto di domane e risposte, sempre ammantato dall’atmosfera che si crea tra i nonni che raccontano e i nipoti che ascoltano a bocca aperta storie che sembrano riemergere ogni volta dai ricordi come se fosse la prima.
“Ero un ragazzo come loro, avevo 13 anni quando venni deportato insieme a tutta la comunità ebraica dell’isola di Rodi, e dopo quell’esperienza orribile tantissime volte mi sono chiesto perché. La mia tragedia, in realtà, era iniziata già prima: perché io a 8 anni venni espulso dalla scuola e a causa delle leggi razziali mi fu impedito di continuare gli studi. Io non sono come voi: miei occhi hanno visto cose orrende. Ho perso tutta la mia famiglia e non ci sono parole per spiegare questo dolore: non c’è modo di cancellare quello che abbiamo subito nei campi. Una volta arrivati a Birkenau siamo stati marcati come le bestie e da allora eravamo condannati a morte. Io sono stato privilegiato, il Padre eterno non ha voluto che fossi eliminato e io non smetterò di testimoniare finché ne avrò la forza. Perché io? Questo è uno dei tanti punti interrogativi senza risposta della mia vita. Dio ha voluto che io fossi testimone e dal 2005 ho iniziato a farlo, con riscontri positivi da parte dei ragazzi e continui stimoli a continuare”.
Il vincitore del Premio Exodus ha spiegato perché si considera un condannato a morte che l’ha scampata per un pelo. “A Birkenau non esisteva il concetto di sopravvivenza: l’80 per cento di quelli che percorrevano la rampa della morte accedendo al campo finivano immediatamente nelle camere a gas. Il restante 20 per cento rimaneva in vita provvisoriamente per portare avanti l’ingranaggio della macchina della morte: serviva la nostra manodopera per ammazzare altre persone. Siamo rimasti in pochi a ricordare direttamente che nel secolo scorso sono state fatte cose orrende. E’ impossibile dimenticare cosa significa perdere un padre amorevole e una sorella bellissima in maniera barbara, tutto davanti ai miei occhi”.

Modiano, che a Birkenau ha conosciuto personaggi come Piero Terracina e Primo Levi (“io ero un ragazzino, lui era una persona culturalmente preparata e sono contento che abbia potuto raccontare la nostra storia al mondo intero”), ha ricordato anche le ultime settimane della prigionia, prima della marcia della morte verso Aushwitz organizzata dalle SS per non lasciare che i russi in avvicinamento al confine trovassero deportati e testimoni nei campi: “All’inizio del ’45 venni portato in un laboratorio insieme ad altri sette giovani ebrei: ci  prelevavano una siringa di sangue al mattino e alla sera. Questo esperimento durò pochi giorni: poi venne dato l’ordine di portarci via da lì. Non ho mai capito il motivo di questi prelievi. Quel che so è che a Birkenau c’erano cinque camere a gas, cinque forni, stanze di tortura e laboratori per esperimenti. I nazisti pensavano di cancellare tutto portandoci via, ma è tutto finito nelle mani dei russi, comprese le fosse comuni”.

“Prima del 2005 – ha spiegato ancora Modiano – mi rifiutavo di testimoniare, perché le persone non mi credevano e questo mi causava un dolore tremendo. Poi sotto la spinta della comunità ebraica di Roma mi sono convinto a fare un viaggio a Birkenau con le scuole superiori e là è venuti fuori tutto: non avevo dimenticato una virgola. Ho rivisto mio padre che difendeva sua figlia, ho rivisto mia sorella dall’altra parte del filo spinato”. E a questo punto alle lacrime di Sami Modiano si sono unite quelle di molti dei presenti in sala.

Sami Modiano ritira il Premio Exodus 2024

 

“Là – ha proseguito commosso – ho giurato di non dimenticarli mai. Non solo i miei famigliari, non solo gli ebrei, anche gli omosessuali, i disabili, gli oppositori politici e i rom che in quel campo di sterminio hanno lasciato la vita. Là, quel giorno, ho deciso che avrei passato il resto della mia a ricordare: la mia missione è questa e ora sono l’uomo più felice del mondo. Per questo vi invito ad andare là. Ricordo che una volta una SS ci disse di non tentare la fuga, altrimenti saremmo morti come chi lo aveva fatto prima di noi, e continuò dicendo che anche se qualcuno fosse uscito vivo da Birkenau nessuno avrebbe creduto a quello che avrebbe raccontato di quello che succedeva all’interno. Era stato tutto studiato a tavolino, anche questo aspetto agghiacciante”.

Al termine della prigionia Modiano pesava 27 chili ed era uno dei 31 superstiti tra le duemila persone partite da Rodi. “Quando compresi che la guerra era finita iniziai a domandarmi perché io ero da questa parte e la mia famiglia era dall’altra. Avrei voluto essere uno di loro, per restare vicino a loro. Ero solo, senza più un familiare. In certi momenti si perde anche la fede, troppi interrogativi rimanevano senza risposta, tutti i giorni. Ma due persone durante la marcia verso Auschwitz, due angeli, mi sollevarono dopo ero caduto stremato a terra (e lo misero su un mucchio di cadaveri, dove rimase mimetizzato sino a riprendersi e a trascinarsi sino a una casa, dove il giorno dopo venne salvato dai russi – Ndr). Ero solo, mi erano rimaste solamente le parole di mio padre: “Tieni duro Sami, ce la devi fare”. Una frase che mi servì nel campo di sterminio e anche dopo. In quei giorni speravo fortemente che gli autori di quel crimine pagassero per quello che avevano fatto, ma per molti non è stato così. Non si trattava di vendetta, ma di giustizia: in sette mesi, vestito solo di un vestito a righe e un paio di zoccoli di legno, a lavorare 12 ore sotto la pioggia e sotto la neve, nonostante fossi solo un ragazzino di 13 anni non ricevetti mai un gesto umano da nessuno, fui trattato sempre e soltanto in maniera barbara”.

“Ragazzi, fate tesoro di quello che avete: la famiglia, la scuola, gli insegnanti. Se i vostri genitori a volte vi fanno un rimprovero è perché vi vogliono bene. Cercate sempre di ragionare e di stare dalla parte giusta del mondo”, ha concluso Modiano, lanciando poi un grande abbraccio virtuale a tutta la platea presente in Mediateca.

“Nulla chiedere, nulla rifiutare, insegnava san Francesco di Sales – ha dichiarato don Gianni -. Accetto quindi volentieri questo riconoscimento che mi è arrivato inatteso ma particolarmente gradito proprio per il momento storico che stiamo vivendo dopo il massacro del 7 ottobre 2023 e la dolorosa guerra che da sette mesi si trascina in Medio Oriente. Apprezzo molto la determinazione con cui l’amministrazione comunale spezzina anche quest’anno ha scelto di celebrare Exodus, nonostante il clima mondiale di antisemitismo risorgente. Come nel 1946 questo fa onore alla nostra città. Il Premio Exodus anche quest’anno sarà un intenso momento di approfondimento culturale con lo scopo di celebrare, sempre con uno sguardo tra memoria e riflessione sul presente, la straordinaria pagina civile di cui La Spezia è stata protagonista ricordando l’aiuto prestato dalla città e da tutto il territorio negli anni 1946-1948 ai superstiti ai lager nazisti. La Spezia, infatti, si trasformò nella “Porta di Sion”: da qui partirono navi come la “Fede”, il “Fenice” e la nave “Exodus”.

Per il 2024, il sindaco della Spezia ha voluto conferire il premio a Sami Modiano con la seguente motivazione: “Per il suo infaticabile esercizio di testimonianza e di memoria della Shoah che rimarrà imperituro per le generazioni future come antidoto alla violenza e all’odio”.
La menzione cittadina del Premio Exodus 2024 a don Gianni Botto è dovuta con la seguente motivazione: “Per il suo costante impegno nella promozione dei valori della civiltà occidentale e nel dialogo interreligioso fra cristiani ed ebrei, perno dello sviluppo di una cultura della pace e della solidarietà nelle nuove generazioni”.
“La Spezia è orgogliosa di essere città di Exodus e con questo prestigioso premio teniamo alto il valore della memoria per fare in modo che episodi terribili come la Shoah non si ripetano mai più – ha affermato il sindaco Peracchini -. È grazie all’instancabile impegno di persone come Sami Modiano e don Gianni Botto che è ancora possibile, in questi tempi di incertezza, accendere luci di speranza per le generazioni future e portare avanti un messaggio di unità, tolleranza e rispetto reciproco”.

Sami Modiano ritira il Premio Exodus 2024

 

I PROTAGONISTI DEL PREMIO EXODUS 2024
Sami Modiano è nato a Rodi nel 1930, quando l’isola era Provincia Italiana, in una comunità ebraica di circa duemila persone e altre comunità religiose. Nel 1938, alla promulgazione delle leggi razziali, come racconta Modiano stesso, “ho perso la mia innocenza. Quella mattina mi ero svegliato come un bambino, la notte mi addormentai come un ebreo”: fu prima espulso dalla scuola, poi perse la madre e affrontò la difficile situazione economica famigliare quando il padre perse il lavoro. A seguito dell’Armistizio dell’8 settembre 1943, Rodi fu occupata dai Nazisti e la sua famiglia fu deportata al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau che raggiunse nel luglio 1944. Li perderà la sua famiglia, il padre, la sorella, i cugini. Sami Modiano lasciò in marcia Birkenau nel 1945 tedeschi quando l’Armata Rossa era ormai prossima all’ingresso del campo. Durante la marcia, Modiano svenne ma alcuni prigionieri lo misero in cima a un cumulo di cadaveri riuscendo così a mimetizzarlo. Al risveglio raggiunse una casa in cui c’era anche Primo Levi. Il giorno seguente l’Armata Rossa entrò ad Auschwitz: era il 27 gennaio 1945, d data in cui si celebra oggi la Giornata della Memoria. Modiano è uno degli ultimi sopravvissuti italiani al lager di Auschwitz Birkenau. Dopo un silenzio di quasi 60 anni, dal 2005 si dedica indefessamente alla testimonianza dell’Olocausto.

Don Gianni Botto è nato a Chiavari (Genova) il 14 settembre del 1943 da una maestra, Maria Pendola, che lavorava nello iutificio Montecatini di Fossamastra, e da Paolo Botto, capo magazziniere, sempre alla Montecatini. Ha frequentato il liceo scientifico Antonio Pacinotti nella vecchia sede di Via Venezia e dopo la maturità nel 1963 è entrato in seminario. È stato monsignor Luigi Orengo teologo, canonico della cattedrale, insegnante di religione e assistente del movimento studentesco, infine economo della Curia, che ha fatto maturare in lui il desiderio di diventare prete. Il 12 ottobre 1969 nella parrocchiale di San Francesco a Lerici don Gianni viene ordinato sacerdote. Dopo un breve periodo come cappellano militare, è al servizio di varie parrocchie della città e viene in seguito incaricato come esorcista, ministero che eserciterà per 17 anni consecutivi. Nel frattempo, sulla scia del Concilio Vaticano II e in particolare del quarto punto della dichiarazione conciliare Nostra aetate, si appassiona alle radici ebraiche del cristianesimo e negli Anni Novanta fonda il Gruppo Samuel costituitosi poi in associazione nel 2006.
Il Gruppo Samuel promuove il dialogo ebraico-cristiano e favorisce lo sviluppo di una cultura della pace e della solidarietà nelle nuove generazioni con mostre didattiche e incontri nelle scuole. Fra le altre iniziative ha prodotto tre film: nel 2005 Sha’ar Tzion, in collaborazione con l’Istituto Comprensivo di Lerici; nel 2006 La Spezia Porta di Sion e nel 2008 Storia di Adriana Revere, sempre in collaborazione con l’Istituto Comprensivo di Lerici. Tutti e tre sono stati acquisti nella documentazione dello Yad VaShem, il più importante museo al mondo sulla Shoah.

STORIA DI EXODUS
Dall’estate del 1945 alla primavera del 1948 oltre ventitremila ebrei riuscirono dalle acque della Spezia a lasciare clandestinamente l’Italia diretti in Palestina. La potenza mandataria della Palestina, la Gran Bretagna, aveva infatti emesso il Libro Bianco del 17 Maggio 1939 per regolamentare l’afflusso controllato in Palestina di soli 75 mila ebrei in 5 anni. Una misura che fu messa in crisi dalla drammatica situazione europea e contrastata con ogni mezzo dal Mossad Le Aliyà Bet (Istituto per l’immigrazione illegale sorto nel 1938). A partire dal Maggio 1945 una notevole corrente di ebrei cominciò ad affollare la Penisola e il Mossad Le Aliyà Bet inviò un responsabile in Italia con base a Milano, Yehura Arazi. Altri membri del Mossad furono inviati in Italia tra i soldati della brigata ebraica al seguito degli alleati. La prima nave di profughi, il Dallin (già Sirius) partì da Monopoli il 21 Agosto 1945 con soli 35 immigrati a bordo. La questione dell’immigrazione ebraica scoppiò come caso internazionale nel Maggio 1946: l’epicentro Fede di Savona e il motoveliero Fenice, pronte a trasbordare 1.014 profughi. Quell’operazione godette dell’aiuto di tutta la città della Spezia, già stremata dalla guerra e distrutta dai bombardamenti. Proprio il sostegno della gente, resistenza dei profughi, intervento dei giornalisti di tutto il mondo e la visita a bordo di Harold Lasky, presidente dell’esecutivo del Partito Laburista britannico, costrinsero le autorità londinesi — le cui navi bloccavano l’uscita dal porto della Spezia — a togliere il blocco alle due imbarcazioni che salparono dal molo Pirelli a Pagliari alle ore 10 dell’8 Maggio 1946raccoglienza della comunità e la solidarietà delle autorità spezzine convinsero gli organizzatori del Mossad a puntare sulla Spezia con operazioni di maggior peso. Così nella notte tra il 7 e 1’8 Maggio 1947 la nave Trade Wins/Tikya , allestita in Portogallo, imbarcò 1.414 profughi a Portovenere. Nelle stesse ore era giunta nelle acque del golfo della Spezia, proveniente da Marsiglia, la nave President Warfield, un goffo e pesante battello adatto a portare turisti giù per il Potomac, da Baltimora a Norfolk in Virginia. La nave venne ristrutturata nel cantiere dell’olivo a Porto Venere per la più grande impresa biblica dell’emigrazione ebraica: trasportare 4.515 profughi stipati su 4 piani di cuccette dall’altra parte del mediterraneo. L’imbarcazione divenne un simbolo, prese il nome di Exodus, raggiunse le coste della Palestina, venne attaccata dagli inglesi e avviò la nascita dello stato di Israele con tutte le conseguenze che sappiamo. A narrarci le peripezie dei profughi dello sterminio ebreo ci ha pensato nel 1958 Leon Uris con il celebre romanzo Exodus, tema ripreso nel libro il comandante dell’Exodus di Yoram Kaniuk. A Exodus è dedicato anche un bellissimo film del 1960 di Otto Preminger interpretato da Paul Newman, Peter Lawford ed Eva Marie Saint. La Exodus mosse dal golfo della Spezia ai primi di Luglio del 1947, sostò a Port-de-Bouc, caricò a Séte, fu assalita e speronata dai cacciatorpedinieri britannici davanti a Kfar Vitkin.Ci furono morti a bordo, gente che era sopravvissuta ai lager e che finì i suoi giorni a due passi dalla speranza nelle acque tra Netanya e Haifa. Dopodiché gli inglesi rimandarono i profughi ad Amburgo al campo di Poppendorf, un ex lager trasformato in campo di prigionia per gli ebrei. Il nome di Exodus da allora significò il desiderio di giustizia per l’emigrazione ebraica. Ma solo con la fine del mandato britannico i profughi sarebbero potuti tornare in Palestina. La Fede, il Fenice e la Exodus si mossero tutte dal golfo della Spezia, una dicitura che non compare nelle carte geografiche israeliane. La Spezia in Israele è infatti indicata col nome di “Schàar Zion” Porta di Sion. Nel nome di Exodus la città della Spezia porta nel Mediterraneo l’idea della pace e della convivenza II 25 Aprile 2006 il Presidente della Repubblica Cado Azeglio Ciampi ha conferito al Comune della Spezia la medaglia d’oro al merito civile per l’aiuto prestato dalla popolazione spezzina ai profughi ebrei scampati alla seconda guerra mondiale.

 

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