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Le indagini del commissario Borachia

Le indagini del commissario borachia

Strip Foot

Racconto a dispense, prima parte.

Questura

Marco Rossi affronta in curva l’angolo retto che unisce la parte della passeggiata a mare – panchine palme lampioni sampietrini – al molo vecchio a lastricato grigio infilato per circa duecento metri nelle acque. Se non fosse a piedi in corsa jogging si direbbe stia sgommando. Fa sempre così, ogni due o tre giorni al massimo, in mattine libere da turni: lascia il suo scooter rosso fiammante vintage esattamente all’angolo suddetto, fa quasi sei chilometri in percorso cittadino (giardini, salitine, primi colli discesa ritorno) a velocità sostenuta ma non troppo, fa la marina, imbocca il molo e – duecento andata duecento ritorno – aumenta la velocità con una decisione spasmodica, doppia il piccolo faro rosso porpora e torna indietro: arriva sfinito, riprende il fiato e la moto, e si dirige a casa. Ora, nella curva finale sta ammirando come d’abitudine alla sua destra il degradare del monte più alto nell’unico fiordo del Mediterraneo, nonostante le strutture civili e militari, e i natanti altrettanto complementari impediscano una chiara e completa visione del quadro macchiaiolo che doveva essere fino a circa cento/centocinquant’anni fa .

Per tutto il percorso precedente ‘stavolta non ha fatto che pensare a quella ragazza: una persona umana, una collega dolcissima e tombolotta, che lo ha aiutato in extremis in una missione di un giorno a trecentocinquanta chilometri più a Nord, e quando lo ha salutato gli ha dato un bacio. Perché lo ha voluto lei, senza alcuna garanzia. Sì si telefonano, dicono tante cose. Ma non è facile. E’ così chiaro! Chiaro cosa?!? Proprio quella cosa lì, già. Che fare. Non è facile e non solo per il desiderio. (anche). Una logica che si conosce tardi; e quando si conosce ci si chiede: perché ora? Perché così? E si spera che lei soffra meno di te. E si sa che non solo non è così, ma che mai e poi mai rinuncerebbe a provare la stessa cosa. Eppure tutto va avanti così normale, così “da grandi“. Grandi un tubo! Più incoscienti di così, neanche i ragazzini. E per quanto le avrebbe scaricato l’arma di ordinanza addosso ha ragione la Fazio, quando lo incontra nel corridoio in questura: mi sono innamorato di teé, percheèè… e smette lì di cantare.

Questa volta però, superato lo scooter, lo sguardo di solito dedicato alle onde del mare, alle due punte lontane e all’immedesimarsi nella luce della giornata è sottratto da un’altra immagine.

Si tratta di una figura femminile, ancora abbastanza lontana. Indossa una tuta scura a due pezzi, per nulla attillata; anzi un po’ sblusata. Sta correndo, lo fa con decisione; aggiungere „elegante“ sarebbe non rendere l’idea della originalità. Sembra al tempo stesso immobile e in velocità, come un quadro futurista: ma è un’immagine meno stupida di un quadro futurista analogo. Ricorda un felino africano e, insieme, una papera veloce. Ha capelli lunghi, scuri, la cui massa si muove compatta con l’onda della corsa. I piedi, da lontano, appaiono di una lunghezzza enorme dentro scarpe chiare. Marco decide di usarla come „lepre“, e scommette con se stesso se la raggiungerà prima del faro rosso. Nel momento in cui scatta la scommessa, in cui stringe la sua mano a un se stesso annoiato e beffardo, vede chiaramente, come fosse a un passo da lei, il suo piede destro indugiare sulla punta prima dello stacco, il suo ginocchio superarlo, la caviglia piegarsi in avanti e un poco sull’esterno. La donna è piombata a terra. La scommessa diventa un dovere e il poliziotto assume uno stile Mennea, benché sia più tarchiatello dell’unico velocista al mondo che, senza mai doparsi, con un fisico non longilineo, sembrava volare sull’aria verso il record mondiale, come un film di Ridolini a velocità aumentata. Un Ridolini che non faceva mai ridere.

Marco ha raggiunto la donna, che ha un’aria da bambina imbronciata. Le labbra grandi al naturale. I capelli decisamente neri ma non definibili corvini presentano segreti riflessi blù, con impercettibili fili bianchi rari fra anelli infiniti.

„Che succede?“ lei lo guarda:

„Succede che sono una cretina“

„Perché?“

„Perché guardo il mare e non dove metto i piedi“ (i piedi non sono poi così enormi come da lontano apparivano)

„Mi aiuta ad alzarmi, per favore?“ dice lei

„Glielo sconsiglio“ la donna fa per proseguire l’intenzione da sola; Marco le prende prontamente la mano; lei carica il sinistro, ma appena il destro tocca terra lancia un guaito e ricade: senza aiuto del poliziotto avrebbe preso una discreta sederata

„Visto? Mi dispiace ma non è una cosetta… permette? Mi scusi in anticipo…“ con attenzione lui prende fra il pollice e il medio la caviglia di lei. Un altro grido.

„Se ne intende? E’ un medico?“ Marco sospira:

„Né medico né infermiere: tempo fa feci un corso: sono un poliziotto“

„Ah!“

„Questa caviglia va vista: può chiamare qualcuno?“

„Non ho il cellulare: non porto mai niente con me: lascio le chiavi di casa a una vicina fidata e rientro in corsa, poi suono al suo campanello“ Marco ci pensa un po’ su

„Lo faccia col mio cellulare: poi può cancellare il numero“ – estrae da una cerniera strettissima lo strumento

„Credo sia inutile: mio marito è a un’importante riunione di lavoro e avrà staccato“

„Provi“ la donna ubbidisce:

„Che le dicevo?“

„Bisogna andare al Pronto Soccorso“

„Figurati: mi tengono lì fino a ‘stanotte e magari non ho niente. E poi come ci arrivo?“

„Vado a prendere la moto – risponde il poliziotto indicando il mezzo cento metri indietro, al famoso angolo – ho il casco nel bauletto, e per me spero l’emergenza e il tesserino basteranno, se ci fermassero“ la donna non risponde niente.

Poco dopo Marco immobilizza la moto quasi addosso alla donna, poi scende e si inginocchia a terra dandole le spalle

„Mi abbracci per favore“ lei gli mette le mani sulle clavicole

„Vuole a tutti i costi prendere anche una culata, oggi…Mi abbracci bene!“ la donna gli cinge il collo;forte; poi Marco sente la sua guancia appiccicarsi alle proprie scapole: i sudori travasare l’uno nell’altro. I due rimangono un attimo in silenzio: no, la donna della mia vita, la donna che amo, è la poliziotta tombolotta: non ho dubbi e mi manca ogni minuto di più. Questa creatura mi attira per l’eleganza e la franchezza: vorrei fosse la mia vera amica.Un gabbiano sottolinea con tre gridi ripetuti la conclusione

„E’ pronta?“

„Un momento…“

„Che c’è?“

„Non potremmo darci del tu?“

„Sì, certo… ovviamente.“

Il Pronto Soccorso della Città si trova, dopo la sbarra, alla fine di una ripidissima salitina di trenta metri: sulla sinistra di chi sale si apre l’entrata per ambulanze e barelle, poi quella della sala d’attesa, una stanza di sette metri per quattro con al centro due file di sedie che si danno le spalle l’una con l’altra; di fronte a una di esse la porticina d’entrata per i parenti; sopra, un enorme cartellone luminoso con i „numeri-privacy“ e la gravità dell’intervento; poi, andando verso destra, un’altra porticina con su scritto toilette e poi l’immancabile macchinetta dell’acqua minerale, seguita da quella delle bevande calde. Oggi non c’è molta gente: diciamo una ventina di casi in contemporanea. D’estate ci sono notti da cinquanta interventi a botta (è il caso di dirlo, in tutte le accezioni del termine). Dentro c’è un corridoio strettissimo, che ha da un lato le salette iperspecializzate del primo intervento e delle visite, dall’altro i letti di permanenza, promiscui e separati eventualmente da tende. Negli ultimi tempi infermieri emedici hanno aumentato la lorocompetenza e buona volontà e fanno miracoli; la salute nazionale e l’amministrazione nazionale e locale meno. Nel pronto soccorso della Città, se i casi dei propri cari non sono troppo gravi, è possibile farsi una cultura reale, cioè confrontarsi con i tipi che sono davverogli indigeni della città, davvero gli immigrati italici, davvero le ragazze col velo e i/le sudamericani/e con i jeans stretti. Si chiacchiera molto ma a volte ci sono, ovviamente, anche silenzi angosciati.

Tornando alla sala d’aspetto, al termine della fila di sedie c’è un acquario dove uno/a o due infermieri/e decidono a che destino avviare gli infortunati. A Raffaella (perché questo è il nome dell’elegante Papera Volante in questione) le danno subito un codice giallo (ci scusiamo, ma è lei che imbronciata e rassegnata ha detto a me, lo sapevo, mi davano il giallo , e questo ha provocato nel Poliziotto Innamorato una simpatia notevole). Questo dovrebbe significare un quattro ore di attesa prima di sentire chiamare il numero assegnato (per la privacy)…

„Beh, non so come ringraziarti: stai bene, almeno tu!“ dice la donna porgendo la mano a Marco mentre un’operatrice la piazza su una sedia a rotelle come quelle del Numero Uno di Alan Ford

„Perché? Mica vado via“

„Stai scherzando?“

„Ma no…“ fa in tempo a dire Marco alla donna prima che l’operatrice sibili crudelmente scusie se la porti via.

Marco si piazza su una sedia, punta fisso lo sguardo sul muro e sta lì, a pensare alla poliziotta tombolotta: quasi venti minuti la immagina a letto, in slip e Tshirt, che russa teneramente, poi si alza, sbadiglia, si lava il viso, prende il caffé e pensa a lui; poi la immagina al lavoro, poi in azione: si studia tutte le occasioni non pericolose ma che le fanno fare bella figura. Poi la vede che torna a casa, compra i tramezzini, sale le scale, entra, controlla il proprio cellulare… it’s the final count-down (il ritornello a tastiera synt) si mette a squillare davvero:

„Pronto“

„ciao…“

„Ciao!“ , e così, altri tre quarti d’ora passano in un lampo. Ci scuserete se lasciamo ai due piccioncini l’assoluto possesso di quello che si dicono… è che siamo sicuri che non saremmo capaci di descrivere la tenerezza di parole normalissime, e quindi faremmo un cattivo servizio a loro e a voi; però se ne siete capaci, renderemo omaggio al Padre Dante: immagina, lettor….

Quando tutto è finito, il cellulare appena spento squilla di nuovo. Marco, un po’ perplesso, risponde immediatamente pronto

„pronto, mi scusi: ho trovato questo numero sul mio cellulare per una chiamata di circa tre ore fa: avevo spento per impegni…“

„Ah… lei è il marito di Raffaella?“ (dall’altra parte si sente un tra il contrariato e il preoccupato) „senta non si preoccupi: non c’è niente di grave; io sono un poliziotto e facendo jogging ho visto sua moglie finire a terra con una caviglia slogata. Ora è al Pronto Soccorso da un’ora buona, ma, le ripeto, non dovrebbe essere nulla. Io sono qui“ c’è un po’ di silenzio, poi:

„Oh, grazie… davvero gentile… arrivo immediatamente…“

„Sì: mi riconoscerà perché sono in tenuta da jogging“

„Certo. Bene: arrivo“

„Faccia con calma“; poco dopo, un bell’uomo alto, snello e robusto, con capelli scuri di taglio medio e un maglione celeste scuro su una camicia sobria fa il suo ingresso al Pronto Soccorso, individua Marco e gli stringe la mano presentandosi e ringraziandolo ancora.

Al venerdì, è ovvio, manca un giorno e mezzo alla domenica. E’ la prima volta nella vita di Marco Rossi che una ragazza lo viene a trovare da una città lontana. E’ una felicità che appare calma e indescrivibilmente perfetta. Anche lei userà la moto. Così aveva detto venerdì scorso. Poi, dopo un po’ che si erano parlati, qualcuno aveva chiamato il poliziotto:

“Buongiorno, spero di non disturbarla: sono il marito di Raffaella…” (non aveva buttato via il numero)

“Buongiorno: non si preoccupi; come è andata?”

“Era come aveva visto lei: una brutta slogatura, ma niente di rotto o veramente lussato. Ora ha il piedone col tutore”

“le scoccerà parecchio. E’ stato gentile a chiamarmi. Me la saluti mi raccomando…”

“Oh, è stato più gentile lei. Certo, gliela saluto, è qua. Ma ho chiamato per un’altra cosa” (Marco attendeva stupito)

“Mi dica”

“Ecco, mia moglie si vergogna un po’, ma, anche per sdebitarci, volevamo invitarla a un evento come si usa dire oggi” (Marco era ancora più stupito)

“di che si tratta?”

“Beh, ecco: Raffaella è appassionata di street food; voglio dire: come cuoca. E domenica prossima al molo c’è un evento chiuso: una gara di street food solo per invitati: tutti i concorrenti – una decina – si dispongono lungo il molo con le loro specialità; gli invitati assaggiano. Ovviamente votano solo i giurati super partes; però per fare notizia ognuno può invitare qualcuno. Pensavo, se non la disturba, di inviarle il talloncino per l’entrata a una sua mail, qualora me la potesse fornire…” (Marco si era fatto silenzioso)

“Beh, ecco…è una cosa molto bella, grazie, ma…”

“Dica”

“E’ che domenica mi viene a trovare una persona da lontano. E’ la prima volta, e viene apposta!” (c’era stato un po’ di silenzio)

Una persona, scusi se mi permetto: una sola, importante per lei?”

“Beh: sì, appunto”

“Se non avete già progetti per il pranzo può portare anche lei: se è la prima volta le fa vedere il molo; l’iniziativa è veloce: in mezz’oretta ci salutiamo e vede come è brava mia moglie in questa sua fissazione” (il marito aveva un po’ riso)

“Non so…”

“Senta: se preferisce di no non ci offendiamo. Se però l’idea le piace, faccia così: telefona alla sua ospite, gliene parla, e poi mi fa sapere: ok?”

“Lei è davvero gentile…”

“Ma si figuri! A dopo allora”

“D’accordo…”

La ragazza, manco a farlo apposta, amava decisamente queste cose. E ora che scende dalla moto in una domenica di sole, si sfila il casco, muove i capelli e gli sorride, a Marco sembra di essere l’uomo più felice del mondo. Lei gli mette le mani nelle sue, e stanno due minuti interi a guardarsi così in silenzio; a capacitarsi del loro reciproco dono.

Eccetera.

Poi si avvicinano camminando assieme al molo

“Ah, ma allora è una cosa importante: ci siamo anche noi!” dice Marco indicando una volante con le luci accese. La ragazza si prende sorsi di mare con gli occhi. E’ il punto in cui Raffaella era piombata a terra. Marco mostra il talloncino alla transenna d’entrata

“Mi spiace ora non si può entrare: c’è la polizia” i due ospiti si guardano un poco tra loro, poi tirano fuori un altro documento di riconoscimento

“Prego” dice un poco stupito l’incaricato degli accessi. Affrettando il passo arrivano al punto dove è la volante

“Cosa ci fai qua?” dice la Laura

“Poi ti spiego”

“E’ lei?”

“Sì” le due donne si guardano con simpatia, si stringono la mano. Marco si volta verso la propria sinistra. Il commissario Borachia è in piedi, in silenzio, gira il capo a intervalli irregolari un po’ qua, un po’ là:qua,un uomo anziano alto snello e robusto è anch’egli in piedi; davanti ai quali c’è una donna consona alla stazza e all’età del marito, sdraiata a terra, evidentemente priva di vita; là,il marito di Raffaella è il ritratto del silenzio e della preoccupazione. Tiene una mano sulla spalla della moglie. Raffaella è seduta sul muretto, immobile. Sembra un albero isterilito d’autunno. I due mariti si guardano con odio. Per un attimo gli occhi di Raffaella incontrano quelli di Marco. Uno sguardo rassegnato e disperato. Borachia fa un cenno impercettibile alla Laura e alla Fazio, che si avvicinano alla donna e a suo marito:

“Venite con noi, per favore”

“Dunque la conoscevi”

“La conoscevo, se così si può dire, da un paio di settimane”

“E anche il marito”

“Beh, gli ho parlato due volte al telefono per un minuto, e l’ho visto una volta”

“e in che occasione?” il commissario Borachia sta mezzo sdraiato sulla sedia nel suo ufficio a cubo trasparente; Marco Rossi gli sta davanti, a suo agio ma pensoso; disponibile ma impenetrabile. Il poliziotto racconta della storta al piede e tutto il resto.

“E cosa ne pensi?”

“E’ una brava persona”

“Cosa te lo fa dire?”

“E’ sincera” il commissario tira su impercettibilmente la schiena; fissa a lungo il poliziotto.

“Ti piace?”

“Mi piace come persona”

“E’ una frase che non vuol dire niente. Però mi induce a pensarci bene, prima di darti il permesso di partecipare” Marco lo guarda ancora più a lungo:

“Va beh, intanto che ci pensa, mi può dire qualcosa? Intendo: di come è andata” il commissario sospira:

“La prima notte l’ho tenuta qua, poi però lo sai com’è con la magistratura: insomma qualche giorno in galera se l’è fatto” Marco gira la testa verso destra, in basso; poi riprende:

“poi?”

“Poi l’hanno sentita alle preliminari; nel frattempo il marito ha preso il miglior penalista della Città. Insomma per fartela breve è ai domiciliari. Non può vedere nessuno, e soprattutto non può partecipare a gare di street food o comunque di food, né regalare cibi a nessuno”

“Il piede?”

“Oh, è stata fortunata: l’infermeria del carcere le ha dato consigli migliori che in ospedale: è quasi guarita” i due stanno a lungo in silenzio. Nessuno dei due sa se lo scambio è finito o se preferisce andare avanti. Poi Riccardo si mette più dritto. La sua voce cambia tono, come se parlasse con un confidente:

“Le due donne non andavano d’accordo. La vittima le diceva che quello dello street food era un atteggiamento per mettersi in mostra, ma che a lei del cibo, o di far festa con gli altri con quelle robe lì, non le fregava niente. Quell’altra le ribatteva che si pagava i libri da sola coi soldi del marito, e poi li presentava nelle associazioni che foraggiava con laute offerte, tirandosela da scrittrice “

“Ed è vero?”

“E cosa ne so?”

“Non poteva chiedere a quelle delle associazioni?” Borachia guarda Marco di nuovo a lungo. Quello sguardo ha un significato inconfondibile: mi hai preso per deficiente?

“Piuttosto, l’ho chiesto a qualcun altro…”

“?”

“Ho chiesto a Alberto se se ne leggeva un paio. Il che mi costerà una cena al Bugigattolo

“E che ha detto”

“Che la tua amica aveva ragione” per la prima volta Marco sorride.

“E i mariti?”

“Boh… a prima vista non sembrerebbero collegati alla faccenda. Certo è gente che ne ha, roba fra le mani: con quegli incarichi in due aziende diverse di quel calibro”

“Cosa c’entrano le aziende?”

“Chissà… dicevo così” c’è ancora molto silenzio tra i due. Borachia ha sempre guardato quel jolly joker come un nipote acquistato che segretamente stima più degli altri. Sperava sempre, al liceo, che Giugurta e Francesco Paolo fossero casi di tradimento, inventati a bella posta dagli autori. Mentre Alberto gli diceva di aprire gli occhi. Però! Lui finito commissario e l’altro mente libera, prima a spiegare poeti e poi a distribuire caramelle. C’è del logico in questa follia.

“Mi mandi con quelli della firma ai domiciliari” il commissario alza la testa di scatto:

“Mi prendi per i fondelli?”

“No”. Ancora un certo silenzio, poi:

“Solo una volta ogni tanto, però. E stai dentro pochi minuti senza iniziative personali”

Ciao”

“Ciao, come stai?”

“Come stai tu, piuttosto” Laura stringe un poco le labbra, con un disappunto che lei non sa quanto sia autentico

“Io sto bene, che dici?” Raffaella sta a schiena ritta, ma a suo agio e senza sforzo, su una sedia di casa sua, nessun tavolo o altro davanti: come un pezzo isolato in un museo d’arte moderna, un pezzo vivo. Il marito ha accompagnato i due poliziotti dentro e lei li accoglie così, senza alzarsi. Lo stupore nel vedere Marco, che in realtà aspettava, le è durato un attimo e si è rivelato in un velocissimo volo delle iridi nere verso il cielo aperto consentito dalla finestra. Non sa se il poliziotto corridore l’ha capito.

“Devo firmare vero?” l’espressione degli altri tre presenti si colora di un leggerissimo panico, della paura che la visita si risolva veramente subito in questo: che le norme, che non conoscono gli uomini, diventino gli uomini. C’è un po’ di silenzio.

“Già, con calma…” risolve poi intelligentemente la Laura

“Hai bisogno di qualche cosa?” questa volta la Laura fa qualche passo in direzione di Marco, e gli si para davanti con evidente rimprovero. Raffaella ha una gonna blù plissettata che le arriva al ginocchio, ripresa da una camicia di filo dello stesso colore, con tre bottoni aperti sopra il décolleté ossuto; solo le infradito sottilissime nere rivelano la forzata permanenza domestica, e solo i cerchi sotto gli occhi – peraltro non assenti nei momenti normali – un momento difficile. Marco sa riconoscere il sorriso dalle labbra enormi per il viso magro, che nella metà destra sembra incoraggiare benevolmente, mentre all’angolo sinistro cade in una smorfia triste e pensosa

“Io no, come vedi: ho tutto”

“Certo”

“Hai bisogno tu?” il poliziotto assume un’aria incuriosita verso se stesso, quasi divertita:

“In effetti mi sono scordato di mangiare a mezzogiorno”

“Marco!” fa la Laura

“Vuoi un pacchettino di cracker? O dei pinguini del supermarket? Mio marito dovrebbe avere portato su entrambi…”

“Non hai qualcosa di tuo? Preparato da te voglio dire”

“Adesso basta, stiamo esagerando!” sbotta la Laura; ma il silenzio glaciale degli altri la ammutolisce

“Sì, lo avrei…” fa Raffaella girando gli occhi sugli spettatori come per scusarsi

“Vallo a prendere” quindi Marco si volta verso il marito e la Laura:

“Farò il mio rapporto su me stesso veritiero. Poi decideranno loro” Raffaella ricompare scivolando sulle infradito: su un piatto istoriato giace un tovagliolo di carta dai colori tenui: al centro una sorta di panino molle

“Cos’è?”

“Io lo chiamo Panzucco…

Il Panzucco di Raffaella prevede banane zucchine e yogurt mescolati insieme, a lungo, dopo essere stati tagliati, triturati, schiacciati, grattuggiati, bagnati, oliati, riuniti e cotti a 150° per venti minuti

… è quello che ho dato alla morta” C’è molto silenzio: Marco Rossi, pur fornito di un cucchiaino dal marito di Raffaella, afferra con le dita il tutto e in due morsi se lo mette in bocca con aria meditativa:

“Buono!”

“Da morire!” fa Raffaella asciutta. “Sai, mi son detta: se non faccio così subito per me rimarrà sempre il Dolce della Morta: ne farò un mito, una maledizione, una superstizione. Devo liberarmene subito”

“Non andavate d’accordo, sembra”

“Marco: ha già risposto al giudice, che con le domande è l’unico che conta. Su: salutiamo e andiamo…”

“Vi sbagliate” fa con calma Raffaella. Marco la fissa negli occhi

“E senza errore come sarebbe?” Raffaella sospira, poi sorride:

“L’ho detto al giudice, che mi ha proibito di dirlo ad altri; nemmeno a mio marito posso”

“Non la sottoporrò a tortura per farmelo dire!” ridacchia il marito

“Ma cosa ti è saltato in mente?!?” urla bisbigliando la Laura scendendo le scale

“Non si fida più del marito: non come prima…”

“E perché mai?”

“Quando ci ha riferito la proibizione non ha guardato lui, né noi: ha fatto un breve cenno in direzione opposta, nel vuoto…”

“E vorresti darmi a intendere…”

“No, non è che vorrei: è così”

La passeggiata tranquilla, estremamente lenta, di quelle che non fanno sentire campioni di jogging né salutisti, né fanno bene a un’eventuale osteopenia, è stata convocata apposta alle 7.30 del mattino. Anzi: il commissario Riccardo e il rappresentante di caramelle già professore di lettere Alberto hanno ancora in bocca il sapore della brioche ai frutti di bosco e del cappuccino. Interessante la posizione del piccolo bar, che permette – ponendosi l’avventore ai tavolini esterni sul vertice di un angolo di poco più che 90°, il colpo d’occhio contemporaneo alla capitaneria di mattoni rossi, poi proseguendo ai posteggi infuocati, ai silos enormi e alle migliaia di container ferrati, per finire coi pachidermi dei croceristi e le ciminiere delle fabbriche, alla propria sinistra; alle aiuole magistralmente curate dai collaudati e collodati da decenni giardinieri del comune, le palme gentili, i sampietrini geometrici e le panchine ancora in ombra, nonché il rosso piccolo faro sulla punta estrema del molo. Due mondi contigui. Una volta si disse: sì, ma l’uno dipende dall’altro; ora non se ne è così sicuri. Non del tutto almeno…

Unica pecca qualche persona che ogni tanto si pone per caso sul cammino dei due eroi disprezzati dal mondo per raccattare la popò del cane in un sacchettino fluente e cadente, provocando quella smorfia di Alberto che a Riccardo – forse più tollerante ma solo in apparenza – provoca una segreta, consapevole ilarità. Il sole colpisce forte il mare mentre l’orario non gli permette troppo bruciore; le rondini e le gabbianelle hanno la meglio sui gabbiani che, sanguisughe della fatica altrui come tanti, ora occupano la città sventrando sacchetti dell’immondizia e corpi di colombi.

“Hai letto tutto, hai letto meglio…”

“Sì”

“Col taglio che ti ho chiesto io?”

“Sì: cercando percorsi che non c’entrano con le storie in sé, ma con qualcosa che interessa all’autrice. Che interessava…”

“Un po’ come nei temi di maturità”

“Sì ma lì gli autori c’entrano poco e niente”

“Poveracci: una vita di fatiche e frustrazioni, poi diventi famoso e ti arriva uno da Roma che ti fa snobbare dai ragazzini viziati!”

“..eh…”

“Va beh.. allora?”

“Direi niente di nuovo. Ho trovato due percorsi…”

“Lo fai apposta, eh?”

“Hai iniziato tu!”

“Dai vai avanti”

“..due percorsi soli, ti dicevo, abbastanza sicuri: l’inimicizia con l’indagata, e gli sbrodolamenti estetici e ambientalisti sul paesaggio”

“Beh, quella è già indagata e ai domiciliari; l’altra cosa non sembrerebbe affare di un commissario della criminale. A meno che tu non ritenga che le sue, diciamo, denunce potessero scocciare tanto che…”

“Ma no! Ma figurati: sono i soliti discorsi! Fatti da una che si paga i libri da sola e frequenta circoletti magari foraggiati dai suoi “colpevoli”: non hanno mai dato noia a nessuno in città!”

“Allora io ti ringrazio, anche se non è servito a molto”

“Direi di no. Però…”

“Però?”

“Però nel dare addosso alla tipa ho notato due cose: uno, non vi è mai una descrizione fisica: tutto è basato sulla fissazione con lo street food eccetera; e questo ci sta perché c’era una bella differenza tra una tipa magra graziosa dal viso originale e un’altra robustotta dal viso che ricorda…”

“…lascia stare: va’ avanti: la seconda caratteristica?”

“Ecco, progressivamente, di romanzetto in romanzetto, l’autrice sembra addolcirsi nei confronti della nemica: sembra quasi che dica che lei sappia qualcosa di scottante su cui poi tanto nemiche potrebbero anche non essere”

“Da cosa lo dedurresti?”

“Ma sì… frasi tipo: ma quell’insuccesso, quel premio mancato, quel piatto per lei nuovo che in realtà sapeva di stracchino andato a male, ora erano aspetti insignificanti rispetto a un’altra tristezza che portava in cuore…

“beh, non scrive malissimo come voi tutti dite”

“Bah… mettendo che lasciava la bocca marcia e che si sentiva nel petto forse potrebbe andare” lungo silenzio fra i due; poi Riccardo:

“continua a leggere, a pensare, a aiutarmi”

“Beh… se proprio devo!”

Il gruppo di Borachia si ricompatta nell’ufficio a cubo trasparente. Questo dà un senso di sicurezza, anche se non completa, soprattutto alle ragazze, provate (non ne hanno fatto parola e non lo ammetterebbero mai) dalle troppe novità: il fidanzamento “estero” (ma con una poliziotta, per giunta piccolina come la Fazio ma robustotta come la Laura… tu guarda!), il presunto omicidio per avvelenamento, l’amicizia fulminante, immediata, senza dubbi di sorta, fra sconosciuti come la signora Raffaella e Marco. Lo staff si è messo in formazione tradizionale con qualche piccolo mutamento: la Fazio e la Laura stanno sedute davanti al Borachia sprofondato nella poltrona al di là della scrivania, dietro di loro c’è il prode Viglietti col suo petto da tordo in amore e le braccia conserte, con quella sua aria “i delitti ci sono e le persone li fanno: noi ci occupiamo di trovare gli assassini: e bé???”. Giovannone è seduto su una sedia qualsiasi un po’ in disparte: il caso non fa per lui: una signora bruttina oltre i 60 morta, una cinquantenne graziosissima e magra principale sospettata e indagata: mai gli facessero un po’ menar le mani… A essere fuori posto è Marco Rossi: su una sedia aggiunta di lato alla scrivania del capo, i gomiti sul tavolo, ostenta attenzione e fisicità super partes: sarà vero? La maggiore novità è un tipetto ossuto ma non troppo, occhialato, con una chemise verde acqua chiarissima e i jeans: tutto pulito ma molto tranquillo, e casual:

“Allora dottore: parli lei” fa Borachia

“Sì, grazie: ormai gli esami sono tutti conclusi: nell’alimento ingerito dalla vittima sono state trovate tracce di aconitina, probabilmente tratta direttamente da Aconitum Napellus, una pianta come forse sapete molto velenosa addirittura al solo contatto con la pelle… figuriamoci per ingestione. Si tenga presente che le radici sono più velenose delle foglie e dei petali, peraltro di un viola molto bello”

“Difatti si trova anche nei giardini privati…” lo interrompe la Fazio

“Già” fa il medico “il guaio è che la signora indagata ce l’aveva. Ce l’ha: poco lontana dalla finestra della sua cucina ”

“Allora i primi conti tornano” interviene Viglietti. Borachia alza di trenta centimetri la mano sinistra per bloccare l’obiezione di Marco Rossi, che peraltro non si è mosso né ha aperto bocca

“Vada avanti, prego, dottore…”

“Ecco: il fatto è che l’aconito è, sì, velenosissimo; addirittura al tatto: figuriamoci all’ingestione! ma non è fulminante: quasi subito uno percepisce prurito e irritazione in viso; e qui una persona non sprovveduta chiederebbe subito l’intervento di un sanitario. Poi ci sono bradicardia, spossamento, vomito. Solo dopo due ore (ma potrebbero essere anche sei) ci sono scompensi; certo: anche cardiaci, ma la crisi è respiratoria: è quella a portare alla morte, mentre il malcapitato mantiene perfetta lucidità fino alla fine”

“Ebbene?”

“Ebbene: niente di tutto questo nel decesso della donna in questione: è morta per infarto”

“Impossibile?” chiede il commissario

“No, no – risponde il medico – un’ipotesi potrebbe essere che lo spavento per i sintomi, magari non mostrati subito, l’abbia portata all’infarto”

“Addirittura?”

“La signora era cardiopatica: si curava da tre anni, e grazie alle cure non aveva problemi. E’ anche vero che in letteratura abbiamo un caso di pochi anni fa, verificatosi in Inghilterra: un giardiniere è piombato a terra mentre maneggiava senza guanti l’Aconitum. E’ morto. Suo padre ha voluto vederci più chiaro e alcuni colleghi referenziati hanno escluso che la cosa fosse impossibile: cioè, voglio dire, hanno detto che poteva dipendere dall’Aconitum”

“Lei cosa dice?” il medico inarca un po’ la bocca, si stringe nelle spalle:

“Con tutto il rispetto… mi sembra strano. Sta di fatto che l’autopsia -tornando al nostro caso- l’ingestione di aconitina l’ha confermata. Il mio compito, sempre che non mi diate altri incarichi, finisce qui”

“Già…-fa Riccardo- è proprio per questa stranezza che siamo ancora in ballo: i giudici vogliono vederci più chiaro…” c’è un certo silenzio, accompagnato da un sospirone insofferente della coppia Viglietti-Giovannone

“Parla pure, eh, Marco: siamo tra noi. Tra noi non voglio problemi”

“Ma cosa vuole che dica? quello che direbbe lei: ci ho la pianta sotto la mia cucina, mi metto i guanti, la caccio nel mio bocconcino, la porto in pubblico al mioconcorso a cui tengo moltissimo e ci uccido la miaantipatica. Scusate, sarò di parte, ma via!” la Laura lo guarda con sofferente comprensione:

“Sì, ma questo lo dice un avvocato difensore in tribunale. Per far scattare l’indiziario, quel castello basta” c’è ancora un certo silenzio; a uno sguardo indulgente del commissario Marco aggiunge

“E sulla vittima, quanto abbiamo indagato?”

[ACONITO , veleno, la radice greca kon, come kaino= uccidere; che per chi è sveglio si trova anche in ebraico (si pensi a Caino; e quell’ alpha traditrice, non privativo ma rafforzativo: da una parte il nome e il veleno, dall’altra quei commoventi petali viola, affascinanti:

«Azzurre son l’ombre sul mare/come sparti fiori d’acònito./Il lor tremolio fa tremare/l’Infinito al mio sguardo attonito»

come ebbe a dire il poeta. E i poeti ce la sanno davvero, a far incontrare la bellezza con la morte..]

“Ho bisognio di te”

“Di me?”

affondato tranquillo nella poltrona dentro il suo ufficio a cubo trasparente, il commissario Riccardo Borachia non risponde, si limita a tenere lo sguardo fisso sul suo interlocutore, stringendo leggermente le labbra fra l’attesa e la conferma

“Per cosa, scusi?” Marco Rossi di fronte a lui parrebbe un amico, un parente, un pari grado; se non fosse per le mani che tiene appoggiate alle cosce, leggermente aperte come valve di due conchiglie, la parte del palmo rivolta in su, a indicare inconsapevole disponibilità assieme a impotenza sulla situazione

“Per il caso della signora tua amica” Marco alza il sopracciglio destro:

“Lei, di me, per quello? In questo periodo?”

“Sì” (il ragazzo sospira):

“Di che si tratta? Mi dica”

“Ecco, come tu sai c’è una certa contraddizione -peraltro non dimostrabile in senso assoluto- fra la presenza di aconitina nel cadavere, e la mancanza di segni premonitori, oltre al fatto che la morte per infarto improvviso non è ciò che ci si aspetta da tale avvelenamento…” il poliziotto annuisce

“Per cui -prosegue il commissario- la Bravo ha chiesto un supplemento di indagini”

“Non è soddisfatto di come stanno andando le cose?” il commissario ondeggia un po’ il capo a destra e sinistra, sulle due spalle:

“Il medico legale, la scientifica, i ragazzi si stanno dando da fare…”

“Non capisco”

“Ecco…noi dobbiamo fornire un quadro dell’ azione tossica o meno, dello status collaterale, e assieme delle tempistiche e delle dinamiche degli avvenimenti. Ma non dimentichiamo che l’indagata è la tua amica: insomma, solo su lei possiamo – o meglio: siamo incaricati di – indagare: fare di altre persone oggetti d’indagine non è previsto”

“Mentre lei ha questo in testa”

“Sì”

“E perché io?” Borachia guarda Marco sornione; eppure al fondo si distingue una certa serietà:

“Perché a te piace disubbidire…” c’è un po’ più di silenzio; nessuno dei due ride; il commissario guarda quella specie di figlio in più che lui -unico in tutta la questura- ha saputo interpretare, coprire, frenare, tenere a bada. Che ora, proprio mentre finalmente si è innamorato di una ragazza, e per di più una poliziotta graziosa e tombolotta, si erge a Lancillotto di una Ginevra più grande di lui, magra, provata e bellissima, che sta rischiando mezza vita in galera

“A chi sta pensando?”

“Ai due mariti”

“Ah!”

“Vedi Marco: tra loro c’è stato un evidente sguardo d’odio davanti al cadavere della vittima. Ma poi, ecco poi quell’odio non lo abbiamo più visto in scena: nessuna accusa plateale, nessuna civile tramite avvocati…”

“Beh: l’odio era a difesa delle rispettive mogli”

“Ah sì? Intorno una muore e all’altra crolla il mondo addosso, e loro se ne stanno in postura da Piero della Francesca a lanciarsi uno sguardo d’odio. E poi basta lì!”

“Comunque – e qui Marco riesce un poco a sorridere: un sorriso mesto ma pur sempre un sorriso – non è per rubare il mestiere né a Fazio del compianto Camilleri, né alla nostra rossetta che gli ha rubato il nome… è che ci avrei un po’ già pensato…”

“E te pareva! Sei stato attento almeno?”

“Credo…”

“Ah! Credi! Beh da ora cambia l’ingaggio!” il poliziotto fa uno sguardo incuriosito

“Devi prendertene uno solo: all’altro penso io. E ti prenderai quello con cui sei meno coinvolto. Siamo intesi?”

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