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Le indagini del commissario Borachia

Le indagini del commissario borachia

Il poema sinfonico

Racconto a dispense, seconda parte.

Bach

La destinazione è piuttosto a Nord. Marco, a bordo del suo vespone 200 rosso fuoco e col suo casco nero satinato in testa, impiega circa quattro ore per raggiungerla. Avrebbe potuto impiegarne tre, ma non vuole forzare. E poi, una sosta in autogrill è indispensabile: a metà tra la pianura Padana e le regioni quasi alpine: il cappuccino, le due-tirate-forse-quattro-non-di-più al toscanello guardando la sterminata e interminabile campagna nel giallo del giugno. Ha fatto le mille curve che risalgono e riscendono, poi come a cavallo i campi: “tra la via Emilia e il West”, per cantarla con qualcuno, e poi la scalata verso i massicci, col fiume arricciato che spesso ti scorre a pochi metri dalla careggiata e ti dà un senso di gelido anche d’estate.

Conosce un poco, ma non troppo, quella città e gli è sempre piaciuta: il cerchio che le corre tutto intorno con parecchie uscite che ti conducono quasi immediatamente a lei, quel misto di palazzi anni “60 e antiche vie e piazze immense e chiese superbe; e ancora quella periferia grande ma pulita, di palazzine più recenti. E’ una di queste, a tre piani, con le bretelle di mattoni a vista e i balconcini rientranti (ottimo rimedio contro il freddo) che deve raggiungere e lo fa, coadiuvato da “quelle diavolerie di oggi” come direbbe il commissario. Lungo la via alberata adocchia un bar quasi di fronte alla sua destinazione e pensa già che potrebbe servirgli per eventuali appostamenti.

Gli viene un’idea: la palazzina è dotata di un piccolo parcheggio condominiale a posto auto “assegnato”: se senza dare troppo nell’occhio riesce ad azionare un’altra diavoleria in dotazione ai tutori dell’ordine, potrebbe individuare l’auto dell’interessata dal numero di targa, e informazioni annesse e connesse: potrebbe essere un buon inizio invece di recarsi a colpo sicuro verso l’appartamento, col rischio che vada storto qualcosa. La diavoleria risponde bene; ma c’è anche una figura maschile che gira intorno all’auto: non è sceso da essa, quell’uomo, né sembra avere intenzione o possibilità di aprire e salire: sta curiosando, e ogni tanto si gira attorno…

” Alza le mani lentamente senza dare nell’occhio: polizia. Questo è il mio distintivo (lo tiene a mezz’aria, ben in vista): la pistola ce l’ho in tasca: cerca di non creare problemi” l’altro, dopo un brevissimo momento in cui si irrigidisce, sembra accennare un sorriso e lo guarda; alza effettivamente un poco le mani, ma appare più un invito alla calma e a accettare chiarimenti che un segno di resa:

“…sono un collega, credimi”

“non mi risulta probabile”

“avvicinati: ho i documenti nel taschino interno, a sinistra; mi sembri un tipo sveglio…” non c’è anima viva lì intorno; Marco gli caccia la canna della pistol fra le costole, poi gli fruga il taschino. In effetti salta fuori un tesserino. E’ un po’ diverso dal suo: è di colore verde, e in alto c’è scritto “Ministero della Difesa”: con un occhio al tipo e un altro al tesserino Marco controlla la fotografia: corrisponde.

Marco Rossi non è l’ultimo arrivato. La faccenda sembrerebbe veritiera. Gli restituisce il documento e si rimette la pistola in tasca, senza lasciare l’impugnatura:

“Scusami… e che ci fai qua?”

“Sto cercando qualcosa su …. ….. . Come te credo”

“Mi risulta che la nostra azione fosse segretata e isolata”

“Anche per me vale lo stesso” nel frattempo Marco si è lasciato attrarre dall’interno dell’auto, che contiene un fascicolo cartaceo: si avvicina ai finestrini

“Come ci siete arrivati, qui?” nessuna risposta. Marco si volta: il cortiletto è completamente deserto: l’altro è sparito senza un rumore. Stupido!

Ma quanto stupido? Perché non è scappato come un ladro? perché non l’ha minacciato da dietro? e il tesserino , poi: era autentico, Marco non ha dubbi…

Afferra il cellulare e compone un numero:

“Sì Marco: dimmi, allora?”

“Ciao Riccardo… sì per quel favore: puoi chiamarmi da casa?” il tu e la richiesta sono l’invito a usare una linea protetta

“Certo” fa il commissario. La strada è sempre deserta. Il bar anche: Marco si piazza a un tavolino dentro ma quasi fuori: non sarà facile da solo continuare a sorvegliare la palazzina e la macchina: per quanto ci riuscirà? Sente vibrare il cellulare: “Pronto!”

“Eccomi: dimmi…”

“Commissario: credo che abbiamo a che fare coi Servizi Segreti .

“Marco, sai che ho fiducia in te, e spesso ti cerco per cose che agli altri non affido…”

“Ma?”

“Ma non ti sembra un po’ prematuro? Voglio dire: i Servizi Segreti, così, per uno che hai visto un minuto in vita tua!”

“Provi a pensare alla rovescia: chi altri potrebbe essere?” il commissario rimane in effetti interdetto

“Mah… non so: e poi, col documento militare autentico spiattellato lì!”

“Se ben ci pensa, gli era utile proprio così. E difatti così è stato”

“Già. Ma, ammettiamo che tu abbia ragione…”

“Porc…!”

“Va bé, adesso non t’arrabbiare! in fondo il capo sono io, la responsabilità un domani…”

“Ma no, no! non è per lei. Accidenti! Senta devo andare, devo fare un pedinamento”

“Un pedinamento???”

“Sì, sì: la richiamo appena posso. Però, se vuole un consiglio…”

“Cosa?”

“Mi mandi su immediatamente due svegli; gli dica di chiamarmi quando sono vicini a qui, altrimenti non ne caviamo un ragno dal buco! Ora devo scappare, mi scusi…”

“Ma…”

Marco Rossi si getta nel pedinamento – fortunatamente a piedi: è partito la mattina presto, ha viaggiato per quattro ore, ha attraversato il primo imprevisto, si avvicina l’ora di pranzo e non ha più mangiato, né bevuto acqua, né preso caffé. E soprattutto è completamente solo con una preda che non può lasciare: non un minuto: nemmeno un secondo, e stando contemporaneamente attento agli avversari. Gli servirebbero cento occhi come Argo. O perlomeno quattro: due davanti e due di dietro. Invece ne ha due che incominciano a essere stanchi, e la questura della città in cui si trova non deve sapere niente. E il commissario? Gli darà fiducia? gli manderà qualcuno? Marco non è uno stupido: sa che così, tranne un colpo di fortuna, non ce la potrà fare.

Il pedinamento finisce due ore dopo: la preda ritorna con qualche pacchetto innocuo in più. Marco si ripiazza nel bar, al tavolino mezzo-davanti-mezzo-dentro, ordina un caffé e una bottiglietta d’acqua e non stacca gli occhi dalla palazzina: ora il portone, ora l’auto, ora la finestra.

“Ciao Caterina! smonti adesso?” è la voce della padrona del bar. Marco si volta un momento…E’ una questurina molto giovane, in divisa, ha l’aria stanca ma gioviale: è bassolotta, carina: un viso tondo dalle guanciotte infreddolite; si toglie il berretto e mostra una coda media castano scura; al fianco ha un pistolone che addosso a lei sembra la lupara del brigante Musolino.

“Non mi dire niente: ho iniziato alle tre di notte. La mattina presto poi finiva in rissa: non posso aggiungere altro per il segreto professionale, ma io e Silvestro eravamo da soli e fin quando non sono arrivati rinforzi ci è voluta una bella pazienza e un bel coraggio…”

“Povera bimba! cosa ti preparo?”

“Guarda: dammi due tramezzini come l’altro giorno: sono buonissimi! e una birra piccola piccola: Me li porto quassù, in casa. E poi me ne vado a lettino”

Già…una botta di fortuna… o giù di lì: com’è che si dice? Aiutati, che il Ciel t’aiuta! Marco, appena la padrona si allontana per preparare i tramezzini, si avvicina alla ragazza; tiene in mano il distintivo chiuso, come un questuante, e si contorce per non perdere di vista la palazzina

“Buongiorno collega: scusa la maleducazione, posso parlarti un attimo poco qui fuori?” la ragazza ha un tremito di curiosità e disappunto

“Chi sei? non ti ho mai visto da nessuna parte”

“Lo credo bene: non sono di qui: tieni, guarda con calma…” le mette in mano il distintivo e fa mezzo metro indietro: la ragazza lo esamina a lungo, poi glielo riporge in silenzio

“Puoi anche chiamare la mia questura se vuoi: chiedi del commissario Borachia”

“Che succede? chi sei?”

“Uno che ha maledettamente bisogno d’aiuto. Subito. Altrimenti finisce nella cosiddetta; ma più che lui potrebbe finirci gente innocente”

“Perché non collabori coi nostri?”

“Se mi ascolti un attimo qua fuori lo capisci subito” poi aggiunge con tutta la dolcezza che gli riesce: “ti prego” la ragazza abbassa un po’ gli occhi, poi li rialza; sospira. Marco teme il peggio

“Va bene: prendo i tramezzini. Tu aspetta fuori. Fumi?”

“Il toscano pochissimo”

“Ecco: accenditelo davanti alla porta” Marco ubbidisce e poco dopo la ragazza arriva. Lui le racconta ogni cosa

“Ti devo ispirare parecchio…”

“Potrei risponderti che non ho altro. Comunque mi ispiri parecchio”

“Senti: va’ dentro, prenditi da mangiare. Poi esci e dirigiti in direzione opposta alla mia: fa’ il giro del palazzo: non ho nessuna intenzione di fare in modo che domani tutto il quartiere e l’ufficio sappiano che mi porto a letto in casa il primo venuto. Vieni su, al primo piano; lascio la porta socchiusa. Mentre ti sposti, la palazzina la guardo io dalla finestra. Ciao”

E’ semplicemente perfetta, pensa Marco.

Entrato nella piccola casa sente la voce di lei che dice vieni!.Da come è messa la casa sembrerebbe ci viva da sola. C’è una discreta libreria; nessuna scarpa o pantofola maschile. Dal bagno semiaperto spunta un asciugamano singolo. La trova alla finestra

“Non è successo niente”

“Ok, grazie. E scusami tanto” lei sospira e sorride un poco:

“Vado a farmi la doccia e poi a letto. Tanto lo so che non guardi: hai cose più importanti da fare…”

“…beh, diciamo più urgenti. Comunque non guarderei lo stesso”

“Mah…. Ti auguro buon lavoro, e soprattutto buona fortuna”

“Già”

A parte i tramezzini, uguali a quelli della ragazza e veramente buoni, è un appostamento snervante, lungo e inconcludente. Solo ogni tanto si sente da una stanza uno sbuffo e per qualche secondo un lieve russare femminile: breve colonna sonora che più tenera di così non si potrebbe. Finalmente il cellulare silenziato vibra

“Pronto!”

“Ehi! segretissimo! addirittura bisbigli!”

“Ero sicuro che avrebbe mandato te. Magari c’è anche la Fazio!”

“Eh, sei proprio il testone del gruppo! Ti dispiace avere due donne alle calcagna?”

“Non le avrò per molto”

“Bel ringraziamento! e noi che abbiamo corso per tre ore e mezzo!”

“Sono commosso. Beh, ora la vedete quella macchina grigio chiara targata .. … .. in quel cortiletto lì, dove siete voi?”

“Ehi” ma tu dove sei?”

“Vi sto guardando da una finestra”

“Gasp!”

“Beh, tenetela d’occhio, e ancor di più il portone della palazzina: scendo tra un attimo…” Marco si avvicina in punta di piedi all’uscita, apre piano piano la porta cercando di non far rumore

“Marco!”

“Scusa: non volevo svegliarti”

“Te ne vai?”

“Sì: sono arrivati i colleghi” i colleghi? beh… .Intanto si è avvicinato alla stanza da letto; lei si è tirata su, con i capelli arruffati. Ha la t-shirt bianca, il resto è coperto dalle lenzuola

“Grazie, non so come ringraziarti…e scusa se t’ho svegliata”

“Non ci stringiamo neanche la mano?” Marco si avvicina imbarazzato e le tende la mano. Lei non la guarda nemmeno: si tira un poco più su e gli stampa un bacio sulle labbra: un bacio da bambina, a bocca chiusa, lungo e stupendo

“Avevi già fatto fin troppo…”

“Mi andava di mostrare le palle. Ora chissà cosa penserai…” Marco inclina un poco il capo

“Gli uomini intelligenti sono narcisisti…” lei sospira e ride piano:

“Era parecchio che non incontravo un uomo intelligente”

“Anch’io una matta saggia”

“Già!”

“Comunque, se fossi più matta che saggia, questo è il mio cellulare”

“Ok” “Ciao” “Ciao” Marco si incammina

“Marco…” lui si volta ancora

“Dimmi”

“Stai attento…”

“Tranquilla”

La Laura e la Fazio parlottano sul marciapiede: perfetta imitazione delle amiche che terminano una prima serata piena dei più candidi pettegolezzi fidati.

“Mi ci mancavate proprio voi due!”

“Torniamo indietro? E poi che modi! A volte potresti essere un po’ cavaliere!”

“Si vede che non siamo il suo tipo” aggiunge la Fazio…

E’ quasi ora di cena: Marco e la Laura hanno mandato la Fazio a comprare qualche panino e qualche bottiglietta d’acqua. Quando lei torna li consumano davanti alla palazzina. Finalmente le due ragazze salgono all’appartamento: Marco Rossi si rintana nella loro auto, nascosto più che mai. Ne approfitta per fare tre telefonate. Sembra convinto e soddisfatto. Non succede niente – almeno in apparenza. Sono già le undici di notte quando le donne scendono dall’appartamento: salgono sull’auto mentre il poliziotto riprende la sua vespa, e s’avviano. Appena usciti dalla città una paletta segnala l’alt, e loro accostano in coda alla gazzella:

“Documenti personali e libretto di circolazione, prego” dice un uomo maturo e magro chinandosi sul finestrino della guidatrice

” Maresciallo: addirittura il libretto di circolazione!” sussurra la Laura

“Scendete dall’auto piuttosto” fa il maresciallo Berni con un sorriso sornione. Le donne ubbidiscono; intanto lui s rivolge a un carabiniere dei suoi: “controllami il motociclista” dice indicando il Rossi. Una delle ragazze sgattaiola dentro la gazzella.

“Sembrerebbe tutto a posto” dice il maresciallo “buonanotte”

“A lei!” fanno in coro gli altri. La gazzella riparte a tutta velocità. Marco dà due tirate al toscano, poi ripartono anche i poliziotti.

Dopo pochi chilometri la Laura aziona l’auricolare

“Eccomi: mi dica”

“Ci siamo: vi fermano subito dopo il distributore 24h”

“Grazie”

“A disposizione. Divertitevi…”

Una seconda paletta si alza rossa. Cinque militi e due gazzelle. Due mitra spianati. Di nuovo i documenti etc.. Sguardi silenziosi e interrogativi fra i militi:

“Che ci fate qui?”

“Siamo poliziotti di.. ……”

“Ripeto: che fate?”

“Una gita fra colleghi: siamo venuti a vedere il duomo, il castello… anche a assaggiare la vostra cucina…”

“Ah…: siete tutti qui?”

“Sì”

E’ la sera delle gazzelle più che La mia Africadella Blixen, per non parlare del Re Leone: un giovane maresciallo scende dalla quarta della notte

“State operando un controllo curricolare?” dice rivolto ai colleghi

“Come vedi…”

“Mi mostrate le consegne per favore?” il marescallo delle due gazzelle lo squadra in silenzio, poi parla:

“Possiamo scostarci un attimo, io e te?”

“Ma certo” i due dialogano un po’. Nel frattempo Marco Rossi si avvicina ai carabinieri del maresciallo più giovane: mostra loro dei documenti; loro annuiscono, lui si sposta verso i due dialoganti:

“Noi andiamo” il giovane annuisce. L’auto e la vespa ripartono di gran carriera…

Era arrivata la sostituta della povera profe. Era una tipa sui trenta portati bene, la chioma bionda svolazzante, i vestiti ricercati ma non in modo eccessivo. Il viso gaio e un poco infantile. Come tutti i neo-giovani (oggi trenta-quarantenni) che hanno sofferto effettivamente ma meno di quanto credono per trovare un lavoro in pratica quasi fisso e vagamente in pericolo, in teoria “precario”, era dotata di una certa presunzione abbinata a sorrisi di circostanza. Era partita dando una soddisfazione immensa ad Alberto, che non le era stato presentato ufficialmente da nessuno e che lei vedeva sempre a un banco qualsiasi dell'”ufficio”, che si alzava portando fogli agli altri e partecipava alle correzioni, però spostandosi di qua e di là. Ebbene in una pausa a metà mattina lei stava mangiando una mela alla luce bruciante del corridoio quando Alberto era passato per andare a fare pipì e le aveva detto occhio al serpente! ; lei aveva riso del riso delle trentenni consapevoli di essere attraenti e aveva risposto ah…per la mela!. Probabilmente a questo punto qualcuno dall’altro capo senza filo del cellulare che lei premeva contro l’orecchio aveva chiesto come, amore? o qualcosa del genere, e lei aveva risposto: no, niente: è il segretario!

Certo l’aiuto al computer e al mantenimento ordinato dell’armadio era sceso in picchiata, e Alberto doveva cavarsela quasi da solo, con qualche lodevolissimo aiuto della sessantenne-ragazzina.

In un’altra pausa successiva di fronte a un cabaret di cannoli giganteschi qualcuno dice

“Però che roba: un parente lontano così importante da mollare tutto! Da lei non me lo sarei mai immaginato!”

“Perché?” ribatte qualcun altro

“Ma perché non ha nessuno… neanche qua, si sa! E lei che ciarla come un grillo non ci aveva mai detto niente di parenti lontani importanti…”

“Beh, nessuno no…” fa qualcun altro sorridendo

“Va beh: ma quelli sono affari suoi; e poi, lì, sa tenere la propria privatezza molto bene”

“Ma no, non intendevo quello: intendevo la ……. …… ” Alberto rizza le orecchie come un cucciolo di pastore tedesco appena svezzato da un addestratore esperto

“Non sono mica amiche”

“Come no?”

“Mica escono spesso insieme”

“E cosa c’entra? Escono, quasi a intervalli fissi, e anche quando litigano se la intendono benissimo: si vede che la ……. le vuole bene davvero, e che lei non può fare a meno di cercarla per aggiornare, aggiornarsi sulla società cittadina, e confessarsi un po’”

“Ma dai!”

“Ti dico che è così”

La sessantenne-ragazzina, che finora ha taciuto rispettosa, abbassa un poco la testa come rassegnata e sussurra:

“E’ vero, è così. E non è una brutta cosa” Alberto tira la botta:

“Su: mettete via i cannoli e riprendiamo il lavoro! ma… ‘sta qua chi è?”

cinque teste si alzano contemporaneamente a guardarlo

“Un’altra profe.: una brava persona…”

“Beh, vado veloce in toilette: voi riprendete pure.”

Pronto, Riccardo: senti ho poco tempo. Comunque: ho trovato qualcuno che sembra la fequentasse e conoscesse meglio di altri: una profe. anche lei; si chiama ……. ……

Ci siamo aveva pensato Borachia dopo che i suoi rimasti in Città avevano in poco tempo trovato il recapito della professoressa. Quasi – aveva aggiunto, e poi: forse. Si era concesso dodici minuti per tirare il fiato e riflettere, e soprattutto per decidere se telefonare alla donna convocandola in questura non si preoccupi: non c’è nulla, lei non c’entra; diciamo che è una testimone; è che una sua amica ha corso dei rischi, e forse potrebbe correrne ancora… oppure se – recitando lo stesso copione – chiederle di incontrarla subito insieme a Viglietti: in un bar, per la strada, andandola a trovare a casa sua . In quei dodici minuti aveva infilato nel pc il fantomatico disco della vittima, e aveva ascoltato il primo brano: Bach, Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo, che l’aveva ispirato non poco per la seconda scelta. Stava avvicinando la fatidica mano alla fatidica cornetta, quando questa, o meglio il suo alloggiamento, si erano messi a squillare. Borachia aveva sospirato, poi aveva alzato la cornetta e aveva risposto pronto.

Era il questore. Strano aveva pensato Borachia di solito il vice-questore basta : se la intendevano e si erano simpatici. Il questore era una vita che non lo vedeva. Invece lo aveva convocato subito, di lì a un’ora, e come se non bastasse nell’ufficio del Prefetto, alla presenza del Prefetto stesso, e mi raccomando la puntualità.

Riccardo aveva ubbidito: era stato puntuale. Il Prefetto, apparentemente distratto ma in realtà con le antenne tese, stava al proprio posto. Il questore era in piedi alla sua destra, con l’aria del sensale benevolo. Dall’altro lato della scrivania erano seduti due ospiti mai visti, in giacca e cravatta: il primo aveva un’aria simpatica, confermata da un normalissimo completo blù e da una pelata ai cui lati svolazzavano due semiaureole di un marroncino ancora autentico; l’altro, in completo nero, ricordava quel genio che corrisponde al nome di Ciccio Ingrassia, e non faceva nulla per allontanare da sé l’aria da Becchino che portava addosso.

“Prego, Borachia” aveva detto il Prefetto con un gesto della mano che a Riccardo aveva ricordato quello della statua dell’oratore arcaico romano, quasi studiata in prima liceo “classico-classico”; a questo saluto il questore si era sentito in dovere di aggiungere Buongiorno Borachia.

“L’abbiamo convocata” aveva ripreso il supremo “perché questi nostri ospiti ci hanno informato che un’indagine condotta da lei e i suoi uomini – senza alcuna colpa da parte vostra, s’intende – sembrerebbe essersi posta sulla strada di una indagine delicata già iniziata da loro

“Siete dei servizi segreti?” aveva fatto Borachia. A questa domanda i suoi due capi della Città avevano sussultato impercettibilmente. Il Simpatico aveva sorriso. Poi con calma aveva risposto:

“Io no: sono un sottosegretario del Ministero dell’Ambiente”

“Questo significa che lui sì” aveva ribattuto Borachia. Sentendosi chiamato in causa in tal modo, il Becchino gli aveva lanciato uno sguardo volutamente anonimo e aveva detto .

“Come posso esservi utile?” aveva fatto il commissario.

“Quando si può collaborare di comune accordo, è sempre meglio” aveva detto il Simpatico; poi aveva chiesto con lo sguardo al Becchino di parlare. Quello aveva inziato con sicumera

“Passateci quello che avete, e fate fare il lavoro a noi. Risolta la faccenda vi ripasseremo tutto. Il merito sarà vostro.”

Dopo un breve silenzio, Riccardo aveva risposto:

“Questa non è collaborazione: è corruzione” il Simpatico aveva riso cordialmente; il Prefetto si era trattenuto a fatica

“Il fatto è – aveva ripreso il Becchino – che ci sono cose che voi non sapete, molto delicate, e che riguardano la sicurezza dei cittadini”

“Il fatto è – aveva detto a sua volta Borachia – che qualcuno ha ucciso una persona umana, e siamo sulle tracce dell’assassino. E abbiamo giurato allo stato di trovare gli assassini e assicurarli alla giustizia: siamo pagati per questo” il Becchino aveva guardato il Prefetto, che però aveva un’aria enigmatica, lo sguardo fermo in un punto lontano. Il questore aveva detto ve lo avevo anticipato che è un osso duro…

“E quindi… la faccia lei, una proposta” aveva proseguito con una calma invidiabile il Simpatico

“Se sapete chi è l’assassino, e potete provare che è la verità, ditecelo: lo assicureremo alla giustizia, e poi vi lasceremo tutti i campi liberi che volete. Altrimenti, come disse un plenipotenziario americano a un nostro politico, forse allora il più famoso: ve l’avite a shcurdà!

“Sceglie la linea della chiusura? Della contrapposizione?” aveva detto il Simpatico forse più costernato che innervosito. Questo aveva colpito Borachia positivamente. Aveva corrugato la fronte e dopo un breve silenzio aveva detto:

“Non precisamente: voglio una linea riservata con lei: le telefonerò tutte le sere all’ora di cena tarda, e la terrò informato di ogni eventuale notizia che non riguardi l’assassinio in sé”

i due ospiti avevano taciuto, e dopo un po’ Riccardo aveva optato per l’interpretazione silenzio-assenso:

“Posso andare?” aveva chiesto ai suoi due capi di città, ottenendo un altro silenzio – assenso. Si era alzato e aveva stretto la mano ai due ospiti. Al Becchino con l’aria di dire non ce l’ho con te.In quel momento, Borachia aveva immaginato un padre di famiglia non più giovane, che rischiava la vita mentre sua moglie non sapeva nemmeno dov’era; e se andava male , nessuno a parte lei avrebbe saputo niente: nessuno tra la gente di cui lui cercava di procurare la sicurezza. Oppure uno che mescolava grazia e tortura, aperture e chiusure, verità e doppio gioco, al di qua e al di là della democrazia e della legge. O ancora uno che tornava a casa sua ogni sera, a cena, mentre da dietro la scrivania aveva deciso strategie, morti e vite senza che sua moglie sapesse niente. Quale può essere la verità? E la risposta, come dicevano gli alunni di Gloria che non aprivano libro: non gli veniva.

Per festeggiare i parziali, vettoriali successi finora intrapresi, e soprattutto per distendere la mente, Riccardo aveva portato Gloria a cena in una trattoria locale: poche acciughine crude, poche magistralmente fritte, poi una infinità di muscoli locali impepati, e vino locale. Dopo l’amaro erano tornati in bus per non farsi fare il palloncino da quelli del Bistracci sempre appostati da quelle parti. Erano arrivati a casa ridendo e scherzando, abbracciandosi. Appena entrati lui aveva risposto al cellulare alla Ferrari-Fazio:

“Pronto, commissario, la disturbo?”

“No”

“Tutto a posto: il Berni , che la saluta cordialmente, è arrivato fino in città; poi siamo subentrati noi. Ora dormiremo sul posto, a meno che non abbia ordini immediati”

“No. Senti: grazie di cuore a tutti. Soprattutto ringrazia Marco. Avete saputo qualcosa?”

“A parte chi è l’assassino, per il resto praticamente tutto”

“State molto attenti”

Alla fine, Borachia e Viglietti hanno deciso di chiedere alla ragazza cinquantenne un appuntamento a casa sua, e lei ha accettato. Si ritrovano in quasi-centro in un andito sul quale si aprono due stanze oltre a un cucinino e un bagno. Una delle due stanze ha la porta chiusa: è sicuramente la camera da letto; l’altra stanza costituisce un’aggiunta, separata da mezzo muro, all’andito stesso; questo d’altra parte ricava nel suo finale a sinistra dopo l’entrata una sorta di angolo accogliente, con due poltroncine foderate di stoffa blù sormontate da una grossa lampada a stelo, sobria e elegante. La parete su cui termina la casa è in realtà una libreria a muro, non vasta ma colma di libri e di piccole immagini affascinanti, tra cui un pregevole acquerello dell’acropoli di Atene, dove domina il terradisiena. La profe è magra e slanciata, ma non come sarebbe una modella o una ragazzina costruita: ha una postura naturale, infantile e al tempo stesso sobria. Il viso è altrettanto slungato, con occhi quasi acqua, labbra grosse, capelli biondi corti e poche rughe tenere e incipienti. Sotto la felpa verdolina la t-shirt riesce a far intuire due seni piccoli, sopra due gambe lunghe ma robuste fasciate dal velluto di jeans bell-bottom: George Harrison o Shakespeare avrebbero fatto i salti mortali per una creatura simile, ma probabilmente solo prima del successo. La donna sorride:

“accomodatevi” dice indicando le due poltroncine blù, e mentre i due ubbidiscono si procura una sedia nel piccolo soggiorno vicino “gradite un the? un caffé?” Borachia e Viglietti si guardano un momento, un momento in cui il commissario crede di descrivere tutta la vita della donna: l’infanzia, la pubertà, la giovinezza e l’inizio della maturità: potrebbe sbagliarsi in pieno, ma non si sbaglia. Poi a malincuore, essendo il più alto in grado, risponde:

“accetteremmo volentieri, ma vogliamo farle perdere il minor tempo possibile” lei scuote un poco la testa:

“Non è un problema”

“Lei ha sicuramente il suo da fare, e noi potremmo aver bisogno di qualche domanda in più del previsto…; ah! mi scusi: questo è il mio collaboratore: ispettore Sandro Viglietti” sentendosi nominato, Viglietti saluta con un cenno del capo ottenendo un altro moderato sorriso

“Mah… se dite così: è successo qualcosa?”

“Crediamo e speriamo di no: meno che mai a lei, e nemmeno alla sua amica ….. .. ……. : siete amiche, vero? – e prima che l’altra possa rispondere, il commissario aggiunge: “si è trovata in pericolo. E potrebbe trovarcisi ancora”

“Sul serio?”

“Sì; molto sul serio. Ma non l’ho lasciata rispondere mi scusi: siete amiche?” la donna abbassa un po’ il capo, mette le mani intrecciate fra le ginocchia spingendo gli stivaletti vintage verso gli opposti esterni; ci pensa su trenta secondi:

“Sì, non si potrebbe dire diversamente”

“Si spieghi meglio”

“Se possono dirsi amichedue che si vedono una volta al mese, sono diversissime, ma si confidano cose delicate stando attente a lasciar fuori quelle troppo delicate, e a volte si odiano ma non si farebbero mai del male, allora noi siamo due grandi amiche”

“Si spiega molto bene”

“E’ il mio mestiere; anche se spesso tentano di non farmelo fare”

“Da quanto non vede la sua amica?”

“Più di un mese: io non la chiamo mai per prima. Mi chiama quando ha bisogno: un pettegolezzo, un impasse, un teatro appetitoso, un aperitivo. Diciamo che in un certo senso la subisco: ma lo faccio con autoironia: mi fa piacere che qualcuno non morboso abbia un simpatico, anche se invadente, bisogno di me”

“Non si è mai stancata?”

“Tante volte. Ma lei mi rispetta. E questo è raro: negli uomini per un verso; nelle donne per un altro…”

“Capisco: scusi l’indiscrezione: lei è sola?”

“Sì”

“E la sua amica?” la donna fa spallucce senza rancore:

“Mah…”

“Corrente alternata?” la cinquantenne ragazzina ride

“Sì”

Quantoalternata?” la donna guarda nel vuoto, quasi divertita

“Non saprei…Tre all’anno?”

“Ah! è una media?”

“Già” dice lei annuendo con moto breve ma ripetuto. Borachia sospira

“Come mai da ultimo non vi vedete da più di un mese?” l’altra si rifa seria

“Non lo so”

“Non è curiosa di saperlo?”

“Molto”

“Lei conosceva i suoi uomini?”

“Quasi mai, e quando sì, pochissimo”

“Che vuol dire?”

“Un mezzo aperitivo in cui c’era quello di turno: tutto qui”

“Sarebbe sbagliato, generalizzando, dire: o io, o loro?”

“No”

“E a lei dispiaceva”

Lei io? per niente…”

“L’ultimo è in corso d’opera?”

“Secondo me si stavano lasciando”

“Perché?”

“Diceva che lui era diventato asfissiante”

“Asfissiante – ripete Borachia centellinando il termine – beh: lei lo ha conosciuto? Ne sa almeno il nome…”

“Per niente”

“Guardi che potrebbe essere inutile, come importantissimo”

“Non ne so niente”

“Mmm…; sapeva che era commissaria in maturità?” la ragazza cinquantenne inarca le sopracciglia un po’ perplessa

“L’ho appreso spulciando i giornali locali: guardo sempre se mi vogliono da qualche parte”

“C’è rimasta male? è invidiosa?”

“No: ho trovato dei lavoretti”

“Belli?”

“Se è onesto, riesco a farmi piacere tutto” parte un lungo silenzio; la donna guarda i due interrogativa. Borachia si alza e Viglietti lo imita:

“E’ stata molto gentile. Non si preoccupi: lei non è in pericolo. Ma qualsiasi cosa notasse o sapesse sulla sua amica, anche qualcosa che le è sfuggito, ci chiami per favore” gli occhi chiari della profe si spalancano enormemente mentre si alza:

“ok” li accompagna alla porta. Nell’attimo in cui mette la mano sul pomello di apertura, porta l’altra allo zigomo sinistro, massaggiandolo nervosa. Poi scoppia in lacrime:

“Le è successo qualcosa, vero?!? Perché non me lo dite? Perché? Non vi fidate? mi avete cercato voi…!” piagnucola

Viglietti le sta porgendo un fazzolettino di carta. Borachia sospira:

“Si calmi: sa tenere un segreto?”

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