Nel giorno della morte di Virginio Rognoni, tutti ne hanno ricordato giustamente la figura di autorevole parlamentare, di importante ministro democristiano nei governi di centrosinistra e di correlatore della legge che ha introdotto il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Qualcuno ne ha pure sottolineato le doti di analista politico (ricordo una vivace tavola rotonda sull’evoluzione della democrazia nel 2007, al Festival dei Saperi nella sua Pavia, con Pasquino e Quadrio Curzio).
È però importante soprattutto sottolineare le sue personali scelte di campo politiche dopo la fine della Prima Repubblica.
La scelta decisa per il Partito Popolare di Martinazzoli nel 1994 contro la deriva clericomoderata verso la destra, quella senza esitazioni per il PPI di Bianco e per l’Ulivo nel 1996, il passaggio nella Margherita fino alla fondazione del Partito Democratico vissuta da protagonista.
Nel 2007 Rognoni fu scelto infatti come uno dei dodici saggi dell’Ulivo chiamati a scrivere il Manifesto del Partito Democratico e ne è stato Presidente del Collegio dei garanti.
Diceva che «La storia dei cattolici democratici è legata, con i suoi valori, alla comprensione della laicità della politica, al gioco della libertà e al dovere della giustizia. Questa coscienza i cattolici l’hanno trovata nel Pd».
La pensava insomma come Mattarella, Andreatta, Colombo, Mancino, Franco Marini, Castagnetti, Rosy Bindi, Enrico Letta…
Una Storia politica che si evolve, si contamina ma senza sporcarsi e che non morirà mai.
Paolo Bufano, esponente Pd Sarzana, ex segretario provinciale Partito popolare italiano