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L'intervista

L’esperto: “Per gestire meglio il problema cinghiali servono tecniche di caccia differenti e interrompere i foraggiamenti”

Il caso Maggiolina riflesso di una cattiva gestione faunistica. Occorre tornare ad un approccio scientifico basato sul monitoraggio delle popolazioni di ungulati: la caccia da sola non è la soluzione, anzi. Intervista a Stefano Macchio, faunista, esperto di gestione cinghiali.

Ciinghiali alla Maggiolina

Quando gli eventi incontrano il massimo interesse del pubblico e sui social l’espressione dei pareri impazza, ecco che si scatena l’italica abitudine di dividersi in due fronti contrapposti, con poca o nulla possibilità di confronto costruttivo. Avviene così anche per il caso de “I cinghiali della Maggiolina”, ovvero quella famigliola rinchiusa all’interno di un parco urbano e sul cui destino si sono scontrati istituzioni, animalisti, cittadini comuni. Ci asteniamo dal dare un’opinione in merito, che a questo punto il caso assume più connotati legali che non tecnico-scientifici, ma vogliamo cogliere l’occasione per comprendere meglio il contesto in cui ciò avviene, ovvero le cause a monte. Per approfondire il ragionamento ci rivolgiamo ad un esperto del settore, il dottor Stefano Macchio, faunista, attualmente ricercatore presso Ispra (l’Istituto del Ministero della Transizione Ecologica che ha inglobato l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica) ma in passato consulente di varie amministrazioni locali, anche sul tema della gestione degli ungulati.

Dottor Macchio, i cinghiali che arrivano a frequentare le città sono un evidente problema sia per la comunità che per gli animali stessi, che si vengono a ritrovare in condizioni evidentemente non naturali. Perché avviene questo fenomeno?
“Le cause sono molteplici, prevalentemente dovute a pratiche gestionali presenti e passate adottate a scala locale che vanno ad interagire con la particolare biologia della specie e a fenomeni che agiscono a scala più vasta, quali l’abbandono delle aree rurali e il climate change. Abbiamo infatti assistito ad un abnorme incremento della densità di cinghiali in conseguenza della maggiore disponibilità di risorse un tempo pienamente sfruttate dall’uomo (come le castagne e le faggiole) che va ad interagire con la strategia riproduttiva della specie caratterizzata, contrariamente alla maggior parte dei Vertebrati di grandi dimensioni, dalla naturale tendenza a produrre un gran numero di figli limitando il tempo di accudimento degli stessi; caratteristica questa che è stata rinforzata (almeno sino al recente passato) dagli incroci col maiale domestico e con molte razze del centro-est Europa per aumentare le opportunità di prelievo venatorio. Inoltre il tipo di caccia a cui viene prevalentemente sottoposta la specie ha determinato una generalizzata destrutturazione della popolazione, in genere fortemente sbilanciata verso le classi giovanili, e una maggiore tendenza a cercare ricovero in zone sicure e tranquille, dove è vietato il prelievo venatorio (aree protette, fasce periurbane, ecc.). Un altro fattore che ha concorso all’attuale situazione critica è una semi-domesticazione dovuta alla diffusa pratica del foraggiamento artificiale, più o meno abusivo e sempre ecologicamente scorretto, attuato soprattutto per finalità venatorie (per legare gli animali alla propria zona di caccia e incentivare le figliate) e, sempre più spesso, anche per simpatia o intenti assistenziali”.

Quali sono le buone pratiche in proposito? Che fare per impedire ciò?
“Sicuramente va di norma evitata la somministrazione di cibo, salvo rari casi finalizzati a consentire azioni gestionali temporanee di prioritaria importanza da valutarsi di volta in volta sotto il profilo tecnico e scientifico da parte di esperti titolati). Il foraggiamento artificiale favorisce infatti la domesticazione e incrementa ancora di più le nascite. Un’altra buona pratica che mi sentirei di raccomandare è quella di favorire forme meno impattanti di prelievo venatorio rispetto alla classica braccata (che prevede di lanciare i cani all’inseguimento dei cinghiali spingendoli precipitosamente verso le poste dei cacciatori che, in quelle condizioni, hanno scarse possibilità di selezionare le prede). Sarebbe auspicabile inoltre programmare di anno in anno i quantitativi da prelevare per sesso e classi di età sulla base di dati oggettivi opportunamente analizzati, in modo da limitare la destrutturazione e la densità delle popolazioni. Bisogna considerate che una popolazione di cinghiali eccessivamente numerosa comporta, oltre a gravi disagi e danni economici nelle aree rurali (le cui comunità sono un fondamentale presidio territoriale), un calo delle condizioni fisiche medie degli animali, con incremento del rischio di malattie. Infine bisognerebbe precludere l’accesso alle risorse alimentari che i cinghiali trovano facilmente in prossimità dei centri urbani, chiudendo in maniera efficace i contenitori di rifiuti, recintandoli in maniera corretta o ancorandoli in modo da impedire che vengano rotti o rovesciati”.

I danni dei cinghiali all'interno della Maggiolina

Come comportarsi nel caso si incontrino cinghiali per le strade della città?
“Gli animali selvatici tendono ad allontanarsi dalle persone prima che queste si accorgano della loro presenza; questa regola viene disattesa nel caso di animali (semi) addomesticati tramite offerta di cibo oppure in contesti dove gli è preclusa la fuga, soprattutto se feriti o con cucciolata. Nel primo caso i margini di rischio per l’incolumità delle persone sono decisamente modesti, sebbene individui troppo confidenti, soprattutto i più giovani, possano talvolta avvicinarsi molto potendo innescare meccanismi di difesa della prole da parte della madre, meccanismi che si esauriscono di
solito con suoni di richiamo a raccolta dei giovani indisciplinati. Il secondo caso (quello in cui gli individui siano finiti in un vicolo cieco) comporta una sicura pericolosità e deve essere trattato da personale esperto che deve essere quanto prima avvertito. In generale è comunque opportuna una grande prudenza perché non è semplice valutare le condizioni fisiche e il livello di stress di un animale selvatico che viene a trovarsi nelle vicinanze di una o più persone. E’ necessario ricordare che i cinghiali hanno certamente la capacità di arrecare ferite molto importanti e persino letali e, in quanto selvatici, possono avere reazioni imprevedibili per i non esperti”.

Più in generale il problema in città è anche dovuto alla grande diffusione di questo mammifero nelle nostre campagne dove realizza danni ingenti non solo alle coltivazioni, ma anche a sentieri e muri a secco, causandone, o comunque accelerandone, la distruzione. Il fenomeno è realmente così grave? Perché è così difficile gestire le popolazioni di cinghiali? E’ un problema tecnico o anche politico, ovvero di interessi contrapposti?
“Una contrapposizione tra gli aspetti tecnici e quelli politici direi che è fisiologica in ogni attività pubblica. Quando i decisori pubblici adottano una sintesi equilibrata il contraddittorio può essere positivo. Personalmente penso che in passato si sia probabilmente sottovalutato il fenomeno. Esistono documenti tecnici della scomparsa Sezione Faunistica della Polizia Provinciale che avevano previsto le attuali densità già dai primi anni 2000. Sino a una decina di anni fa la Sezione Faunistica della Polizia Provinciale aveva impostato un sistema molto avanzato e integrato di raccolta e analisi dati di caccia, di controllo e dei danni che consentiva di commisurare le azioni gestionali alla densità e produttività stimata delle popolazioni, con marcaggio di individui al fine di stimarne la dispersione sul territorio (grazie alla collaborazione con gruppi di cacciatori). Tramite analisi del territorio e l’applicazione di modelli statistici venivano individuate le aree a maggiore potenziale di concentrazione della specie, quelle più vulnerabili agli impatti, quelle più vocate al ricovero, alla riproduzione, con maggiore disponibilità di risorse trofiche naturali… Attualmente non mi è dato sapere se ciò viene ancora fatto con il medesimo livello tecnico e scientifico ma la situazione sembra diventata ancor più difficile da gestire che in passato”.

Ciinghiali alla Maggiolina

 

Quali prospettive abbiamo di fronte nella gestione delle popolazioni di cinghiale? Quali sono le buone pratiche in proposito? O dobbiamo semplicemente adeguarci al raggiungimento di un equilibrio naturale, magari favorito dalla presenza di predatori come il lupo?
“Il primo requisito per provare a gestire bene una specie selvatica è quella di conoscerne le popolazioni e il contesto ambientale dove esse vivono. Senza un rigoroso e costante monitoraggio e un’analisi scientifica dei dati condotta da personale titolato non è possibile capire quali margini gestionali a livello locale possono ancora esserci. L’impressione è che ci sia una certa rassegnazione al riguardo. Sicuramente l’azione del lupo è positiva sulla salute della popolazione di cinghiali ma non credo attualmente in grado di ridimensionarla in maniera consistente e generalizzata. Temo che le crescenti densità favoriranno nel tempo l’insorgenza di cicliche epidemie, ma la plasticità della specie e il permanere di questa tendenza alla domesticazione non comporterà in ogni caso una sensibile riduzione dei disagi e dei danni”.

Nel caso dei cinghiali della Maggiolina abbiamo notato che i volontari portano alimenti ed acqua agli animali. E’ corretta questa pratica?
“Il foraggiamento, lo abbiamo visto, è una pratica da evitare, se non per specifici casi gestionali. In questo caso è ovviamente indispensabile, ma la modalità corretta è quella attivata dalle autorità, ovvero un’unica somministrazione nelle parti più riparate del Parco in modo da ridurre la confidenza con gli umani. Certo è che avendo ormai imparato a sfruttare le risorse alimentari offerte dalla città è altamente probabile che, nel caso venissero rimessi in libertà, quegli individui tornerebbero a frequentare le nostre strade, e il rischio di trovarli a breve di nuovo in qualche area di verde urbano rimarrebbe comunque estremamente elevato”.

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