Ai legionari romani quando andavano in pensione era assegnato un appezzamento della terra conquistata. L’ormai ex soldato lo coltivava rendendolo produttivo ma era pronto a difenderlo in caso di necessità. Così Roma conseguiva il duplice obiettivo di avere derrate alimentari e frontiere protette. Questa è la storia del veterano Cornelio che si vede premiato per il servizio reso all’Urbe con un bell’appezzamento davanti alle onde spumeggianti del mare, di fronte alla collina abitata dai vicini Arula che lì praticavano il culto dei loro Mani, le anime dei defunti. Per questo, quel posto era chiamato Manus Arula o più sbrigativamente Manaéa. La terra di Cornelio, invece, ricevette il nome proprio volto al femminile, dal primo proprietario e da Cornelia bene presto si tramutò in Cornigia per la mania di quella gente di storpiare i nomi secondo il dialetto parlato.
La nostra Cornigia, dunque, essendo territorio molto antico, ha una storia lunga secoli vissuta sul cocuzzolo di uno sperone di roccia abbarbicato a picco sul mare, squassato dai venti e corroso dal salino che i flutti irosi scagliati dal dio Eolo penetravano giorno dopo giorno nella pietra. Terreno scosceso, terreno da capre, terreno che lo si poteva lavorare solo con la schiena curva ma da cui alla fine si riuscì a ricavare un liquore che era apprezzato in tutte le tavole, da quelle prossime alle più
distanti. Una, ad esempio, fu Pompei, il centro vesuviano mangiato dalla lava, distruttrice ma anche conservativa perché la colata del magma ci ha custodito anfore su cui era graffita la provenienza: Cornelia, appunto, un nome una garanzia come oggi quando prendiamo una bottiglia marchiata con la sua denominazione di origine protetta. Perché anche allora si cercava la genuinità del prodotto e si temevano le contraffazioni.
Per la bontà del liquore e la buona lena di chi lavorava la vigna spaccandosi la spina dorsale, il vino di Cornigia era sempre più appetito. Non solo, purtroppo, dai sommelier del tempo ma anche dalle brame ladresche di malandrini che non esitavano a piombare sul raccolto per farne razzia. Dato che pure i vicini erano tormentati dallo stesso male, sulla riviera si formò uno staterello che comprendeva oltre a Cornigia che stava nel mezzo, anche un paio di borghi a destra e altrettanti a mano manca. Invidiosi l’uno dell’altro, fra i cinque era litigio continuo. Ognuno voleva che al loro staterello si desse il suo nome ma alla fine si trovò la quadra chiamandolo Cinque Terre. Solo sulla bandiera si trovarono subito d’accordo: un drappo azzurro mare con nel mezzo una bottiglia di sciacchetrà.