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Quisquilie e meraviglie

Quisquilie e meraviglie

Una 850 color del cielo

Fiat 850

Nell’anno in cui avrebbe compiuto i cinquant’anni, nel ‘66, Angelo decise di prendere la patente.

In casa tutti lo aiutavano con i quiz, i ragazzi si divertivano e lo mettevano alla prova, era diventato un passatempo familiare quotidiano, un gioco a quiz come quelli della tv.

Passò bene la teoria e poi, dopo qualche lezione, anche la pratica. E un pomeriggio quasi sereno di fine ottobre, dopo le 15, che aveva fatto la mattina in fonderia, sentirono suonare un clacson sotto casa, e non smetteva.

Si affacciarono, ed era lui appoggiato all’automobile che aveva appena preso usata da Bertieri, un amico che da qualche anno aveva aperto una concessionaria in via Garibaldi, nei fondi di un palazzo costruito davanti a dove c’erano i lavatoi, a fianco alla galleria che era stata il rifugio in tempo di guerra, e allo scantinato che per un po’ fu la loro casa.

Era una 850 Fiat, color celeste pallido, sembrava un pezzettino di cielo, l’interno e i sedili erano in similpelle bordò.

Corsero tutti giù e si imbarcarono contenti come Pasque. Scesero da viale Spinola, con cautela perché è una via stretta con una curva a gomito, poi fecero il lungomare e arrivarono a Lerici, posteggiarono e presero una cioccolata con panna, tutti e cinque. Erano felici.

Tornarono al paese, Angelo sistemò la macchina dove potevamo tenerla d’occhio dalle finestre ma non troppo in mezzo, per evitare di dare noia ai giochi dei bambini e, soprattutto, per non prendere pallonate.

Più tardi andò a letto perché avrebbe dovuto ripartire per il turno di notte in fonderia, anche Mina si accoccolò accanto a lui e lo guardò addormentarsi, poi si assopì anche lei.

E successe il fattaccio.

Alba aveva diciott’anni, faceva la commessa, s’era appena iscritta a scuola guida e gli amici più grandi, qualche volta, le avevano già fatto guidare le loro macchine. Prese le chiavi che erano state posate sul mobiletto all’ingresso, salì sull’850 color cielo, mise in moto e partì, guidava bene, sicura.

Fece un paio di volte il giro tra le case e poi, soddisfatta, mentre alcuni ragazzi la guardavano, provò anche a fare un bel parcheggio in retromarcia. Appoggiò spavalda il braccio destro sullo schienale del sedile accanto, voltò indietro la testa, ingranò, e partì in avanti colpendo in pieno la gaggia.

Piegò il paraurti, ruppe la mascherina con scritto Fiat e sverniciò leggermente il cofano.

Suo fratello minore, Amerigo, andò a svegliare papà e mamma con cautela, preoccupato per le conseguenze che avrebbero potuto ricadere sulla sorella, Giosuè, 9 anni, gli corse incontro: «Per piacere, per piacere papà, non picchiarla».

Lei era seduta in cucina, a testa bassa disse che le era slittata la frizione.

Angelo uscì, stava cominciando a piovere, guardò i danni, risalì e disse: «L’importante è che non ti sei fatta male e che non hai fatto male a nessuno. Le riparazioni le paghi te».

Beppe Mecconi

 

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