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Una storia spezzina

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Tre lettere di Giovanni Capellini: il dialogo col sindaco Bruschi e l’abbattimento della casa

Prima parte

Il posizionamento della casa di Giovanni Capellini

Come è noto, è stato sempre molto intenso il rapporto che legò Giovanni Capellini alla città natale da cui gli studi l’avevano allontanato.

Del legame abbiamo ulteriore riscontro in una lettera che lo scienziato invia il 3 giugno 1883 da Bologna nella cui Università insegna, al Filippo Bruschi, navigato uomo politico locale che al momento occupa la massima poltrona cittadina.

L’occasione dello scritto è che la casa natale di Capellini (sorgeva al termine della via del Carmine, circa dove oggi c’è il Caffè Centrale) dev’essere abbattuta perché va ristrutturata l’intera area.

Il Sindaco ne informa il concittadino, dispiaciuto della cosa ma obbligato a procedere.

L’atto di Bruschi attesta quale e quanta fosse la stima per lo scienziato che per i suoi studi godeva di una considerazione unanime. Non a caso due anni dopo fu nominato Rettore dell’Università bolognese.

La risposta di Capellini che Il Lavoro pubblica integralmente, è quanto mai interessante almeno per tre motivi.

La lettera del Sindaco veniva accompagnata da parecchie firme di Spezzini che manifestano così il loro affetto verso l’emigrato.

Poi, lo scienziato ricorda con malinconia la modesta casuccia dove aveva trascorso la prima giovinezza fra privazioni e sacrifizi.

Infine, proprio in quella casa trent’anni or sono il re Umberto, allora Principe di Piemonte, gli aveva stretto la mano per la prima volta, espressione dietro alla quale non è difficile scorgere un compiacimento.

Trent’anni prima. Era il 1853, l’estate in cui la Corte era venuta a fare le bagnature alla Spezia.

A Capellini che allora aveva vent’anni, fanno venire in casa l’illustre ospite che, pur fanciullo, conosce l’etichetta di corte e lo incoraggia a fortemente vedere.

Pensiamoci un po’. Lui è un ragazzo ma già ne sono state intuite le straordinarie qualità sì che lo presentano al Principe ereditario quale promessa della ricerca scientifica italiana. Penso che giusto in quell’occasione a Giovanni Capellini vennero riconosciute le stimmate che lo proiettavano verso la carriera straordinaria che l’avrebbe portato verso i traguardi più prestigiosi.

Posso sbagliare ma nel ricordo c’è nello scienziato la consapevolezza che se tutto non ha avuto inizio da quella stretta di mano, quel saluto ha comunque rappresentato una tappa quanto mai significativa nella sua esistenza.

Trent’anni dopo ricorda l’episodio nell’autobiografia. Si volge indietro e rivedendosi nella povera casa davanti a chi sarebbe diventato Re d’Italia, guarda soddisfatto il cammino compiuto per volgere lo sguardo in avanti verso un futuro che già sa che sarà anche più brillante.

(Continua…)

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