Luci della città

Luci della citta'

Solo i cittadini possono rinnovare la città

Firenze, Ponte Vecchio (2016) (foto Giorgio Pagano)

Firenze, Ponte Vecchio (2016) (foto Giorgio Pagano)

Nel 1755 il terremoto di Lisbona suscitò una riflessione sul senso da dare a un evento inatteso di quella tragica portata. Il filosofo Jean-Jacques Rousseau osservò:
“Converrete che, per esempio, la natura non aveva affatto riunito in quel luogo ventimila case di sei o sette piani, e che se gli abitanti di quella grande città fossero stati distribuiti più equamente sul territorio e alloggiati in edifici di minor imponenza, il disastro sarebbe stato meno violento o, forse, non ci sarebbe stato affatto”.
Questa la conclusione: “Personalmente vedo ovunque che i mali che ci assegna la natura sono molto meno crudeli di quelli che aggiungiamo per nostra scelta ad essi”.
Oggi, smemorati, siamo esattamente al punto di allora.
Le tragedie ambientali di questa estate -la valanga della Marmolada, la siccità, il mare sempre più caldo- sono infatti tutte riconducibili alla responsabilità umana. Come ha scritto Mario Tozzi sul “Secolo XIX” del 4 luglio, il clima cambia anche per via di un’attività del Sole analoga a quella che per centinaia di milioni di anni ha regolato il passaggio dalle epoche di surriscaldamento a quelle di glaciazione, ma è chiaro che queste cause “permanenti” agiscono su tempi lunghissimi, “mentre c’è solo un parametro che ha tempi brevissimi ed è quello del carbonio in atmosfera”, l’unico parametro su cui “possono agire anche i sapiens attraverso le loro attività produttive”.
L’azione principale da condurre è il contrasto ai combustibili fossili, frenato dai troppi interessi e dalla loro influenza sulla politica. Eppure, se ci fosse la volontà, sarebbe questione di pochi anni. Un watt di energia elettrica da fonte solare costava 78 dollari negli anni Settanta, ora costa 40 centesimi. Mentre il costo necessario per rinnovare tutto l’apparato industriale mondiale basato sulle energie fossili sarà ripagato in solo sette anni dai risparmi che si otterranno con le nuove tecnologie.
In assenza di interventi “dall’alto” cresce la mobilitazione “dal basso”. Ad Abidjan, in Costa d’Avorio, alcune grandi città di tutto il mondo si sono riunite il 1° e il 2 luglio per “prendere il comando” della lotta al cambiamento climatico e impegnarsi alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica. La Commissione europea ha chiesto a cento città dell’Ue -incluse nove italiane: Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino- di impegnarsi per raggiungere entro il 2030 l’impatto climatico zero. 360 milioni di euro sono stati stanziati per interventi in queste città su mobilità, efficienza energetica ed aree verdi.
Tutto dipenderà, come sempre, dall’impegno dei cittadini. Che cosa è che dà forza al potere? La disponibilità del suddito ad obbedire. In uno scritto del 1940 Silvio Trentin, uno dei rappresentanti più autorevoli di una interpretazione radicale dell’antifascismo che attraverso l’emigrazione politica si prolunga e s’invera nella Resistenza, attribuisce a Giacomo Leopardi il merito di averci insegnato che “l’autorità ha delle ragioni da far valere nella misura in cui è liberamente instaurata o liberamente accettata”, vale a dire che “non la città è esistita prima del cittadino”, ma “il cittadino è esistito prima della città”.
Non basteranno le iniziative governative o dei sindaci, serviranno i cittadini attivi e consapevoli. Come nelle isole di Kiribati, in Micronesia, tra i luoghi più esposti all’innalzamento delle acque: piccoli atolli corallini che si trovano a pochi metri sul livello del mare. Il primo a sparire a causa del cambiamento climatico potrebbe essere proprio l’arcipelago di Kiribati. A lottare per la resistenza di questi atolli sono nati i Pacific Climate Warriors, guerrieri non violenti contro il cambiamento climatico: attivi in 15 nazioni, rappresentano diverse comunità locali del Pacifico e lottano per proteggere le loro isole e la loro cultura.
Il tema dell’impegno dei cittadini è decisivo sempre: per città ambientalmente più giuste come per città socialmente più giuste. Circa il secondo punto, in questa rubrica ho insistito più volte sul tema, quasi scomparso all’orizzonte, della costruzione di case popolari per i meno abbienti. Uno dei più grandi architetti viventi, il cileno Alejandro Aravena, ha detto:
“Ho compreso la dimensione politica del mestiere solo dopo essere stato invitato a Harvard nel 2000. Mi ero ribellato a quello che ci insegnavano. Da noi si aspettava che costruissimo case per scultori, cineasti o filosofi, che sarebbe stata la qualità del cliente a dare qualità all’architettura”.
Da allora Aravena si dedica all’edilizia popolare:
“L’edilizia popolare richiede a un architetto di essere irriducibile. L’edilizia popolare elimina il superfluo. E’ la sfida più grande”.
Ma ritornare ad occuparsi di chi sta peggio è possibile solo se chi sta peggio si organizza, riconoscendosi in forme di attivismo sociale e civile attraverso le quali i cittadini esprimono in modo organizzato un’altra umanità.
Aravena, a proposito del tema della lotta alle diseguaglianze nelle città, tocca un altro punto:
“Le città si misurano dalla quantità di cose che potete fare gratis”.
Vuol dire avere aree verdi, piazze, spazi pubblici. Chi conosce Londra conosce Camden: un mercato in cui si entra e si resta per ore, divertendosi anche soltanto a guardare, senza comprare. Ora Camden è in vendita, al posto delle bancarelle sorgeranno ristoranti e locali di lusso. Quante Camden perdiamo ogni giorno?
Tra le “cose che potete fare gratis” ce ne sono davvero molte. Su questa rubrica ho già scritto della proposta dei musei gratis (“Il Museo Lia vent’anni dopo”, 4 dicembre 2016). Bisognerebbe riprendere il tema del Piano del traffico della fine del secolo scorso: il trasporto pubblico gratuito. E affrontare il tema del mare e delle spiagge: dei 114 chilometri di spiagge della Liguria il 69,9% è occupato da oltre 1.200 stabilimenti, mentre gli arenili liberi occupano solamente 34 chilometri. Un triste primato italiano: la legge regionale del 2008, che prevede per i Comuni liguri la presenza del 40% di spiagge libere ed attrezzate, non è ovunque rispettata. Ma per fortuna è nata l’iniziativa “La presa della battigia”. Servono poli organizzati di cittadini che si battono per una prospettiva umanistica di nuovi legami sociali e di nuova giustizia sociale.

Post scriptum
L’articolo di oggi è dedicato a tre protagonisti, diversissimi tra loro, della vita pubblica spezzina della seconda metà del Novecento ed oltre, scomparsi nei giorni scorsi. Sono tre “personaggi” di “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” -sapevo che in molti casi la raccolta della testimonianza era una sorta di “corsa contro il tempo”- ai quali mi sono in qualche modo affezionato.

Gianni Bacchione era un impiegato dell’Oto Melara. Divenne, nell’”Autunno caldo”, uno dei capi della FIM CISL: un simbolo della “rivoluzione” di quel sindacato, fino a pochi anni prima filo-padronale o quasi, poi trasformatosi in sindacato pluralista (Bacchione non era democristiano) e alla testa delle lotte operaie. Leggiamo un brano della sua testimonianza:
“Sono entrato in OTO Melara nel 1962, in officina a fare analisi dei tempi e dei metodi. Ho studiato per un anno il fordismo-taylorismo e ho capito che qualcosa non andava… Poi per quasi dieci anni sono stato responsabile dei budget aziendali, con Direttore Virgilio Laffond. A un certo punto l’ho mandato a quel paese. Invadeva il campo, era molto autoritario. Anche noi impiegati eravamo oppressi. Abbiamo fatto il primo sciopero nel 1968”.

Franco Borachia, democristiano, fu per molti anni il principale esponente del Movimento Federalista Europeo (MFE):
“Ero impegnato nel MFE e nella DC. Nei comizi dicevo sempre: ‘Ho due grandi amori, mia moglie e l’Europa’. A proposito di comizi, ricordo che andavamo davanti alle fabbriche. Una volta parlai al Cantiere Muggiano, con un microfono tipo Giro d’Italia, davanti agli operai comunisti che mi dicevano ‘Siete servi dell’America!’ […] Nel 1966 piazza Italia, grazie alla nostra proposta, divenne piazza Europa”.
Nella DC fu capogruppo in Consiglio Comunale proprio negli anni chiave della “contestazione”, il 1968-1969. Con moderazione, espresse posizioni di apertura:
“Sono sostanzialmente d’accordo sulle affermazioni dei valori che i giovani agitano e bandiscono nelle loro discussioni”.

Carlo Balsamini è ovviamente il “personaggio” del libro più distante dall’autore. Tra i principali esponenti fascisti negli anni Sessanta e Settanta è stato un testimone niente affatto reticente. Un brano tra i tanti lo dimostra:
“In quegli anni la ‘guerra civile’ era ancora vicina, c’era astio, c’era odio. Continuavamo a pensare che la ‘guerra civile’ fosse ancora in essere. Era un’attività politica molto stantia e lontana dalla gente. Noi giovani avevamo un interesse per l’ultima fase di Adolf Hitler, per il nazismo militare”.
Ha contribuito a far conoscere un mondo sconosciuto ai più, e vicende mai prima approfondite, come la partecipazione di alcuni spezzini al tentato colpo di Stato di Junio Valerio Borghese (1970). Non avevo mai conosciuto così bene un fascista in vita mia, e devo dire che la persona era davvero gentile. Balsamini non ha detto tutta la verità solo su un episodio che lo vide protagonista: quando, in un’aggressione a un picchetto per lo sciopero del Liceo Classico, il 5 ottobre 1968, un giovane comunista gli staccò un orecchio. Ma chi ha letto il libro ha compreso il perché. In un’epoca in cui convivevano la nonviolenza e la violenza, quell’episodio evidenzia tutte le componenti che erano alla radice della violenza.

Milano, piazza Gae Aulenti (2017) (foto Giorgio Pagano)

Milano, piazza Gae Aulenti (2017) (foto Giorgio Pagano)

Le fotografie di oggi sono state scattate a Firenze (Ponte Vecchio, 2016) e a Milano (piazza Gae Aulenti, 2017).
lucidellacitta2011@gmail.com

 

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