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Quisquilie e meraviglie

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La casa degli zingari

Quisquilie e meraviglie

Vi fu un periodo in cui i miei futuri genitori, i miei fratelli di 2 e 4 anni e zio Valè vivevano in una specie di buco senza acqua né servizi; per i bisogni c’erano due secchi. Per la grossa e per lavarsi salivano dagli zii.

Dopo quasi quattro mesi di quella vita, forse grazie alle preghiere alla Santa Vergine Maria che Mina implorava tanto perché non ce la faceva proprio più a vivere in quello scantinato – dove erano dovuti andare dopo che i nuovi padroni della casa dell’Idilia li avevano sfrattati –, proposero ad Angelo di prendere a mezzadria la campagna degli Zingari dove c’era anche una bella casa.

Nessuno in paese era sicuro di come quel soprannome fosse stato affibbiato a quella famiglia e quando. C’era chi diceva che era sempre stata gente che non stava mai ferma, restavano un poco in quella casa di mattoni rossi, su, a metà costa della collina di Falconara e poi sparivano per mesi, a volte anni; altri dicevano che era per via dei loro vecchi che vestivano in modo strano e variopinto e portavano alle orecchie, sia lei che lui, grossi anelli d’oro; altri invece dicevano che una volta fosse stato per davvero il cognome di famiglia e che poi l’avessero cambiato.

Fatto sta, una sera, fratello e sorella, gemelli sulla cinquantina, probabilmente gli ultimi discendenti di quella razza ché non si è mai saputo se fossero sposati e avessero dei figli, andarono a cercare Angelo che era alla marina e stava innescando le sardine sugli ami delle ceste dei palamiti.

Gli dissero che avevano saputo che era bravo a lavorare la terra e a stare dietro alle vigne e agli olivi, e che loro ormai avevano abbandonato quella casa che gli avevano lasciato i nonni e che si raggiungeva solo attraverso due “pittoreschi”, così dissero, ma scomodi sentieri, uno dall’alto, dove una volta c’era il forte e adesso ci avevano fatto un campo da pallone, l’altro dal paese.

Da anni erano andati a vivere in Romagna dove facevano i giostrai, avevano un tiro a segno e un calcinculo, e la campagna gliela curava un vecchio delle Baracche (un paesotto sulla vecchia strada che portava al forte e che all’inizio comprendeva solo poche catapecchie servite per i soccorsi e i feriti dello Scoppio) che ormai non ce la faceva più, e lui stesso, che aveva lavorato in fonderia, gli aveva consigliato Angelo, per onestà, capacità e momento di bisogno.

Gli dissero che avrebbero avuto piacere se fosse andato ad abitarci perché qualche volta ladri o ragazzi avevano fatto danni.

Per loro, in cambio, volevano soltanto tre quarti dell’olio che fosse riuscito a fare, metà del vino e che si tenesse pure ortaggi e frutta; in più, nel caso fossero tornati, metti per qualche giorno di vacanza, avrebbero mandato un telegramma e gli avremmo dovuto liberare e fare trovare pronta e pulita la camera grande e fare, per quel periodo, i lavori di casa e cucinare.

Quando Angelo raccontò a Mina l’incontro e l’offerta che aveva avuto lei non riusciva a crederci, quella era una casa vera, e bella, tutta di mattoni rossi a vista, il terreno era abbastanza grande con tante piane coi muretti a secco e dava sul mare. Certo, era un poco faticoso arrivarci e scomodo scendere per fare la spesa e frequentare il paese, e a ottobre Alba avrebbe cominciato le scuole, ma in confronto alla loro cantina era mille volte meglio di una reggia.

Saltò in braccio al suo uomo ridendo e piangendo di gioia e lui la fece girare intorno e i bambini giravano intorno a loro un po’ ridendo un poco preoccupati dalle lacrime della mamma, poi caddero tutti e quattro a terra a ridere come matti.

Traslocarono in fretta, con fatica ma divertendosi anche, perché parecchi cugini e amici gli diedero una mano.

Con il camioncino di un collega di fonderia di Angelo portarono su, fino al campo di calcio e poi a mano scendendo per lo stradello, oltre ai loro pochi mobili anche quasi tutti quelli dei nonni, che erano stati sistemati nella cantina dell’Idilia, dove ai nuovi proprietari cominciavano a dare fastidio.

Il 31 di luglio del ‘54, lo stesso giorno nel quale gli italiani piantarono la bandiera sulla vetta del K2, dormirono per la prima volta nella casa degli Zingari, e per mia mamma fu una conquista altrettanto grande.

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