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Quisquilie e meraviglie

Quisquilie e meraviglie

Le viole mammole, o fatti di paese

Viole

Una sera di fine dicembre, a cena, zio Valè ritirò fuori un discorso.

Su a Falconara, nella campagna degli Zingari, a fine settembre – il cane era legato alla catena e lui a Sarzana ad un torneo di boccette – qualcuno una notte era entrato e aveva rubato un bel po’ di grossi grappoli d’uva, il frutto di una piana intera era sparito insieme alla macchina del verde rame e a una forbice nuova per le vigne. Cose che a volte, non di rado, capitavano nelle campagne e anche nelle barche alla marina. Quasi sempre erano poco più che dispetti, quasi un gioco, spariva uno scalmo, un remo, una roncola; una volta a te, una volta a me…

Ma questa volta qualcuno aveva esagerato e a mio zio e a mio papà non era andata giù. Così Valè, facendo finta di niente, con la scusa di tagliare due canne per l’orto o di guardare a che punto fossero i salici per farci i cavezzi quell’inverno, aveva dato un’occhiata nelle campagne intorno e una sera disse a suo fratello Angelo: «Te sé ‘n dove l’è c’ho visto ‘na machina der verderame c’a ghe śueei, l’è a nostra? Veśin aa cà de quelo piócio de Vincè er gafeśeto, che s’a l’avessi ‘n cuo a lo cagheei foa do Tin». «Te sen seguo?». «A che meteei a man ‘n to fogo», «Aloa stanote ne pigiae d’impegni c’a g’avemo da fae1» concluse mio papà.

Si misero d’accordo e dopo la mezzanotte si trovarono su alla campagna. Per stradelli ben curati arrivarono camminando al buio fino sotto Baracche, vicino alla casa che aveva detto Valè. Stavano per scavalcare il cancello quando sentirono una voce sbronza che si avvicinava cantando: «… e nascon timide le viole mammole. Ormai la prima rondine è tornata, nel cielo limpido comincia a volteggiar, il tempo bello viene ad annunciar: aprite le finestre al nuovo sole è primavera, è primavera. Lasciate entrare un poco d’aria pura, parappappero parappapà…».

Dovettero nascondersi nelle piane e trattenersi dal ridere.

Era Vincè, piuttosto brillo. Un tipo asociale, non per scelta, ma perché era terribilmente tirchio e si credeva più furbo degli altri. Per questi motivi era antipatico a tutti e non aveva amici.

Piccino e tutto ossa, lo vedevi sbucare nei posti e nei momenti più inaspettati e non di rado dopo che era passato lui, qualcosa mancava. Viveva solo, non aveva nemmeno un cane perché sarebbe costato, e quella notte, caso raro, rincasava di buon’umore.

Lo guardarono entrare in casa e aspettarono di vedere spente tutte le luci. Poi in silenzio scavalcarono, videro in un angolo una pompa del verderame, ed era proprio la loro, usata, vecchia, ma loro; Valè se la mise in spalla e a questo punto lui, che non era il più coraggioso del mondo, sarebbe anche tornato indietro, ma Angelo gli disse sussurrando che dovevano ripagarsi dell’uva e della forbice, che lì fuori non c’era da nessuna parte, e poi una bella lezione non gli avrebbe fatto male a quello stronzetto.

Vide la conigliera, facendo segno al fratello, che si guardava attorno e aveva i sudorini freddi, di far silenzio e aspettare, la aprì, acchiappò due bei conigli e li mise in un sacco che sembrava lasciato lì fuori appositamente per quello scopo; poi passò al pollaio, entrò piano piano per non svegliare le galline, alcune erano in terra altre sulla scalettina che portava al nido, scelse con calma la più grossa e le tirò il collo. Le altre si svegliarono e si misero a starnazzare.

Un secondo dopo Valè era già fuori e la luce si accese mentre Angelo, col sacco in spalla, stava scavalcando il cancello. «Chi è là?», sentirono urlare, «Andè via. Andè via. A pigio o s-ciopo e a v’amasso!2».

Scapparono ridendo mentre lontano qualche cane cominciava ad abbaiare; poi Valè cominciò, subito seguito dal fratello «… e nascon timide le viole mammole parappappero parappapà…»

Mia mamma li stava aspettando in piedi, dietro le persiane chiuse; li vide arrivare e gli aprì la porta, si sedettero in cucina e le raccontarono tutto fumando e sghignazzando. Lei li rimproverò, ma non poté non ridere, e poi avevano risolto anche il pranzo di Natale.

Note:
1«Sai dov’è che ho visto una macchina del verderame che ci giurerei, è la nostra? Vicino alla casa dei quel pidocchio di Vincè il granchiolino, che se l’avessi in culo lo cagherei oltre le isole» «Sei sicuro?». «Ci metterei la mano sul fuoco», «Allora stanotte non prendere impegni che abbiamo da fare»
2 «Andate via. Andate via o prendo il fucile e vi ammazzo!»

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