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L'artista rivive oltre se stesso

Giacomo Verde vive oltre la morte e “non ha mai finito di darci lezioni” fotogallery

Gli spazi del Camec prendono vita. Come e perché lo raccontano il figlio di Giacomo Verde Tommaso, la docente universitaria della Statale di Milano Anna Maria Monteverdi, Murat Onol e Mario Giannelli del gruppo Neo Dada.

Giacomo Verde era un tecnoastista capace di far vivere uno spazio, tramite la tecnologia, senza dimenticare l’impegno politico e con uno sguardo critico al mediatico. Tutto questo per sette mesi sarà ospite al Camec della Spezia, un’occasione per avvicinarsi al concetto di videoarte, di cui Verde fu tra i pionieri, e caprine la grandezza. Liberare arte da artistiGiacomo Verde artivista è un progetto realizzato in collaborazionne con La Statale Università degli Studi di Milano, le Accademie di Bari, Brera e Carrara, DadaBoom, SuperAzione e Dramatic Iceberg.

Artivismo, Tecnoarte e Interazione, Effimero. Sono le tematiche che accompagnano le stanze del Camec. Ad approfondire la figura di Giacomo Verde sono il figlio, Anna Maria Monteverdi e due membri dei collettivi DadaBoom e SuperAzione.

Gli spazi del Camec con “Liberare l’arte da artisti” non vengono occupati ma prendono vita. “Questo spazio vive e con questa mostra vogliamo farlo vivere in tutti i sensi – spiega Tommaso Verde -. Abbiamo organizzato più cambiamenti all’interno della mostra che diventa quasi interattiva. Abbiamo organizzato le tre sezioni preparando tanti interventi senza staticità. Gli spazi devono essere vissuti”.

In particolare, nella prima stanza, quella dedicata all’Artivismo sono presenti anche alcuni omaggi a Giacomo Verde rendendo vivo anche un momento tragico come la morte. Con una particolare installazione è ricreata in parte una zona del cimitero dove oggi riposa il tecnoartista, scomparso nel 2020. Per la ricorrenza della sua morte il figlio, il collettivo e altri artisti lo hanno voluto omaggiare. Ogni momento è stato ripreso e riproposto nell’allestimento. Nella morte Giacomo Verde vive. Sempre nel legame con la morte, lo spettatore incontra una fotografia appesa al muro. Da un lato il ritratto in “modalità” zombie, sul retro un pensiero: “Se uccidi uno zombie non è omicidio perché è già morto. Se uccidi un artista, è un omicidio? Io sono un artista, io sono uno zombie, ne sono cosciente”. Sempre nella prima sala non sfuggono anche altri omaggi quale l’istantanea, a due giorni dalla morte, dello studio dove Giacomo Verde creava e il carrello con il quale proprio il figlio transitò da un quartiere dopo la dipartita del tecnoartista che al suo funerale pretese abiti colorati per tutti.

“Abbiamo reso vivi tanti momenti ed è un aspetto che ci caratterizza nel collettivo –  prosegue Verde -. Tutti questi eventi che organizzano anche i ragazzi del DaDaboom puntano a rendere vivo e a creare aggregazione, collettività. Uno di questi eventi è stato proprio per la ricorrenza della morte di mio padre e andare a festeggiare al cimitero (arrivarono anche le forze dell’ordine, NdR). Anche quello è un modo di vivere tutti gli spazi: da un museo ai luoghi occupati, ma anche al cimitero”.

Raccontare un tecnoartista non è semplice, soprattutto quando si deve scindere la figura dell’uomo da quella dell’artista, lo si ha molto vicino e il legame con esso non è confinato solamente al condividere l’arte stessa. Aspetto che la professoressa dell’Università di Pisa Sandra Lischi approfondì nel libro “Un video al castello” dedicato alla lavorazione del videoritratto dedicato all’artista poetronico Gianni Toti. La stessa professoressa Lischi ha dato un enorme contributo alla realizzazione della mostra “Liberare arte da artisti. Giacomo Verde artivista”. La docente dell’Università Statale di Milano Anna Maria Monteverdi affronta anche questo aspetto che, simile al percorso di Lischi, ha fatto innumerevoli nuove scoperte su Giacomo Verde.

“Ho scoperto nell’archivio un Giacomo Verde che non conoscevo – spiega Monterverdi -. Ho trovato reperti tecnologici incredibili e sono molto legata emotivamente a questo percorso, perché abbiamo condiviso per dieci anni. Questa mostra va oltre alla biografia dell’artista ed è arricchita  dalle sue opere reinventate da giovani artisti dell’Accademia e dalle numerose associazioni che sono presenti. L’artista così rivive oltre se stesso”.

 

Giacomo Verde, sette mesi al Camec per scoprire il tecno artista

 

Verde nelle sale del Camec viene reinterpretato. “Giacomo Verde ha sempre considerato l’arte come vita – ha spiegato Murat Onol del collettivo SuperAzione e del gruppo Neo Dada -. Per questo anche la sua morte è entrata in un processo di reattività ed è continuata. Giacomo era un personaggio particolare, la sua dipartita è stato per noi un parto. E’ un percorso tutto nuovo, non ripetiamo le azioni di Giacomo e le portiamo avanti, cerchiamo di far crescere una cosa nuova”.

L’evoluzione della tecnologia è andata pari passo nel lavoro di Giacomo Verde e arricchito con lo stretto rapporto con DaDaBoom e  SuperAzione. Elementi visibili e tangibili anche nella mostra.

“Giacomo ha vissuto e masticato il passaggio d’epoca dall’analogico al digitale – spiega Mario Giannelli del collettivo DaDaBoom e del gruppo Neo Dada  -. E’ uno degli inventori del videoracconto, ha un rapporto importantissimo e critico con il mediatico. Non è mai stato un adulatore del media televisivo. Indubbiamente Giacomo Verde ci ha dato molto e ci insegna ancora, non ha mai finito di darci delle lezioni. E’ ancora in grado di stupirci su tantissime cose, ogni giorno si può riscoprire rimettendosi in discussione e provando a cercare di connettere l’arte con l’impegno sociale e le dinamiche connesse alla vita. Anche nella morte di Giacomo c’è una riaffermazione della vita”.

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