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Quisquilie e meraviglie

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I cavatori di portoro

Cava di marmo in Palmaria

«Si sistemano in due case. I colleghi stagionali che abitano già lì vanno a dargli il benvenuto, sono una quindicina. Gli altri cavatori, gli dicono, sono dei paraggi, ma quasi tutti originari della Garfagnana o della Lunigiana.
Anni prima, sono arrivati lì per lavoro, proprio come loro, e poi hanno conosciuto delle ragazze, si sono fidanzati e accasati. In tutto a lavorare nelle cave sono più o meno duecentocinquanta, ma negli anni ’30 erano più di mille, e solo nelle cave vicine, quelle del Muzzerone. Gli dicono anche che ci sono una dozzina di Spartani…» «Spartani? Nelle cave? Cosa c’entrano… Nonno!?»
Sorrise: «Ci avrei scommesso che mi avresti interrotto. Gli Spartani erano i più rudi cavatori di Carrara, tutti grandi e grossi. Forti come tori. Erano quelli che a colpi di martello riquadravano i blocchi con la subbia, che è lo scalpello per lavorare il marmo. Non firmavano contratti, lavoravano il tempo necessario per tirar su l’essenziale per la giornata, si facevano pagare e se ne andavano, ma sul lavoro erano impareggiabili. Erano tutti anarchici, dicevano che ogni cosa è di tutti e di nessuno e quindi non riconoscevano un “padrone”, barattavano la loro fatica con il necessario per vivere e dormivano nelle baracche delle cave.» «Belli, mi piacciono.» «Ma pensa un po’, non l’avrei mai immaginato… Comunque, Ardito e gli altri appena arrivati mangiano qualcosa e si sdraiano per dormire, il mattino dopo avrebbero cominciato a lavorare.
Il lavoro è duro, pericoloso. Ci sono pozzi, gallerie, esplosioni di mine fatte con la polvere nera che non è per niente affidabile, spesso procura più danni che spacchi utili alla parete della cava da dove si vogliono estrarre i blocchi. È difficile calibrarla a dovere, pensa che con un Kg di polvere nera la bancata mediamente si spostava di un millimetro, con tre Kg di un palmo. E allora bisogna lavorare coi cunei di legno e bagnarli per farli gonfiare nella crepa, oppure di ferro. Hai presente? Immagina cosa dev’essere prendere a martellate con delle mazze pesantissime dei cunei di ferro per staccare tonnellate di marmo da una parete, e poi di nuovo, fino a renderlo il pezzo migliore possibile.
Il portoro è prezioso, non si spreca nulla. Pensa che i pezzi che staccavano li dividevano per dimensione, e gli avevano dati nomi strani: testa d’uomo, testa di cavallo… e poi c’erano i pezzi più piccoli che sarebbero serviti per le palladiane, che sono quei pavimenti fatti di tanti pezzi di marmi diversi, o per lavori d’intarsio o zoccoletti, e il “cocciame” col quale facevano le mattonelle di graniglia.»
«Questo è portoro?» gli chiese mostrandogli un ciottolo che aveva lucidato a forza di sfregarlo tra le dita. «Si» disse il vecchio. «Bello vero?» «Molto, se ne trovo un altro ci voglio fare due ciondoli per le chiavi delle auto di mamma e papà, con lo scubidù.» «Mi sembra una bella idea. Anche a me piacerebbe tanto averne uno, ma nessuno pensa a un povero nonno.»
Lei lo guardò sorridendo e scuotendo la testa «Che nonno sciocco che ho… Su vai avanti con la storia di Ardito, bel nome Ardito.» «I figli degli anarchici li riconosci subito dal nome. Nei posti dov’era nato, avevano tutti nomi così: Risveglio, Utopia, Ribelle, uno addirittura Ordigno, e poi Libertario, Ateo, Negadio, Lavoro, e tre fratelli che si chiamavano Rivo, Luzio e Nario.»
Lei si mise a ridere «E se ne nascevano solo due?» «Diciamo che gli è andata bene.» «Guarda, un altro pezzetto di portoro. Questo ha più venuzze dorate.»
«Ehilà! È davvero di prima scelta. Ci sono cinque livelli di qualità, che corrispondono ai cinque strati, scalino, banco, sottobanco, zoccolo e sotto zoccolo. Direi che questo è proprio un pezzetto di scalino, il migliore.» Lei lo mise in tasca continuando a scrutare i sassi del sentiero felice, orgogliosa di averlo trovato. Poi si fermò e si fece seria: «Hai detto che era un lavoro pericoloso. Ardito si è mica fatto male?» «No, lui no, altri sì però e abbastanza spesso. Ci fu un suo amico che perse una gamba, Carlino si chiamava, un blocco scivolò dalla parte sbagliata e lui era dove non avrebbe dovuto essere.» «Ma è terribile. Che scena orrenda dev’essere stata.» E si immaginò il sangue e le urla. «Si, scusami, non avrei dovuto…» «Ma ci sono stati anche dei morti?» «Non quando Ardito era lì, però l’otto dicembre del 1937 ci fu una frana alla cava Crocetta, proprio a Portovenere e quattro cavatori furono travolti.»
La ragazzina s’intristì e abbasso lo sguardo. Poi ci fu un rumore e dai cespugli apparve una capretta, lei spalancò gli occhi e sembrò che anche l’animaletto facesse altrettanto. Si guardarono un istante poi la capretta scappò via. Lei si girò verso il nonno e lo fissò come a dire: ma ho visto bene?
«Non hai sognato piccolina, da qualche anno ci sono delle bellissime caprette sulla Palmaria, non si sa chi ce l’abbia portate ma nel tempo sono diventate tante, troppe per questa piccola isola, così hanno iniziato a catturarle e a portarle altrove, in luoghi sicuri. Ma non è facile acchiapparle, qualcuna c’è ancora e una di loro ha voluto conoscerti.» Sorrise e guardò verso dov’era fuggita, poi, senza voltarsi, tornò seria: «Qualcun altro s’è fatto male, degli amici di Ardito?»

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