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Quisquilie e meraviglie

Quisquilie e meraviglie

I cavatori di portoro

Cava di marmo in Palmaria

«Da quasi una settimana la sua vita era quella, si alzava, una tazza di latte caldo e poi all’osteria, tutto il giorno. La neve era arrivata presto quell’inverno e le cave erano state chiuse prima del solito. C’era ben poco da fare lì a Vinca nel 1950.
Aveva vent’anni ed era solo, aveva sempre fatto il cavatore, prima come “bagascio” che sarebbe un po’ come il mozzo sulle navi, e ora come “filista” che è quello che taglia i blocchi, ma era stato anche “tecchiaiolo”, appeso a una corda per pulire dai massi pericolanti le pareti della cava dopo i tagli per non farli cadere in testa a qualcuno. Del resto, ai piedi delle Apuane o facevi quello o facevi il contadino, ma lui non aveva neanche un metro di terra.
I suoi, che erano stati uccisi da quelle carogne dei nazisti e dalle brigate nere di Carrara nel rastrellamento dell’agosto del ’44, insieme ad altri 141 vinchesi, gli avevano lasciato soltanto quella casupola in pietra di un’unica stanza».
«Lui come aveva fatto a salvarsi?» Chiese la bambina mentre passeggiavano calmi nei bei sentieri della Palmaria. Il nonno aveva mantenuto la promessa.
Quel mattino s’erano alzati presto, erano andati con l’autobus fino all’imbarcadero, da lì avevano preso il traghetto per Portovenere e l’avevano girata in lungo e in largo. Lei – scesa da Milano per passare tre settimane col papà della sua mamma al mare – non c’era mai stata ed era rimasta letteralmente incantata dalla bellezza di quel paese, non faceva altro che sorridere e saltava da uno scorcio all’altro quasi danzando, il nonno le disse che sembrava una farfallina bionda e spettinata, lei gli saltò addosso, rischiando di farlo cadere, e lo abbracciò.
S’erano poi seduti in un’antica osteria nel carugio e avevano mangiato un’ottima focaccia con le acciughe, quindi avevano preso il battello per l’isola.
Avevano attraversato ciò che resta delle cave di portoro e lei chiese come mai quella bella isoletta era ridotta in quello stato. Allora lui aveva iniziato a raccontargli la storia di un suo amico, Ardito Menconi. «S’era salvato perché aveva quattordici anni, era svelto come un gatto e conosceva delle tane che neanche le volpi. Comunque, era lì all’osteria ed ecco che finalmente entra il tipo che lui ed altri stavano aspettando.
Veniva da qui, dai posti dove siamo adesso, sapeva che a Carrara non potevano lavorare per la neve e cercava dei cavatori per le cave di portoro». «Il portoro è come un marmo?». «Credo sia il marmo più bello che ci sia, nero intenso, lucido, vellutato, con delle venature dorate che sembrano dipinte dal miglior pittore. Lo conoscevano già gli etruschi e i romani; una volta lo chiamavano Giada di Portovenere poi i francesi, quando Napoleone arrivò fin qui ai primi dell’800, lo chiamarono Porte d’or e da lì il nome attuale. È nelle più importanti chiese, regge e palazzi. Ora credo ci siano sì e no due o tre cave attive, tra Portovenere e Le Grazie, ma ai tempi di Ardito ce n’erano trenta, comprese quelle che abbiamo visto poco fa.». «Così c’era sempre bisogno di nuovi cavatori.» «Esatto, e i proprietari sapevano dove trovare i migliori.
Così questo tipo arriva su a Vinca, chiede chi vuole andare a faticare nelle sue cave, però fa contratti di sei mesi, quindi non possono tornare a casa fino a primavera inoltrata, salvo, se ne hanno voglia, il sabato e la domenica che non si lavora. Una decina vanno. Prendono le loro poche cose e partono. Scendono fino a Monzone, da lì prendono il treno per Aulla, cambiano e arrivano a Spezia, salgono sul tram e scendono a Cadimare. Da lì, attraverso sentieri tra i boschi in collina, arrivano a Bondoni, il paesino abbandonato che li ospiterà.» «Un paese abbandonato?» «Si, ormai non ci abitava più nessuno, forse una famiglia. Tutti gli altri erano scesi a vivere sul mare alle Grazie, o a Spezia, più comodo.» «Possiamo andare a vederlo?» «Oggi no davvero, magari un’altra volta. E poi ci vuole la macchina, non è mica così vicino…» «Ma i cavatori mica ce l’avevano la macchina.» «Ma avevano gambe migliori delle mie e un terzo dei miei anni! Mi fai andare avanti o no?» «Vai, vai. Ma che brutto carattere che hai…» Si fermarono e si guardarono un attimo in cagnesco, poi si misero a ridere all’unisono, lui provò a dare uno scappellotto su quella chioma selvaggia ma lei fu veloce a scostarsi.

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