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Quisquilie e meraviglie

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Il Mandillo Santo, seconda parte

Mandillo Santo

Ormai la sera di blu aveva pittato orti e campagne, attorno grilli e uccelli notturni stavano per dare il via al concerto loro, altri quasi impercettibili fruscii di animali da preda avrebbero fatto da contro canto. Avvicinò la sua scranna alla mia, prese fiato e proseguì: «Lo die 26 dello mese di aprile del 1507, lo Doge Paolo da Novi, su consiglio di S. E. l’Arcivescovo Giovanni Maria Sforza, in segretezza assoluta convocò me e il mio confratello don Leone de Cozzani, a quell’epoca entrambi presbiteri in San Bartolomeo degli Armeni, e ci disse, causandoci grande temenza, che a giorni la città sarebbe caduta nelle mani delli franzesi e che occorreva mettere al sicuro le più preziose cose. Sapemmo che così già era stato fatto per alcuni eccellenti manufatti ma che la più preziosa toccava a noi porla in salvo.
Comprendemmo che intendevano lo Santo Panno.
Io e fratel Leone ci guardammo ma la mano levata del Doge non ci concesse di profferir parola. Ci fu invece consegnato dalle mani dell’Arcivescovo un panno di lino con dipinta una copia fedele del Volto eseguita, ci informò, dallo maestro Ludovico Brea. Ci dissero di sistemare quella sotto la cornice d’oro e nascondere altrove e lontano e al sicuro la miracolosa effige e di non farne parola con nessuno.
Ci diedero lasciapassari per il levante e ci augurarono buona fortuna in Cristo.
Con l’assicurazione che ci avrebbero cercato loro quando le cose si fossero calmate da lì partimmo, noi due soli, la notte stessa con avvoltolato in un bordone cavo il Mandylion che aveva attraversato secoli e secoli e terre e mari dirigendoci verso il Golfo di Spezza.
Ci fermammo, dopo cinque giorni di cammino, sentendoci al riparo, proprio in questa antica pieve.»
Sbarrai gli occhi.
«Sì!» Disse rispondendo alla muta mia domanda, e l’antico suo sembiante si fece più grave ancora.
Si alzò per assicurarsi ex novo aprendo uscio e finestrella che niuno fosse nelli pressi.
«Quanti anni avevate allora?» Chiesi. «La tua età di hora, vent’anni. Qui venimmo perché il fratello di Leone, la familia loro nativa è di queste lande, era qui Prevosto. Entrambi ormai sono saliti al cielo… Orbene, di comune accordo decidemmo di nascondere qui, in attesa di tempi meliori per ricondurlo a Genova, il Mandillo Santo. Io poi prosegui il mio peregrinare, e così pur fece fra Leone.
Fui demandato in varie chiese e conventi e all’età di anni ottanta chiesi di fermarmi presso lo Seminario di Pontremoli dove qualche anno dopo ti vidi entrar come novizio. Ora, prossimo ai novanta, son qui voluto tornare per accertarmi che la preziosissima Reliquia sia ancora dove la celammo.»
«Ma come? Mai tornò a San Bartolomeo? Eppure io so da fonti certe, sacerdoti che coi loro occhi l’han veduta, che essa è là.»
«Quella che han visto è la copia del Brea.»
Il gemito che mi salì dal cuore per un istante interruppe il racconto.
«Arvivescovo e Doge da lì a pochissimo trapassarono, nessuno più ci ordinò di ricondurla in loco e, come poc’anzi ti narrai li franzesi rubarono le cose più preziose, prima tra queste la falsa Santa Immagine, ma dietro lauto compenso delli nuovi governanti, all’oscuro dello reale stato delle cose, quattro mesi dopo la restituirono.
Da allora nella chiesa degli Armeni quella viene esposta e venerata.»
Spontaneo mi venne di farmi il segno della croce, don Astore fece altrettanto. Abbassai gli occhi, quando lentamente li rialzai vidi i suoi puntati nei miei.
All’istante comprese, come quasi sempre accadeva, l’interrogativo che mi vagava nella mente, e annuì. «È ancora qui. Occultata sul retro del pannello di sinistra del polittico di Jacopo Spinolotto ove poco fa, genuflesso davanti alla Madonna col Bambino, eri immerso nelle orazioni tue.»
Lo pregai di mostrarmela. Sapeva già che l’avrei chiesto. Prendemmo le candele e tornammo in chiesa. Chiudemmo bene la porta e ci recammo verso lo splendido dipinto che aureo rifletteva i bagliori dei nostri ceri.
Si avvicinò al trittico, si segnò ancora e poi lentamente chiuse la pala sinistra. Sul retro di quella era stato creato, scavando il legno, un incavo delle dimensioni del Mandillo, che, steso tra due fogli di pergamena, era lì occultato da una sottile tavoletta che perfettamente sigillava il nascondiglio.
Con mani tremanti lo prese e lo posò sull’altare, e finalmente lo vidi.
Vidi il Vero Volto di Dio.
Le lagrime mi empirono gli occhi, caddi in ginocchio e quindi, moto proprio, il mio corpo si prostrò al suolo, continuando a piangere in una incommensurabile contentezza mai provata nella mia lunga vita né pria né poscia di quello momento.
Don Benelli riprese la Santissima Reliquia e la ripose al suo posto risigillando lo riquadro con la cera fusa dei nostri lumi che scurì sfregandola con lo sporco accumulato sul retro dello dipinto.
Tornammo quindi in silenzio nella stanzetta che dividevamo. Ci preparammo per la notte inseguendo ognuno li propri pensieri. Infine, una volta sdraiati sui nostri pagliericci disse: «Ecco. Ora solo tu ed io siamo a conoscenza di questo enorme segreto, ed io tra poco, se Dio vorrà, sarò allo cospetto suo.
Mai prima rivelato l’avevo a nessuno. Né ai cinque Vescovi da allora succedutisi sul seggio di codesta Diocesi né, tantomeno, ai molti litigiosi Domini che avidi si spartiscono questa bella terra.
È vero, quasi settanta anni fa feci giuramento di silenzio e segretezza ma troppo ponderoso è lo peso nello core meo alla viglia della dipartita. I Santi mi perdoneranno, a lungo ci ho pensato, e giusto ritengo che qualcheduno sappia la vera verità, e di te, figlio mio, io mi fido.
Tu sei giovane ma saggio, e sono certo che nella vita tua, che certamente sarà lunga e onesta, ti imbatterai nella persona, religiosa o secolare, alla quale confidare e affidare la più preziosa, la più Santa Reliquia della Cristianità.»
Pochi giorni dopo l’anima bella del mio buon amico, il mio maestro, la mia guida, lasciò lo suo involucro terreno e volò tra gli angeli. Lo seppellimmo nel piccolo cimitero a fianco alla Pieve.
Piansi a lungo, triste per la sua dipartita, ma felice di averlo conosciuto, e ogni sera ancora prego per lui e ancora ringrazio la Vergine Maria per averlo posto su mio cammino.
Vetusto quasi quanto lui quando mi confidò il segreto, e prossimo, a Dio piacendo, a lasciare pur io questa splendida valle di lagrime, su questi fogli ora lo rivelo perché non voglio portarlo meco nella tomba.
E ciò faccio in quanto mai ho avuto la ventura di imbattermi in persona talmente proba alla quale rivelare l’arcano dello vero Santissimo Volto, che ogni tanto, con mia infinita gioia, torna nel sonno a visitarmi.
Per quanto ne so, da oltre sessanta anni più non mi son recato in quella Pieve, il Mandillo Sacro è ancora là, in attesa forse – come il Santo Calice – che un’anima pura riconduca allo sguardo degli uomini lo vero volto di Dio.

In fede
don Jacopo, di anni 86 nell’Anno del Signore 1642

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