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Quisquilie e meraviglie

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Il Mandillo Santo

di Beppe Mecconi

Mandylion

Sento che la mia ora sta giungendo.
È tempo che chiami per gli olii santi e l’estremo sacramento. È tempo che ponga termine a questi miei scritti.
Spero che a qualcheduno, benché altro non sono che sbiaditi ricordi di un povero prete che troppo a lungo ha vissuto, possano, chissà quando e semmai, tornare di qualche utilità, e che mi sia perdonato lo vizio dello scrivere che da sempre, come un cane fedele e vetusto, ha seguito i miei passi.
In queste troppe pagine ho raccontato storie minuscole, curiosi accadimenti, faccende di Chiesa e di prelati e pur anco di questioni personali e mie.
Ma ora, prima della conclusiva firma che porrò in calce a queste righe, voglio, devo, raccontare di un segreto che ormai ultimo mi porto dentro.
A me lo rivelò uno di coloro che ne furono artefici e del quale scrissi in altra narrazione: il mio diletto amico e mentore benevolo don Astore Benelli, quando entrambi – su sua precisa richiesta al Vescovo di Luni, l’eccellentissimo Benedetto Lomellini, nell’Anno del Signore MDLXX – venimmo trasferiti da Pontremoli a quella antica e Santa Pieve che un tempo aveva custodito le Sacre reliquie di San Venerio; che per timore delli predoni saraceni vennero poste in seguito in loco sicuro al di là degli Appennini.
Don Astore, che a quel tempo aveva la mia età odierna e che due mesi appresso fu accolto dalle schiere celesti nella pace del Signore, mi raccontò, accertandosi con gran prudenza che nessun’altra orecchia potesse ascoltarlo oltre alle mie, una vicenda della quale fortemente avrei dubitato se in fine non mi fosse stato mostrato ed i miei occhi non avessero visto spalancandosi di sacro stupore e meraviglia il più che Santissimo oggetto della narrazione.
Come prima cosa, dopo avermi fatto accomodare al deschetto della camera che entrambi ospitava, mi chiese cosa sapessi del Volto Santo. Gli risposi che l’avevo veduto nell’oratorio della Santa Croce in Sarzana dove l’avevano portato i monaci del Corvo dopo che furono costretti ad abbandonare lo convento. «No.» Mi disse alzando la voce per poi subitamente abbassarla quasi in un sussurro: «Non intendo lo nero crocifisso ligneo, sacro e stupendo.
Intendo lo drappo con impressa la acheropita vera effige del Figlio di Dio».
Compresi a cosa si riferiva.
Il Santo Mandillo, che gelosamente veniva conservato nella chiesa di San Bartolomeo degli Armeni a Genova.
Non avevo mai avuto la buona sorte di vederlo ed in vero ben poco ne sapevo. Ne avevo sentito parlare, ma le informazioni in mio possesso erano scarne alquanto e glielo dissi pregandolo, come mille altre volte feci, di erudirmi.
«Devi sapere figlio mio che Abgar il Nero, re di Edessa in Mesopotamia, era molto malato e in fin di vita, e nessuno dei suoi medici era in grado di calmare le sofferenze sue.
Quando venne a sapere di Gesù che compiva miracoli nelle terre più a sud in cuore gli si riaccese la speranza.
Inviò subitamente uno fidato suo, il migliore degli artisti di cui amava circondarsi, con il compito di dipingere il volto del Salvatore con la certezza che il solo contemplarlo gli portasse giovamento e salute.
Hannan, questo era lo nome dello pintore, quando infine trovò il Cristo provò e riprovò a disegnare lo viso suo ma mai riusciva nell’intento, qualcosa di inspiegabile e misterioso glielo impediva bloccandogli la mano ed il talento che famoso lo aveva reso.
Infine Gesù, venuto a conoscenza di quella missione e resosi conto della nuova fede che in petto allo gran re nasceva, prese un panno e si deterse il volto dallo sudore della calda giornata e, miracolosamente, l’immagine del suo volto Santo ivi rimase impressa.
Quando Abgar in fine posò lo sguardo su quel panno immediatamente da tutti li malanni suoi guarì.
Si fece Cristiano e celò quell’immagine, la sua più grande ricchezza che fece incorniciare d’oro fino, in una nicchia segreta.
E lì venne dimenticata, per colpa delle persecuzioni alli cristiani, per V secoli, fino a quando la città assalita fu dallo esercito Sasanide. Allora, per intercessione di Dio, l’imago venne ritrovata ed esposta davanti alli nemici che subito fuggirono presi da timor Sacro.
Altri secoli trascorsero, Edessa divenne mussulmana ma il Mandylion continuò ad esser là custodito, fino a quando, temendo per la sorte sua, lo grande condottiero di Bisanzio nomato Curcuas lo ottenne dando in cambio un grandissimo numero di infedeli prigionieri suoi.
Venne così portata a Costantinopoli, pria nella Chiesa della Vergine di Pharos e in seguito nello palazzo imperiale qual segno della venerazione grande degli Imperatori.
Dopo la Quarta Santa Crociata del 1204 ed il sacco della città il Sacro Mandillo scomparve, nessuno sa quello che accade. Riapparì soltanto nello XIV secolo.»
Lo mio fratello e maestro qui fece una pausa, bevve una coppa d’acqua e mi guardò negli occhi, come per assincerarsi che fino a quel punto avessi tutto compreso, poi riprincipiò.
«Per mille anni lo Volto Santo di Edessa, tramite la sacralità della sua “acheropitia”, non dipinto cioè da mano umana, fu adorato come il Vero Ritratto del Figlio, divenendo fonte di tutta la Cristiana iconografia. Ma la rilevanza straordinaria la affermò durante l’Iconoclastia dell’VIII secolo, quando gli imperatori di Bisanzio, per purificar, dicevano, lo Cristiano Culto, cancellar volevano tutte le Sacre immagini.
Ma i paladini di quelle esibirono quale massimo argomento a sostegno delli convincimenti loro la sussistenza del Volto Santo di Edessa.
Così fu che nell’anno del Signore 787, il II Concilio di Nicea, decretò la legittimità della devozione alle Immagini Sacre sull’indubitabile esistenza di quel Volto e sul dogma dell’Incarnazione, per cui Dio, tramite lo figlio suo Gesù, si è reso riconoscibile et quindi descrivibile.»
Sollevò un sopracciglio e chiesemi se a dovere avessi studiato lo VII Concilio Ecumenico che citato aveva, risposi abbassando lo sguardo che non lo avevo approfondito a dovere. Credo sorridesse, riprese: «Dicevo, il Mandylion riapparve nel 1362 quando lo capitano genovese, che poi divenne Doge, Leonardo Montaldo lo ottenne, in cambio di imponenti aiuti militari, da Giovanni V Paleologo Imperatore di Costantinopoli.
Indi fu portato a Genova e nel 1384 donato alla chiesa di San Bartolomeo degli Armeni dove, fin dallo primo istante, divenne oggetto di venerazione grande.
Nel 1507, quando Genova venne invasa dalle armate di Luigi XII, il Santo Mandillo, così i genovesi lo nomarono, venne razziato e traslato in Franza.
Poco tempo dopo però, grazie all’intervento di banchieri et ambasciatori, la preziosissima Reliquia riconsegnata fu alla sua chiesa genovese, ove tutt’ora è custodita.
E questa è storia.
Ma la verità, su quest’ultimo accadimento…» Fece una pausa… «È diversa.»
Ci guardammo in silenzio per un lasso di tempo che ancora non saprei quantificare.
Tacevo, aspettando la continuazione di quella narrazione che mi stava portando in segreti verso i quali, nonostante la mia curiosità, non avrei voluto andare.

In fede
don Jacopo, di anni 86 nell’Anno del Signore 1642

– Fine prima parte –

 

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