In fuga dall'ucraina invasa da putin

“Venti chilometri nel gelo fino al confine, poi mio marito è tornato a difendere l’Ucraina”

La storia di Nadia Turko, arrivata alla Spezia ieri insieme al piccolo Dimitri. In fuga da Leopoli, gioiello barocco e patrimonio dell'Umanità, minacciata dall'esercito di Putin. Otto ore in piedi al confine a -5° per espatriare. "Mi diceva 'Mamma ho freddo, voglio dormire, ti prego...'. Leopoli non è ancora stata bombardata, ma c'è la percezione che possa succedere da un momento all'altro".

In fuga da Leopoli, gioiello barocco dell’Ucraina e patrimonio mondiale Unesco. Città mitteleuropea per cultura, così vicina al confine con la Polonia di cui ha fatto parte per quattro secoli. Un confine diventato tre giorni fa incredibilmente lontano per Nadia Turko e il piccolo Dimitri, il figlio che fece nascere cinque anni fa alla Spezia, dove vive nonna Zorjana. Erano due puntini scuri nell’oceano bianco delle colline, in un tenace pellegrinaggio insieme ad altre decine di migliaia di concittadini. Il Generale Inverno che ha sconfitto interi eserciti, da affrontare con un bambino in braccio.

“A venti chilometri dal confine abbiamo abbandonato la macchina, ci eravamo resi conto che la coda arrivava fino alla Polonia. Abbiamo riempito uno zaino con le cose più importanti, i documenti e poco altro, mio marito si è messo il bimbo sulle spalle e abbiamo iniziato a camminare”, dice Nadia, occhiali scuri per ripararsi  dal sole della Passeggiata Morin. Attorno a lei il via vai degli spezzini che stanno raccogliendo beni di prima necessità da mandare in Ucraina, dopo aver risposto ad un appello social. Un capannello di sguardi partecipi.

“La cosa più difficile è stata attraversare la frontiera – continua Nadia – Non c’è una fila dedicata alle donne con i bambini, o per gli anziani o gli stranieri che vogliono lasciare il Paese. E’ il caos, ci saranno state diecimila persone ammassate ai cancelli solo nel punto che ho raggiunto io. Abbiamo atteso per otto ore in piedi, con una temperatura di -5° e senza neanche potersi allontanare per fare i bisogni. Uscire dalla fila avrebbe significato non rientrare più”.

La voce si incrina solo quando ricorda Dimitri che gli sussurrava all’orecchio. “Mi diceva ‘Mamma ho freddo, voglio dormire, ti prego…’… Ma ho visto anche donne con bambini di tre mesi nei passeggini. Montagne di valigie buttate a lato della strada, abbandonate prima del confine quando era chiaro che sarebbero state solo un ostacolo”.

 

Di là rimangono le valigie, di là rimangono le case. “Negli ultimi giorni, la situazione a Leopoli era tragica. Ogni due ore scattava l’allarme e dovevamo scappare nelle cantine dei palazzi. A Leopoli non c’è metropolitana come a Kiev, ma molti edifici hanno degli scantinati sotterranei. Intere famiglie con bambini chiuse per ore all’interno di questi posti bui, stretti e umidi. Dormire? I pochi che ci riescono”. Dimitri arriva con la nonna, ha un cappello sportivo ed è un fiume di parole in ucraino. “Ultimamente chiedeva sempre perché era nato in Italia se non sa parlare la lingua – dice nonna Zorjana -. Ora potrà guardare un po’ di cartoni animati in italiano. E poi gli piace il mare”.

Suo papà è in Ucraina, gli aiuti che vengono richiesti tramite Telegram alla rete della diaspora – pantaloni robusti e scarpe pesanti, bende e antidolorifici, prodotti per l’igiene – sono quelli che servono ad un esercito di assediati. Se la diplomazia non riuscirà, la prospettiva a cui si preparano è questa. “Mio marito è tornato indietro nel momento in cui io sono riuscita ad entrare in Polonia. Erano le quattro di notte. Ci ha baciato e se n’è andato per arruolarsi e partecipare alla resistenza. Leopoli non è ancora stata bombardata, ma c’è la percezione che possa succedere da un momento all’altro. Anche perché le città attorno hanno tutte subito attacchi. Prima di scappare si era sparsa la notizia che anche un asilo era stato colpito. Davanti a questo, non c’è scelta”.

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