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Una storia spezzina

L'ispirazione monterossina

Il centenario di “Ossi di seppia”

Eugenio Montale

È vicina al centenario Ossi di seppia, la raccolta di versi che fece conoscere Eugenio Montale, poeta monterossino. Tutti sanno la triste malinconia della sua passeggiata guardando il mare il cui ultimo orizzonte, è l’amara considerazione, non si potrà mai scorgere. Proibita la vista da un alto muro insuperabile, delle onde si possono percepire da lontano solo frammenti di riflessi luccicanti di sole. Del mondo bello che c’è al di là, solo questo si può osservare. È condizione comune ad ogni persona, fatto sottolineato dai continui infiniti, il modo verbale che non definendo chi compie l’azione, di fatto indica che chiunque può esserne l’attante. La poesia fu scritta negli anni dell’imminente regime, periodi bui in cui si va smarrendo la propria identità.
Infatti, in un altro componimento della stessa silloge, il poeta si dichiara incapace di fornire migliore spiegazione di se stesso confessando di potersi definire solo in maniera negativa: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Ma non è solo suo questo senso di smarrimento, è un sentimento che attraversa buona parte della cultura italiana del tempo. Poco tempo dopo, infatti, Delio Cantimori, storico dell’Università di Firenze, indagò sui protestanti che nella Controriforma coltivavano la loro fede nascostamente, quasi in clandestinità, per paura di persecuzione.

Cantimori chiama questo comportamento nicodemismo, dal nome del giovane ricco che in tutta segretezza va a interrogare Gesù Cristo su come ottenere la salvezza eterna. A differenza degli altri tre evangelisti che ne celano l’identità, è il solo Giovanni (cap. 3) a dargli un nome che ha un sapore sessantottesco: Nicodemo, il popolo vince, in greco. Deluso dal presente che non riesce a comprendere e ammaestrato dal verso purtroppo vero che ammonisce che del doman non c’è certezza, lo storico si butta sul passato per cercare di farlo risorgere riscoprendolo. Non perché ciò che è successo sia sempre chiaro nelle sue dinamiche e il suo svolgimento si presenti sempre cristallino, ma almeno si è sicuri di quello che è avvenuto nonostante che spesso sono tante le esegesi che ne spiegano i motivi. Può essere che questo valga anche ai giorni nostri. Tuttavia, se oggi quelle parole di Montale dovessero essere ripetute, io le declinerei dicendo che “oggi possiamo affermare solo ciò che siamo stati, ciò che avremmo voluto”. Direi così per evitare la definizione in negativo anche se la descrizione, pur espressa in positivo, ha pur sempre un carattere restrittivo. Mia un po’ te dove te vé se te pensi a Montale Eugenio, poeta genovese ma premio Nobel monterossino.

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