“La Madonna Lia è un prestito eccezionale”. Comincia così l’approfondimento di Andrea Marmori, direttore del Museo Lia di Via Prione alla Spezia, nel corso della presentazione della mostra dedicata agli allievi di Leonardo a Milano, tenutasi ieri mattina.
“La Madonna Lia è un capolavoro assoluto – ha proseguito Marmori -. Solo pochissimi collezionisti hanno avuto il pregio e il merito di poter intitolare un dipinto con il proprio nome. Amedeo Lia ha raggiunto questo incredibile traguardo”. La tela è un gioiello e che incarna il rapporto straordinario tra Leonardo e Ludovico il Moro. Il genio arrivò alla corte degli Sforza come un “regalo” di Lorenzo il Magnifico a suggellare un’alleanza politica.
“Leonardo arrivò come musicista – spiega Marmori citando Giorgio Vasari – non come pittore. Si mise immediatamente al servizio del duca per compiere opere ingegneristiche militari per predisporre i Navigli e raccontare la civicità del potere ducale. Solo successivamente verrà impiegato per realizzare gli splendidi capolavori che lascia a Milano: La Vergine delle rocce per San Francesco e il Cenacolo”.
Il capolavoro della Madonna Lia nasce da Firenze e dalla formazione fiorentina di Leonardo. Segnale che nella mostra allestita al Museo Lia si denota nell’esposizione di due bronzi che testimoniano la presenza dell’artista nella straordinaria bottega di Andrea Del Verrocchio.
“Passavano tutti la lì – prosegue Marmori -. Leonardo aveva come ‘compagno di banco’ Sandro Botticelli, Francesco Botticini (autore di una delle tavole esposte nella mostra in corso NdR). Possiamo notare il compianto della Vergine che tiene il Cristo come se fosse ancora bambino, il corpo esanime del figlio sulle ginocchia. Sullo sfondo notiamo il paesaggio fiammingo, la morte del figlio di Dio è un trapasso che riguarda il mondo intero“.
“Queste sono le premesse fiorentine – aggiunge il direttore del Lia – quando arriva a Milano trova artisti del calibro di Vincenzo Foppa, pittore straordinario ancora ancorato al mondo gotico, dove persiste il fondo oro, senza un paesaggio che contestualizzi in maniera efficace la narrazione che viene compiuta. Dalla madonna che tiene il bambino tra le mani, al pomo colto da Eva, fino al bambino che chiede le ciliegie e la pressione che lo stesso fa è la preveggenza del sangue che verserà sulla croce”.
Nella seconda parte della sala sono presenti due importanti dipinti di Giampietrino, uno degli allievi più dotati di Leonardo: la Maddalena che prega davanti al crofisso e la Bastrina la madonna con il bambino e il Sangiovannino con brano di natura morta alle spalle. “Quella mela tarata – spiega Marmori -, messa in contrapposizione con il volto e la sua avvenenza, può segnare il passare del tempo. La spiritualità però salva dal decadimento”.
Al centro della sala è posizionato, in dialogo con l’illustrazione scelta da Emanuele Martera della Madonna Lia, la Vergine delle rocce. “Un quadro di grande impatto di una testimonianza figurativa straordinaria è la Vergine delle rocce – prosegue Marmori – che si torce, in una posa dolcissima nei confronti del bambino, allo stesso modo nella Madonna Lia. Questa versione è di Marco D’Oggiono, grandissimo maestro della bottega di Leonardo. Il genio quel momento è subissato di richieste dagli Sforza che vogliono persino che disegni i vestiti per le feste. Il duca chiede anche che realizzi dei dipinti emozionali e di ritrarre le sue amanti. Leonardo è dunque impegnato in maniera straordinaria e tra la schiera di artisti che lo seguono D’Oggiono, Giampetrino e Francesco Napoletano sono gli allievi più dotati. La presenza di Leonardo li illumina e raggiungono il vertice della loro carriera, sono toccati dal genio. D’Oggiono è devoto al suo maestro”.
“La Madonna Lia” è posizionata nell’ultima sala, poco illuminata per far concentrare lo spettatore sul capolavoro e su una citazione di Leonardo “Se tu sarai solo, tu sarai tutto tuo”. “Nel bambino si vede il genio di Leonardo – conclude il direttore del Lia -. In questo quadro utilizza un disegno già composto a Firenze, è lo studio di un bambino che giocava con un gatto. Sul retro, ci sono due segni evidenti: una citazione esatta della Vergine delle rocce e la prima rappresentazione del castello sforzesco perché era simbolo di Ludovico il Moro. Il dipinto racconta che grazie alla benevolenza della Vergine, questo mondo fantastico alle spalle diventa concreto e amministrato da Ludovico il Moro. Abbiamo voluto lasciare in vista anche il retro perché viene raccontata l’attribuzione a Leonardo e dice che il dipinto è appartenuto al re di Francia ed è stato restaurato da Robert Picault. Il restauratore più geniale del Louvre inventò il metodo per strappare le tavole dai dipinti e riportarli sulle tele, come è successo per La Madonna Lia. Le tavole subiscono l’umidità e la temperatura, il clima. La tela è poiù resistente. Stessa tecnica venne adottata per il Michele Arcangelo di Raffaello”.