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Sprugoleria

Capolavoro di mamma natura

Bocca Lupara: farci un passo è un tuffo nel nostro dna

Bocca Lupara

Passate le Torracche, è sopra Rebocco, in una macchia fitta, folta al punto che perfino il sole agostano fa fatica a penetrarla. Per questo, quando ti ci addentri, il cor può sempre spaurarsi anche se hai la sicurezza che puoi sempre accendere la torcia del telefonino se il buio sembra troppo mentre nulla interrompe la quiete e il silenzio che regna sembra inumano. In queste condizioni non è per nulla strano che del primo antro in cui ci s’imbatte, un po’ nascosto fra le fronde che ne celano parzialmente l’apertura, la porta ti appaia come la bocca ghignante di una fiera sì feroce che ti viene di chiamarla Bocca Lupara, nome che mette già paura al solo pensarla, figurati poi a pronunciarla. È che nel calcare che circonda la landa della Sprugola, la tanta acqua di cui è ricca interviene sul morbido sasso e come carie lo cava creando bucature, anfratti, pertugi. Poi, quando presto ti avvedi che non c’è pericolo, scopri quale grande orefice sia mamma natura che, pari a artista con bulino e cesello, maneggia l’erosione del liquido per ricamare trine e merletti nella roccia. Viene naturale pensare a quanti, tanti anni fa, si sono riparati in quella grotta e si sono dissetati con la stilla che continua a calare nell’ininterrotto lavorio del diluvio che sembra solo scorrere sul sasso e invece lo logora e lo modella. Oggi se entri nella grotta di Bocca Lupara, a riposare trovi solo nottole appese che lì si ricoverano perché la loro stagione, come dice il nome, è il buio.

Pensi ai pipistrelli di Wuhan ma la stalattite che si erge verso la volta della caverna caccia il brutto pensiero perché è statua naturale, spettacolo con il cucuzzolo sempre luccicante di umido per le stille che quasi impercettibili scivolano dabbasso.
Fuori, davanti all’ingresso, una vasca dove una volta le brave massaie andavano a strusciare i panni fra la penombra della selva e il fruscio della vita che non smette mai: rettili a caccia, legno che schiocca, rami che s’infrangono, canti di uccelli che dal loro zirlare subito intendi essere i suoni dell’amore. È bello andare a Bocca Lupara perché a un passo dai rumori della città ritrovi l’atmosfera del piccolo mondo antico d’antan, un’eco che rimbalzando faticosa fino a noi, fa rivivere clima e situazioni che non conosciamo più. Il suono arriva da ben lontano ma, a dispetto della distanza, riesce a incantare perché ci pare cosa nuova e invece è antica. È che non lo sappiamo più perché improvvidi ne abbiamo smarrito la memoria anche se sarebbe stato
giusto e doveroso serbarne almeno il ricordo. Bocca Lupara, farci un passo è un tuffo nel nostro dna.

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