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La ricorrenza

Il tentato colpo di stato del principe nero

Junio Valerio Borghese

Nel 1970, 51 anni fa, nella notte fra lunedì 7 e martedì 8 dicembre ci fu il tentato colpo di stato attuato dal principe Junio Valerio Borghese. Non se ne seppe subito, ma solo qualche mese anche se già qualche cosa aveva suscitato perplessità. Ad esempio, il Ministro degli Esteri Aldo Moro tenne pochi giorni prima un discorso dai toni per lui insolitamente duri sulla Jugoslavia che disdisse un incontro già programmato. Soltanto in seguito si ricollegarono quelle parole alla volontà che non ci fosse una visita di stato in un momento tanto precario per il Paese: la situazione economica era grave, il disagio aumentava il favore per il Partito Comunista, i Governi avevano vita breve. Questo destava preoccupazioni a Washington e nel Mediterraneo dove Portogallo e Spagna erano rette da antiche dittature e in Grecia il giovane regime dei colonnelli saliti al potere con un colpo di stato declinava la dottrina hitleriana dello spazio vitale nell’accezione di volere vicini governi dell’identico stampo.

I particolari della strana marcia su Roma sono noti. Nella notte del 7 un commando occupa l’armeria del Viminale impossessandosi di 180 mitra, un gruppo di guardie forestali è pronto all’intervento, formazioni paramilitari sono pronte a spalleggiare l’azione. Il programma prevede l’occupazione di centri nevralgici nella Capitale come le sedi del Ministero dell’Interno e della Rai, l’arresto del Presidente della Repubblica Saragat e l’eliminazione fisica del Capo della Polizia. Poi, ad azione in pieno corso, una telefonata misteriosa nel cuore della notte annulla l’operazione e Borghese si rifugia in Spagna dove morrà quattro anni dopo. La ricerca storica oggi dice che il principe nero non voleva destabilizzare ma solo provocare una reazione che portasse ad un regime autoritario e che fu strumentalizzato (ecco il perché della strana telefonata) per mandare segnali di avvertimento. Fatto sta che non pochi politici di primo piano quella notte non dormirono a casa loro, e non solo i dirigenti del Pci e della Cgil.

Che cosa successe realmente non si sa. Alla fine, i presunti colpevoli andarono tutti assolti e il buio calò sul fatto che in qualche limitata misura interessa anche la nostra città per una voce che subito circolò. Si diceva, infatti, che Borghese per andare in Spagna fosse passato dalla Foce dove, però, la Polizia non aveva predisposto alcun posto di blocco sì che il principe poté eclissarsi indisturbato. Connivenza? Non credo. Penso, piuttosto, che la mancata sorveglianza sia la prova che Borghese venne usato e che chi aveva organizzato il tutto predispose anche la sua fuga.