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Una storia spezzina

Una storia spezzina

Gli sberleffi dell’Ubaldo non risparmiavano nemmeno gli amici

Ubaldo Mazzini

Ho detto più volte che Ubaldo Mazzini era chiamato Gamin che in francese vuol dire monello dispettoso ché amava comportarsi da discolo briccone mettendo alla berlina tutti senza provare rispetto per nessuno. Ognuno poteva essere bersaglio della sua derisione: da chi gli era antipatico di natura a chi non la pensava come lui. Financo gli amici, anche i più intimi e del cuore, non sfuggivano alla regola dello sbeffeggiamento: nel caso se ne presentasse l’occasione infieriva senza pietà sullo sventurato su cui ricadevano di conseguenza gli sghignazzi con cui alle spalle del poveretto si sbellicava chi assisteva alla presa in giro cartacea. Il motivo per cui il malcapitato era canzonato spesso era di natura estremamente vile, di infimo rango ma, e proprio qui sta la genialità del nostro Ubaldo, un contenuto tanto volgare e di così basso livello viene abbastanza spesso collocato all’interno di una cornice di estrema eleganza e di grande raffinatezza stilistica. Segno che a quel briccone di Gamin non erano mancate le buone letture, quelle che formano chi le legge indirizzandone le inclinazioni dettate dal personale Dna entro i binari della compostezza che consente perfino le volgarità più eccessive a condizione che le si esternino con la gentilezza e la cortesia del bon ton.

Così, vediamo che le trivialità del Mazzini sono applaudite anche in virtù della forma che le rappresenta. Esemplare in questo senso è, ad esempio, una delle 21 poesie in italiano che nessuno finora ha mai esplorato: trascurati, credo, perché escono sulla stampa e non sui libri patin-paludati. In una copia d’inizio 1891 del La Spezia, l’Ubaldo si esibisce nel ritratto caricaturale di una persona di cui ignoriamo l’identità ma che doveva essere ben nota nella Spezia di quel periodo. È persona azzimata, gira ostentando eleganza come è disegnato nella vignetta che accompagna la poesia. Ha, però, un grave difetto che, tuttavia, non lo turba più di tanto: affetto da una grave flatulenza, emette un’enorme quantità di peti che ammorbano oltremodo l’aria, cosa di cui sembra essere l’unico a non accorgersi. Anche se certo suscitò un’esplosione d’ilarità presso i lettori, l’argomento non è di eccelsa finezza. Forse consapevole di questa pecca, l’Ubaldo si riscatta inserendo la descrizione del maleodorante individuo nel modello della ode classica: cinque stanze ognuna composta da quattro ottonari che suonano fra loro alternati pur con rima diversa per ogni strofa. Quanto i lettori s’accorgessero del contrasto fra forma e contenuto, non saprei ma anche per questo oggi è da apprezzarsi l’arte di Gamin.

Galleria della Spezia

Fra i più chiari nostri lumi // egli è certo dei più dotti: // in materia di profumi // dà dei punti al Bortolotti [un profumiere].

Ha inventato un istrumento // per condurlo fino al mar, // che è davvero un gran portento, // una cosa singolar.

L’istrumento ha fatto chiasso // fra i vicini abitator // e fra quei che, andando a spasso, // non gradiscono gli odor.

Onde avvenne che accusato // fu il Comune al tribunal // di guastare l’odorato // con profumi … material. Condannato fu alla spesa // dopo tanto faticar; // ma il grand’uom non se l’è presa // e la seguita a mollar.

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