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L'intervista a philip raymond platek, presidente spezia calcio

Il tycoon in mezzo alla gente: “Sono uno del Bronx, non comando da una torre d’avorio e conosco ogni persona nello Spezia”

Parla Philip Raymond Platek, da nove mesi presidente dello Spezia Calcio. "Ci piace la Spezia perché è la porta delle Cinque Terre, ma anche una città vivace, vibrante, le strade piene di gente". Lo stile famigliare importato anche nel club. "La verità è che ci stiamo anche divertendo molto, con poche eccezioni". Il futuro è tutto da vivere. "Lo stadio è in cima ai nostri pensieri".

Philip Raymond Platek jr

Il trolley è nella Sala Simonetti, quella delle call quotidiane. Mr Philip Raymond Platek jr ha volato su un New York-Milano, ormai un cliente abituale, e poi in auto fino in città. Non è neanche passato dall’albergo, prima l’appuntamento in sede. La dimensione della competizione, la nazionalità dei proprietari, il calciomercato ed i sogni dei tifosi portano lo Spezia lontano. A riportarlo a casa ci pensa il primo presidente americano della storia del club. Sta accorciando la distanza un viaggio intercontinentale alla volta. “Viaggio molto di più di prima. Ma non mi pesa. In Italia, in particolare alla Spezia e nei dintorni, sono stati tutti molto accoglienti e di grande supporto sin dal primo momento”. Comincia così la prima intervista da imprenditore del calcio.

I Platek sono entrati in punta di piedi, più fatti che parole nei primi nove mesi da proprietari di un club di serie A. Non è sempre così nel calcio. Pochi proclami, tanti progetti. Hanno tracciato il solco e gettato i semi, negli uffici come nello spogliatoio. Coltivano il collettivo. Sono ancora la famiglia di origine polacca del Bronx, i cui figli sono arrivati a Manhattan. “Io sono cresciuto a New York, in un quartiere a grande maggioranza italiana. La maggior parte dei miei amici erano di origine italiana, prima o seconda generazione, soprattutto del Sud. I miei nonni paterni sono nati in Polonia e quelli materni in Croazia. Ero l’unico della mia classe con gli occhi azzurri e senza un nome che finisse in vocale! Posso dire che non è stato un grande shock culturale per me venire qui”.

Lì c’è l’imprinting, c’è un modo di essere che ad un certo punto è andato in assonanza con una piccola società di calcio lontana migliaia di chilometri. Lo Spezia, l’underdog con le carte in regola che avevano cercato per mesi. Così è nata una storia appena agli inizi. Alla base un’idea di business che forse per gli italiani, che separano il piacere dal dovere, è difficile da capire. I conti devono tornare, ma l’impresa è anche avventura. E’ sfida. E partire dal basso amplifica le emozioni. “Sono tre anni che penso di iscrivermi alla Maratona dles Dolomites, visto che sono un ciclista amatoriale. E’ una scalata di sessanta chilometri circa. Nel 2020 l’hanno annullata, forse questo è l’anno buono”.

 

Mr Platek, avevate probabilmente la forza economica per investire in qualsiasi club europeo. Non solo in Italia. Eppure la vostra scelta è caduta sulla Serie A.

“Io e mio fratello Robert ragionavamo da tempo sul prossimo passo da fare nel mondo dello sport. Avevamo già acquisito il Casa Pia in Portogallo ed il SonderjyskE in Danimarca, ci stavamo guardando attorno per capire dove ci sarebbe piaciuto andare. Ci siamo detti che il calcio italiano poteva davvero essere all’inizio di un periodo di rinascimento. E’ stato il miglior football del mondo per tanti anni, perdendo poi il primato fisiologicamente. Certo oggi la Premier League è al vertice. Però ci siamo messi nei panni della persona media che non segue il calcio e ci siamo detti: quante squadre sapranno nominare? In Spagna: Real Madrid, Barcellona e probabilmente Atletico Madrid. In Germania diciamo Bayern e Dortmund. In Francia una, il PSG. Ma in Italia i brand internazionali sono molti di più: Milan, Inter, Juventus… non è difficile arrivare a cinque o sei. Insomma c’è grande potenziale, anche più della Spagna dove, per noi, hanno già vissuto il picco con il dualismo Messi-Ronaldo”.

 

Pensa che le altre proprietà americane che sono sbarcate nel calcio italiano – Milan, Roma, Fiorentina, Bologna, Venezia, Genoa… – abbiano fatto lo stesso tipo di ragionamento?

“Noi non abbiamo seguito una moda o qualcosa del genere. La nostra decisione è stata basata sui princìpi che spiegavo prima. E poi lo stile di gioco. In molte partite, il calcio in Italia è già oggi più entertaining di quello della Premier League. Infine c’è un interesse di base che travalica i confini dell’Europa. Faccio un esempio: in nessun notiziario sportivo americano ho mai visto menzionato il fatto che si stesse giocando Euro 2020 questa estate. Ma dopo la vittoria dell’Italia, le immagini dei tifosi italiani che festeggiavano nelle piazze delle città passavano anche tra le news generaliste. Anche questo mi fa pensare che ci sia una grandissima possibilità di espandere il marchio Serie A. Negli Stati Uniti e in tante altre parti del mondo”.

 

La domanda che in molti si sono fatti, anche in altre città e forse con una punta di invidia, è perché proprio lo Spezia Calcio?

“Abbiamo vagliato diversi club che erano in vendita. Ci siamo interessati inizialmente ad un paio di società di Serie B, poi abbiamo pensato ad un primo club di Serie A. Ma scavando a fondo, abbiamo capito che non c’erano i presupposti per investire. Infine ci hanno detto che Gabriele Volpi voleva cedere lo Spezia Calcio. Così abbiamo iniziato a seguire questa squadra neopromossa, che tutti davano già per retrocessa senza neanche iniziare il campionato. Ci siamo fatti un’idea di questa parte d’Italia e ci è sembrata molto interessante. Non so se avete idea di quanto tutta l’area della Cinque Terre e di Portofino viva un periodo di grande fama negli Stati Uniti. La Spezia ci è piaciuta subito per essere la porta delle Cinque Terre, ma anche perché è una città vivace, vibrante, le strade piene di gente. Si percepiva una sacco di energia. Quando abbiamo raggiunto la salvezza, ne abbiamo avuta la riprova”.

I Platek si presentano alla città

 

E la gestione della società calcistica? Quale situazione vi siete trovati di fronte e perché l’avete giudicata appetibile?

“Dal punto di vista finanziario la situazione era piuttosto solida. I conti erano puliti, non c’erano contratti onerosi e lunghi da ereditare. Insomma, c’era tutto ciò che volevamo. Sapevamo che la squadra sarebbe potuta anche retrocedere, questo lo avevamo messo in conto. Abbiamo chiuso per l’acquisto del club di mercoledì e sabato il calendario porta il Milan al Picco. Fu la fantastica partita vinta 2-0, che abbiamo visto dagli Stati Uniti. Da lì in poi è stato un crescendo fino alla salvezza”.

 

Invece la sua prima partita vissuta dal vivo è stata Spezia-Cagliari del 20 marzo successivo, finita 2-1. Lei fu il primo rappresentante della famiglia ad arrivare in città, per una delle sfide chiave di tutta la stagione. Lo sa che ci sono tifosi che hanno atteso quarant’anni per vedere una cosa del genere e lei ci ha messo un mesetto?

“Forse è stato il karma (ride, ndr). Mi ricordo benissimo il periodo: eravamo nel pieno della pandemia e tutti i ristoranti erano chiusi. Facevo la spola tra l’albergo e la sede del club, pranzavo in ufficio. Dovevamo fare un tampone ogni due giorni. Oggi molto è cambiato e stiamo andando nella direzione che tutti auspicavano”.

Philip Platek e Nishant Tella

 

Ci vuole una certa dose di coraggio per decidere di investire nell’anno della pandemia, con gli stadi chiusi e tutto ciò che ne consegue. Era inevitabile segnare una perdita in bilancio (-16.9 milioni di euro al 30 giugno 2021, ndr), com’è avvenuto per lo Spezia e per il resto dei club europei.

“D’altra parte questo periodo di sconvolgimenti ha creato anche delle nuove opportunità. Eravamo coscienti avremmo dovuto affrontare delle perdite, ne abbiamo tenuto conto durante la trattativa per rilevare la società”.

 

Tra i vostri programmi, quello che la piazza attende con grandi aspettative è sicuramente l’ampliamento dello stadio Picco. Si sono già visti i primi risultati con la Curva Piscina. Quando presenterete il progetto per la tribuna?

“Ci stiamo lavorando. Tutti gli attori coinvolti nella realizzazione della Curva Piscina hanno descritto quanto fatto questa estate come un miracolo. A partire dai dirigenti della Lega di serie A che dovevano valutare le bontà della realizzazione. Ci tengo a ringraziare a questo proposito le istituzioni cittadine, la commissione di vigilanza e i professionisti impegnati nell’opera, dagli architetti alle maestranze. In merito al resto dello stadio, è un progetto in divenire. Non è un segreto la visita che ho fatto di recente al presidente della Regione Liguria. Ci stiamo interfacciando anche con loro, oltre che con i progettisti e le autorità locali. Vogliamo creare qualcosa che sia la soluzione ottimale per tutti, a partire dai tifosi e dalla città. Garantisco che è in cima alla lista dei nostri pensieri ogni giorno”.

Giovanni Toti e Philip Platek

 

Vi siete presentati da subito come una famiglia, a differenza di altre proprietà straniere che hanno scelto un profilo meno personale.

“Io e Robert siamo molto uniti. Siamo cresciuti insieme ad altri quattro tra fratelli e sorelle. Parliamo ogni giorno dello Spezia. Stiamo cercando di riproporre lo stesso spirito nell’organizzazione della società. Vogliamo una squadra sul campo, ma ne vogliamo anche una in sede. L’area comunicazione, quella amministrativa, quella sportiva che compete a Riccardo Pecini e poi quella commerciale e marketing che stiamo particolarmente potenziando. C’è un’atmosfera famigliare che vorremmo sempre mantenere. Riguardo a noi, era previsto che io avessi un ruolo più operativo”.

 

La sua immagine mentre nel maggio scorso festeggia con una Birra Moretti in mano, dopo la salvezza ottenuta contro il Torino, è diventata virale tra i tifosi. Diciamo che non è esattamente il tipo di bevanda che molti si aspettavano avrebbe stappato un tycoon.

“Avevano finito il vino (ride, ndr)! Noi siamo persone piuttosto alla mano, credo che chiunque all’interno dello Spezia lo possa testimoniare. Io conosco tutti i dipendenti dell’organizzazione personalmente, cerco di stare vicino ai calciatori quando posso. Di recente sono stato a colloquio con i dottori dopo l’episodio che ha riguardato Sher, sono costantemente aggiornato sulle condizioni di Leo Sena. Allenarli spetta solo a Thiago Motta, ma io da parte mia cerco di offrire loro tutto il supporto che posso. E’ parte della mia personalità. Non credo si possa comandare da una torre d’avorio, credo che il lavoro esista solo in un contesto collaborativo”.

 

Ha in programma di trasferirsi in Italia definitivamente in futuro?

“Per ora continuerò a fare avanti e indietro. Sarò presente come lo sono stato fino ad oggi, anzi credo che con il tempo starò in Italia per periodi sempre più lunghi. Devo dire la verità, mi sento di vivere qui visto quanto tempo ho già passato in ufficio! Sì, mi sento già uno Spezia citizen. Anche quando sono in America, con la testa sono sempre qui. Dirigo gli incontri, parlo con Pecini ed il resto della dirigenza. Ho un ruolo davvero molto attivo. Even when I’m not here, I’m here”.

 

Ha trovato difficile inserirsi nell’ambiente calcistico italiano, arrivando da neofita del settore?

“Assolutamente no. Dipende anche da come ti approcci. C’è chi ama farsi strada spingendo, noi amiamo un approccio non arrogante. Ci piace confrontarci, capire come vanno le cose con calma. Ho incontrato moltissimi dirigenti del calcio italiano e devo dire che ho stabilito davvero buone relazioni e avuto conversazioni molto interessanti. Non mi sono mai sentito respinto, anzi”.

 

Avete già annunciato di vedere uno Spezia stabilirsi in serie A negli anni a venire. C’è un limite temporale che vi siete dati per questa nuova esperienza?

“No. La verità è che ci stiamo anche divertendo molto, con poche eccezioni. Vogliamo giocare in serie A il prossimo anno, quello dopo e quello dopo ancora. So come si sente un tifoso quando la squadra perde, ma sappiate che io sto tre volte peggio. Gli infortuni ci hanno tormentato, ma adesso tanti elementi stanno rientrando. Abbiamo giocato alla pari e anche meglio di una squadra molto forte come il Torino. Sono fiducioso”.

 

Un mese fa è comparso uno striscione con scritto ‘Grazie Platek’ allo stadio. Non è scontato, c’è chi ci ha messo anni a costruire questo tipo di rapporto con i tifosi.

“Ci ha fatto un grande piacere ovviamente. Forse è perché siamo persone aperte. Non è impossibile incontrarci a pranzo o cena alla Spezia, a Lerici o alle Cinque Terre. Se sono in città mi piace fare una passeggiata in centro. I tifosi sono sostanzialmente i miei capi e devo dare loro risposte. Provo ad ascoltarli. Chiaramente sono io che devo portare avanti tutta la squadra. Ma voglio che sappiano che sto facendo del mio meglio per loro, per la squadra e per tutti i dipendenti dello Spezia Calcio”.

 

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