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Una storia spezzina

Una storia spezzina

Origine ed evoluzione del termine belàn

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Quella parola là che non è bello dire, è comunque intercalare comune e diffuso nello spezzino, adoperata per iniziare qualsiasi discorso ma anche per concludere qualunque ragionamento. Neppure si dimentica di usarla inframezzandola in una frase, magari per rafforzarne il senso e conferire al proprio dire maggiore fermezza. Oppure, più semplicemente, per ricevere il consenso della persona con cui si parla. Modo di dire che nel parlare torna come refrain, del significato originale s’è perso ormai il senso ma se ne continua ad apprezzare ritmo e musicalità.

Parola nata a indicare il membro virile, da sostantivo si è poi trasformata per essere declinata come altra parte del discorso transitando da aggettivo fino a verbo e, se tuttora difetta la forma avverbiale, non se ne può escludere una futura presenza data la sua comprovata duttilità. Ma, quali che siano i modi secondo cui la parola è flessa, tutti sono riconducibili alla sorgente primigenia.

Pure le sue accezioni sono mutevoli potendo significare una cosa nefasta quanto una andata a buon fine. Con quel termine designi un fenomeno di indescrivibile bellezza (dalle grazie di avvenente fanciulla alla prodezza sportiva) al pari di un fatto talmente brutto da risultare orripilante tipo il diniego che l’oggetto dei desideri oppone alle profferte o la sconfitta della squadra del cuore.

Si ricordi anche che il termine se sostantivo lo si può alterare in accrescitivo, ma anche, qualora lo si usi in quanto verbo, declinarsi al participio passato, magari rinvigorendo l’idea con un raddoppiamento iniziale, ciò indicando che la persona cui la variazione s’indirizza, è del tutto incapace di comprendere e di volere.

Può, inoltre, risultare termine transgender se lo si declina al femminile o neutro se, fattolo bisillabo, l’ultima vocale muta in -a- per manifestare un sì ardente ed incondizionato o il diniego più assoluto verso qualsiasi richiesta.

Insomma, vocabolo e derivati significano così tante cose che, a dispetto dell’estrazione originaria, è diventato asessuato.

Eppure, alcuni studiosi, indagandone l’etimologia, vedono la sorgente in Baal, uno dei numi dei Fenici, razza che colonizzò molto del Mediterraneo fra cui Genova. Per quei Filistei Baal, dio di così innumeri cose che gli si deve pure l’origine della parola babele, era soprattutto il tutore della fertilità simile in questo al Priapo dei Romani che ornavano le abitazioni con statue rappresentanti del dio la forma sgraziata a causa del fallo così smisurato da complicargli la deambulazione.

Noi umani invece procediamo eretti curvati soli dall’età.

E belàn!

 

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