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Diario dalle Terre Alte

Diario dalle terre alte

Le terre alte vanno riabitate dalle persone

"Certamente anche Sesta Godano sarà “scoperto” dal turismo sostenibile, così Maissana e tutta l’Alta Val di Vara. Tuttavia, come ho sempre sostenuto, il rilancio delle Terre Alte non passa solo dal turismo: sono luoghi che vanno riabitati fin dalla vita quotidiana delle persone. Dove i giovani devono essere incentivati a restare o a tornare".

Maissana, ingresso all'ex Miniera di Monte Zenone (2021) (foto Giorgio Pagano)

MAISSANA, NO AL RITORNO DELLE MINIERE

L’ultima puntata del “Diario dalle Terre Alte” del 2021 è in gran parte dedicata al territorio di Maissana, quello con il quale il “Diario” era cominciato nel 2020 (“Dalla Valle di Lagorara al Monte Porcile”, 9 agosto 2020). C’è un motivo: nei mesi scorsi è stata avanzata la richiesta, da parte della società Energia Minerals (Italia) srl, controllata al 100% dall’australiana Alta Zinc ltd, di ricercare rame, piombo, manganese, zinco, argento, oro, cobalto, nickel e minerali associati in diversi siti delle valli Graveglia, Gromolo, Petronio e Vara. Si tratta di una zona mineraria preistorica sfruttata per migliaia di anni, dove tra Settecento e Ottocento sono state realizzate numerose miniere, poi abbandonate dalla metà del secolo scorso. Tra queste quelle del Monte Porcile e del Monte Zenone, nel territorio di Maissana, in parte -la prima- di Varese Ligure.

La ricerca proposta riguarda una superficie complessiva di circa ottomila ettari, situata anche nei territori di Casarza Ligure, Sestri Levante, Ne, Castiglione Chiavarese. Un territorio che oggi non ha certo bisogno di tornare alle miniere: perché costituisce nel suo insieme un’area pregevole dal punto di vista ambientale, vocata ormai da anni a uno sviluppo economico basato principalmente sull’accoglienza turistica, sull’enogastronomia, sull’allevamento, su una produzione agricola di prodotti tipici sempre più orientata verso la sostenibilità, sulla cultura.

Ispra – l’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale – ha ricordato che, nelle miniere di metalli, agli impatti ambientali delle attività di cantiere si aggiunge la dispersione di elementi tossici, principalmente di metalli pesanti diffusi per via aerea e, soprattutto, per via chimica tramite il circuito delle acque superficiali. Va considerato, inoltre, che proprio sotto la galleria di accesso alla miniera del Monte Zenone vi sono le vasche di presa dell’acquedotto del paese di Bargone, frazione di Casarza Ligure. Un tentativo di riaprire la miniera fu bloccato negli anni Settanta dalle popolazioni locali, che si ribellarono al grido di “l’acquedotto non si tocca”.

L’Ispra raccomanda la conversione dei siti dismessi in presidi museali, strada peraltro già intrapresa nelle vallate del Levante: la miniera di Gambatesa, nel territorio di Ne, è dal 2016 un interessantissimo museo minerario.

Sono salito più volte sul Monte Porcile, notando i numerosi ingressi della “Miniera di Monte Porcile”, una delle più importanti miniere di manganese della Val Graveglia, comprendente almeno una dozzina di gallerie e numerosi scavi a cielo aperto. Tutt’intorno, sull’intero versante meridionale del monte, si notano i segni della passata attività estrattiva: ghiaioni di materiale di scarto, trincee, stradine ed edifici di servizio ormai diroccati. La miniera venne dismessa alla fine degli anni Quaranta del Novecento, perché lo sfruttamento del materiale era diventato antieconomico. Dal Passo del Bocco di Bargone, sottostante il Porcile, il materiale estratto veniva sottoposto alla cernita da parte delle donne (cernitrici) e poi inviato, tramite una teleferica, a sud, verso il mare, in località Pian della Foppa. Il duro lavoro di tante generazioni di minatori e di cernitrici ha dato loro un pane sicuro ma molto amaro e nero e ha segnato la vita e i suoi ritmi per le famiglie, compresa la morte precoce di tanti per silicosi.

A Pian della Foppa arrivava anche il materiale inviato, sempre per teleferica, dalla “Miniera di Monte Zenone”. Nei giorni scorsi sono salito per la prima volta, dal Passo del Bocco di Bargone, a questa miniera. Mi ha guidato Marco Vassalli, dell’associazione “Diaspro rosso”. Con me c’era anche Silvano Zaccone, del Consorzio Il Cigno. Esponenti di due realtà associative che si battono per valorizzare la Val di Vara e promuoverne lo sviluppo sociale, culturale, turistico. Il sentiero è tutto scoperto, e si affaccia sul mare: Riva Trigoso, Sestri Levante, Chiavari. Il panorama dalla miniera è bellissimo. Anche qui edifici diroccati e ghiaioni di materiali di scarto. L’ingresso è uno solo, il tunnel, molto suggestivo, è pieno d’acqua (lo vedete nella foto in alto). E’ un sentiero che andrebbe valorizzato da chi opera nel settore del turismo escursionistico.

Le amministrazioni locali e le associazioni ambientaliste si sono schierate contro il permesso di ricerca mineraria, ma a decidere sarà il Ministero della Transizione Ecologica. Le osservazioni di WWF, Lipu, VAS, Italia Nostra e Legambiente al procedimento di VIA sono molto chiare, e spiegano bene come le attività minerarie e di cava siano espressamente non consentite e non compatibili con le norme di conservazione e mantenimento sia della “rete ecologica” che della pianificazione urbanistica vigente della Regione Liguria. Ma serve anche una mobilitazione popolare, per evitare colpi di mano.

Infine, sullo Zenone, una notazione storica. A fine settembre 1944 un distaccamento della Brigata Coduri, al comando di Aldo Vallerio “Riccio”, fu attaccato sul Monte Zenone da preponderanti forze nemiche, ma dopo due ore e mezza di combattimento riuscì a sconfiggerle. A “Riccio”, forse il partigiano più coraggioso della Coduri, comandante di un distaccamento chiamato “Squadra Matta”, è dedicata la piazza di Torza.

 

ENERGIA, NATURA, PAESAGGIO

La produzione di energia può entrare in conflitto con la natura e il paesaggio. Al Passo del Bocco di Bargone Terna ha realizzato un cantiere, dove elicotteri e camion depositano i tralicci e i materiali necessari per posarli. Spero che nessun traliccio sia posato sul Passo, oggi area di incrocio tra più sentieri, un tempo snodo della via del sale tra Sestri Levante e la pianura padana, che incrociava l’Alta Via dei monti liguri. Il Passo, terminati i lavori, deve tornare quello di un tempo. Incrocia la strada sterrata tra Sestri Levante e Maissana, che doveva diventare strada provinciale (n. 139) ma è rimasta sterrata, in pessimo stato: chi la usa con i camion potrebbe almeno risistemarla, anziché rovinarla ancora. Insieme agli elicotteri e ai camion sul Passo c’era un carro attrezzi: un’automobile di chi dirige i lavori per Terna aveva rotto, salendo, la coppa dell’olio. Un segno del destino?

Il conflitto può crearsi anche quando l’energia è da fonte rinnovabile, in particolare eolica (si veda, nel “Diario” del 2020, l’articolo “Il Monte dei Greci”, 23 agosto 2020). Sia chiaro: di fronte alla drammatica accelerazione delle catastrofi climatiche serve una corrispondente accelerazione delle fonti rinnovabili. Se tutt’ora nessun Paese ha scelto con decisione di dare avvio alla transizione che dovrebbe portare a ottenere entro non molti anni una copertura del fabbisogno energetico al 100 per cento da rinnovabili è perché in gioco ci sono molti interessi che le bloccano. In Italia quelli degli azionisti dell’Eni, che vorrebbero continuare a ricorrere alle centrali a gas della cui rendita godono; in Francia quelli che provengono dalla più estesa rete di centrali nucleari d’Europa, per uso civile ma anche militare. Ma c’è modo e modo di accelerare. Sono voluto tornare sul Monte Scassella, da cui si può salire facilmente dall’Alta Via dei monti liguri (nel suo tratto pianeggiante Passo delle Centocroci-Passo della Cappelletta) o da Caranza, incrociando l’Alta Via. E’ una montagna da cui si gode un bellissimo panorama, che arriva al mare. Ed è un simbolo della nostra Resistenza: qui fu combattuta la battaglia più valorosa nel tragico rastrellamento nazifascista del 3-4 agosto 1944. Ne furono protagonisti i partigiani della Brigata Centocroci, comandata da Federico Salvestri “Richetto”, di Caranza. Alla Brigata sono dedicati un monumento al Passo delle Centocroci e una lapide al Passo della Cappelletta. Sono tornato sul Monte Scassella prima che sulla vetta vengano installate due pale eoliche. Il progetto è stato approvato, ma l’impresa ha dei ritardi. Le pale ci sono già tutte attorno: sul versante del monte lato Centocroci, poi subito dopo, alla Cappelletta. E’ proprio necessario installarne due -dicasi due- sulla vetta? Possibile non ci siano alternative?

Maissana, Tavarone, chiesa di San Bartolomeo, statua della

 

LA BIRRA E LA FAGIOLANA DI TORZA

Si diceva dell’enogastronomia come uno dei volani dell’entroterra. Elisa Lavagnino è una birraia, fondatrice del birrificio artigianale Taverna del Vara, a Torza. E’ l’ideatrice delle birre, si occupa della produzione e degli eventi. Simone Moscatelli gestisce e cura l’amministrazione.

Racconta Elisa: “Siamo nati nel 2015, la nostra azienda si sviluppa in quella familiare, che faceva spume e vino e rivendeva acqua di sorgente fino agli inizi del 2000. Il nostro primo sito di produzione è stato il laboratorio delle spume dei nonni. Abbiamo un’azienda agricola che produce il luppolo. Facciamo le birre, a parte il malto che qui non si produce, con i prodotti locali della Val di Vara: grano, farro, castagne, miele, lamponi”.

Sono ottime birre. Penso che dipenda anche dalla qualità dell’acqua, come mi hanno insegnato gli amici di Bayreuth, città bavarese gemellata con La Spezia. Ma non solo: c’entrano anche le qualità del birraio (donna in questo caso), la sua capacità di scegliere le materie prime e così via. Visito il birrificio e il luppoleto, mi colpisce l’entusiasmo di Elisa e Simone: si organizzano corsi, incontri, feste. E si tessono rapporti con i produttori, si persegue il connubio artigianato-agricoltura. Anche realizzando prodotti “personalizzati”, come la birra alla castagna per un celebre agriturismo ad Apella, in Lunigiana.

Torza è inoltre la terra della fagiolana, legume di colore bianco dalla pelle molto morbida, di forma media e di peso medio di alcuni grammi per bacello. La fagiolana è arrivata in Val di Vara importata dall’America meridionale, per introdurre proteine di origine vegetale nella popolazione, che soffriva di carenza proteica. La coltivazione si è sviluppata in modo particolare nei terreni adiacenti al torrente Torza e nel paese omonimo, perché ama i climi piuttosto freschi la notte e con buona umidità. Fino al 2019, in ottobre, a Torza si teneva la Sagra della Fagiolana, proposta con lo stoccafisso bollito. Speriamo ritorni con il ritorno alla normalità, così come, ad agosto, la Sagra del Fungo nella vicina Tavarone.

A proposito: i ristoranti sono ottimi, a Tavarone come ad Ossegna. Immagino anche gli altri. A Tavarone i ravioli sono fatti in casa dalla “chef” di 92 anni, una garanzia. Ad Ossegna siamo arrivati per pranzo, dalla miniera, alle due passate, senza avvisare. La “chef” ci ha detto: “non mi metto certo a spentolare”, ma poi ci ha fatto apprezzare molti prodotti della cucina casalinga.

 

IL PATRIMONIO ARTISTICO, LA “STONEHENGE” LIGURE E LA TRUFFA DEI CIPPI

A Maissana avevo già visitato le chiese principali (rimando all’articolo del “Diario” del 2020 citato all’inizio). Nell’ultima escursione sono stato per la prima volta al Santuario Crocetta di Nostra Signora di Montallegro nella frazione capoluogo, Maissana: un raro esempio di architettura spontanea contadina, completata nel 1901. Sono poi tornato alla Cappella di San Bernardo, nella frazione di Campore, costruita su un massaltare, un enorme masso di pietra visibile in più punti. Da lì si gode uno dei panorami più belli della Val di Vara: il Monte Gottero di fronte, con le Apuane sullo sfondo.

La novità più affascinante è stata, a poche decine di metri da San Bernardo, la visita alle vestigia di un castellaro ligure, nel versante nord del Monte Verruga. E’ stato Marco Vassalli a rivelarmi “il segreto”. Salendo nel bosco si raggiunge una zona per il culto formata da grosse pietre rotonde alte circa due metri conficcate circolarmente nel terreno, con vicino altri due impianti simili ma con le pietre di dimensioni minori, alle spalle di questa che sembrerebbe una vera e propria “Stonehenge” ligure. Il castellaro vero e proprio è costituito da un muro di cinta alto circa un metro e di circa ottanta centimetri di spessore formato da pietre non squadrate ma incastonate in modo perfetto per dare la miglior protezione possibile, di circa venti metri per lato.

Vassalli ha soddisfatto inoltre una mia curiosità, originata da una domanda che mi aveva posto Marco Marcone, “chef” degli Amici di Varese Ligure. Ha risposto raccontando la storia, che Marcone conosceva a grandi linee, di coloro che andavano per le Americhe a questuare per poter adempiere al voto di costruire una Cappella Santuario nel loro luogo di origine. Una volta ottenuti i denari sufficienti, rientravano in patria e con parte del denaro si limitavano a costruire dei cippi di pietra all’ingresso del paese sui quali ponevano una effigie della Madonna, la facevano benedire dal parroco e il resto lo investivano nell’acquisto della propria abitazione o puramente per il solo restauro. Di questi cippi, nel territorio di Maissana, ve ne sono diversi sulle vecchie strade che conducevano ai vari paesi. Alcuni di questi cippi sono tuttora visibili e ben conservati (uno è nella frazione capoluogo), altri purtroppo, posti sulle strade e in disuso, stanno crollando. Ma, mi ha spiegato Vassalli, i “truffatori” di Maissana non furono certo i soli. Lui è di Corinaldo, nelle Marche, e mi ha raccontato un’altra storia, quella di Scuretto, soprannome di un uomo semplice, un calzolaio ma anche un eccellente bevitore. Il figlio, emigrato in America, gli mandava regolarmente dei soldi per costruire una casa dove tornare un giorno ad abitarvi. Scuretto i soldi se li beveva regolarmente nelle osterie del borgo, finché il figlio, insospettitosi, chiese una foto della casa. Scuretto allora fece costruire solo la facciata, con tanto di numero civico, e vi si fece fotografare di fronte, come affacciato a una delle finestre. La casa o meglio la facciata, oggi è ancora a Corinaldo, incompiuta, anche perché i soldi non arrivarono più. Insomma, tutto il mondo è paese.

Termino la visita a Maissana tornando nella chiesa di San Bartolomeo a Tavarone. La Madonna lignea (del secolo XVIII, forse opera del genovese Agostino Storace) è davvero molto bella: potete ammirarla nella foto in basso. E’, mi spiega Piero Donati, una “Madonna della Cintura”, in dotazione ad una confraternita legata agli Agostiniani. “Si racconta – mi spiega- che la Madonna abbia lasciato come suo ricordo a Sant’Agostino – tramite la madre Monica – la sua cintura. Per questo queste confraternite erano dette ‘dei Cinturati’”.

A Ossegna, racconta Vassalli, operava una scuola di scultura lignea, di allievi del genovese Maragliano, che intagliarono molte opere in zona, tra cui il coro della chiesa di Porciorasco (Varese Ligure).

 

SESTA GODANO, LE NOVITA’

Ho ampliato il racconto su Maissana rispetto al 2020. Purtroppo non c’è nessuna novità sul suo vero tesoro, la rocca di Lagorara: l’abbandono di cui ho scritto l’anno scorso prosegue. Per l’ampliamento del racconto su Varese Ligure rimando al primo articolo del “Diario” del 2021 (“Quel piccolo angolo di Spezia in terra parmense”, 10 ottobre 2021). Ho scritto per la prima volta di Carro e di Zignago nel secondo e terzo articolo. Non resta, prima di concludere il “Diario” del 2021, che un ritorno a Sesta Godano (si vedano “Arte, cibo, natura e memoria nei paesi del Gottero” e “Storie di Guido, l’ultimo pastore”, 23 e 30 settembre 2020). Ci sono novità positive, mi spiega Tonino Tosi, Consigliere comunale che segue l’agricoltura e l’ambiente: la costruzione del rifugio alla Foce dei tre confini, poco prima della vetta del Gottero, è ormai terminata, così la rete sentieristica. Le frazioni sono diventate ancora più belle. Voglio citare quelle “di confine”, non citate nel “Diario” del 2020.

A sud, verso Brugnato, Bergassana, Cornice e Mangia. Da Bergassana c’è un’altra vista magnifica: ancora il Gottero, da un lato il monte Penna, dall’altro il monte Dragnone, il Monte Fiorito e tutto lo Zignago. Così da Cornice: si ammira un fiume Vara da cartolina. A Bergassana e a Cornice la pietra ha sostituito il cemento dai carruggi. A Bergassana va visitata la chiesa di Sant’Andrea, a Cornice quella di San Colombano, a Mangia quella di Sant’Anna, e un palazzo padronale con suggestiva corte interna. Nel bel sentiero tra Mangia e Cornice, a Casarecchio, c’è la seicentesca Cappella della Madonna della Neve: la Cappella di un ramo della famiglia Cerchi, in fuga da Firenze. Fu riscoperta parecchi anni fa dall’associazione Mangia Trekking. Internamente si possono ammirare la statua marmorea della Madonna della Neve e un affresco raffigurante la Madonna del Carmine. L’associazione si adoperò per alcuni lavori di restauro, il 5 agosto 2005 si tornò a celebrare una messa. Oggi Mangia Trekking e Comune sono impegnati a valorizzare questo bene.

A nord, verso Zeri, la frazione “di confine” è Orneto, ultimo angolo di Liguria, prima della Lunigiana toscana. Il borgo, ben curato, è tutto in pietra, con qualche vestigia di epoche molto antiche e l’Oratorio seicentesco della Madonna del Carmelo. Fuori del borgo, nella strada che porta a Zeri, si stacca solitaria l’antica cappella della Madonna della Penna, già rifugio dei pellegrini.

 

MOLTI GIOVANI VOGLIONO RESTARE

A Maissana il turismo quest’anno non è mancato, anche se non al livello di Varese Ligure e di Carro. Il complesso sportivo di Tavarone e il Parco Avventura di Giandrali, con i suoi ponti tibetani e le sue teleferiche, garantiscono in ogni caso una buona continuità di presenze. In questo fine settimana, per esempio, sono in albergo a Tavarone gli studenti di una classe di Voghera, per un progetto europeo di educazione alla natura. In questi anni gli agriturismi e i B&B sono cresciuti, soprattutto nella zona di Tavarone e Torza. Meno a Sesta Godano, anche se qualcosa si è mosso. Ma certamente anche Sesta Godano sarà “scoperto” dal turismo sostenibile, così Maissana e tutta l’Alta Val di Vara. Tuttavia, come ho sempre sostenuto, il rilancio delle Terre Alte non passa solo dal turismo: sono luoghi che vanno riabitati fin dalla vita quotidiana delle persone. Dove i giovani devono essere incentivati a restare o a tornare.

Da questo punto di vista è molto interessante la ricerca recentemente realizzata dall’associazione “Riabitare l’Italia”, dal significativo titolo “Giovani Dentro”, sulla vita e sulle prospettive dei giovani abitanti delle aree interne italiane (18-39 anni). L’indagine è stata sostenuta da Fondazione Vismara e dal fondo Mutualistico Legacoop – CoopFond e realizzata grazie alla collaborazione con vari partner scientifici (https://riabitarelitalia.net/RIABITARE_LITALIA/giovani-dentro/).

Il dato non scontato è che circa la metà dei rispondenti (52%) vorrebbe restare nel luogo in cui vive e pianificare lì la propria vita, mentre solo il 12% vorrebbe invece vivere e lavorare altrove e ha in programma di partire. Gli altri si dividono tra chi vorrebbe partire ma non può (21%) e tra chi invece vorrebbe restare ma si vede costretto a partire (15%). Tra le principali motivazioni a restare ci sono il forte legame con la comunità (65 %), la possibilità di contatti sociali più gratificanti (68%) e la migliore qualità della vita (79%).

Esiste, quindi, ha commentato il sociologo Filippo Barbera, “una rilevante domanda di aree interne e montane, che attende politiche pubbliche attente alle specificità dei luoghi, che diano servizi pubblici e opportunità di lavoro alle persone”. Politiche non solo orientate dalla narrazione dei borghi e alla valorizzazione del turismo lento, ma “incentrate sul valore della vita quotidiana degli abitanti dei territori”. Da qui la centralità di tanti temi emersi anche nel “Diario” del 2021, tutti connessi tra loro: agricoltura, allevamento, cultura, turismo, servizi, difesa dell’ambiente, vita comunitaria. Serve una strategia nazionale, su cui devono impegnarsi i governi. Ma anche le Regioni, i Comuni, il tessuto associativo devono fare la loro parte.

Giorgio Pagano

 

 

Post scriptum:

Continuerò a raccontare le storie e le speranze di rigenerazione e di lotta all’abbandono delle Terre Alte nel “Diario” del 2022: ancora l’Alta Val di Vara (Rocchetta e Carrodano) e poi le valli confinanti.

Domenica 7 novembre, d’intesa con la redazione di “Città della Spezia”, tornerà la rubrica Luci della città.

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