Si chiama Ambra il cargo che ha attraccato al molo Enel questa mattina attorno alle 6. Porta un carico di carbone in arrivo da Tarragona, grande scalo di passaggio per il combustibile fossile meno amato dagli spezzini. Andrà nei prossimi giorni a sostenere la produzione della centrale termoelettrica Eugenio Montale, che si prepara a emettere il suo caratteristico pennacchio di fumo. Riaccende dunque in questa fase il gruppo a carbone a Vallegrande, così come molte altre centrali a carbone in Italia. In tutto capaci di una produzione di circa 7.980 MW che il sistema elettrico reclama in questo periodo di rincari delle materie prime.
Un tempismo che non è proprio una novità a dire il vero. Due anni fa, e sempre in questo periodo di uscita dalla stagione estiva, era stato lo spegnimento forzato di una centrale nucleare nel Sud della Francia, a causa di un forte terremoto che aveva fatto scattare i blocchi di sicurezza. Chi si augura lo spegnimento definitivo del grande polo produttivo spezzino è salito su una specie di ottovolante nelle ultime settimane. Solo un mese fa, anticipazioni di stampa indicavano un breve vita ai bruciatori che da sessant’anni sbuffano nel levante cittadino. Oggi lo scenario appare invece più incerto.
La ripresa economica spinge la richiesta di energia in tutto il mondo. L’Europa vorrebbe produrla soprattutto con il metano, considerato più in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione che si è dato. Il fatto è che la Russia di Putin, da cui il Vecchio Continente compra abitualmente, preferisce invece cederlo ai giganti asiatici. Motivi strategici ed economici, dicono gli analisti di politica internazionale, che si riflette sul costo delle materie prime. Carbone compreso, passato da 50 dollari alla tonnellata di inizio 2020 ai 24o dollari (Forex) di questa mattina. Alla vigilia di COP26, una farfalla batte le ali a Pechino e alla Spezia si riaccende la centrale.